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Gennaio-Febbraio/2013 - Articoli e Inchieste
Criminalità organizzata
Gioco d’azzardo: un’occasione persa
di Alessandro Boni

Un giro d’affari così grande che non può essere fermato, nemmeno
se intacca la salute pubblica. Da oggi il governo riconosce
che si può soffrire di ludopatia ma non fa nulla per cercare di aiutare
le famiglie toccate dal demone del gioco d’azzardo


L’approvazione recentissima, dello scorso 5 settembre, del “decretone” sanità dell’ex ministro Balduzzi ha riportato alla luce la discussione relativa al gioco d’azzardo legalizzato: una contraddizione vivente, che dimostra per l’ennesima volta, e in modo fin troppo chiaro, dove finisce l’attenzione alla tutela del cittadino quando in gioco ci sono lobby potentissime e un giro d’affari a molti zeri.
Il decreto, per quanto concerne la sezione relativa al gioco, è uscito dal consiglio dei ministri ampiamente ridimensionato, viste le pressioni del Tesoro e di altri dicasteri forti, lasciando sgomento tra le associazioni che da tempo ormai chiedono alla politica una ristrutturazione decisa delle norme che regolano il gioco di Stato in Italia.
Disattese, dunque, le aspettative delle realtà sensibili al problema (‘Mettiamoci in gioco’, campagna nazionale contro i rischi dell’azzardo e ‘Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie’ su tutti) che avevano incentrato le proprie rivendicazioni su due dati di fatto incontestabili: da un lato, paventando gli effetti negativi in termini di salute pubblica, con annessi gli altissimi costi sociali, dall’altro, richiamando l’attenzione sulla presenza della criminalità organizzata e di attori di dubbia legalità all’interno della filiera del gioco d’azzardo.
Le disposizioni che verranno introdotte (ci vorrà molto tempo prima che si passi all’esecutività) hanno tutta l’aria delle solite concessioni minime per salvare la faccia.
Infatti il divieto di pubblicità televisiva di lotterie, gratta e vinci & co. durante programmi dedicati ai minori, anche all’infuori della fascia oraria pomeridiana, l’obbligo di segnalare la reale possibilità di vincita e la distanza minima tra sale da gioco e luoghi di interesse pubblico (come scuole e ospedali) stabilita a 200 metri - sembrano davvero troppo poco in un Paese che, per mole di gioco complessiva, si erge al primo posto in Europa e al terzo nel mondo, con le sue 400.000 slot machines (praticamente 1 ogni 150 abitanti!). Unica nota positiva, l’inserimento del gioco d’azzardo patologico (ludopatia) nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), che permetterà agli oltre 800.000 ludopatici e alle loro famiglie di ricevere cure dal sistema sanitario nazionale. Finalmente, verrebbe da dire, visto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce e denuncia questa dipendenza da ben 33 anni.
Il nodo della questione, semmai, resta un altro. In realtà, al momento, l’inserimento nei Lea non è accompagnato dalla garanzia di una copertura finanziaria, vale a dire che le strutture preposte potrebbero non avere fondi e competenze per fronteggiare seriamente il problema.
Siamo alle solite. Per chi le avesse perse di vista, riaffiorano le due tare che, fondendosi indissolubilmente, ostacolano qualsiasi tentativo di invertire tendenze pericolose. La presenza di lobby potenti che muovono ingenti somme di denaro attraverso strutture capillari, che bene mascherano strani meccanismi, e l’impostazione economicistica che sembra orientare dall’alto ogni svolta legislativa. Se il teorema dominante è quello della compatibilità finanziaria di sistema, tutto il resto - costi sociali, economici e psicologici in primis - è ininfluente e rimane relegato a mero corollario.
Non a caso, le voci che si sono levate all’indomani dell’approvazione del decreto in questione, benché eterogenee, sembrano tutte concordi sull’inadeguatezza delle nuove disposizioni sull’azzardo.
Così ha commentato l’avvocato Attilio Simeone, coordinatore nazionale del cartello ‘Insieme contro l’azzardo’: «Da un punto di vista tecnico il provvedimento è un’aberrazione, da un punto di vista politico è fumo negli occhi per mettere a tacere le critiche».
Sulla stessa linea la Consulta nazionale antiusura, per la quale l’azzardo, generando dipendenza di massa, contribuisce alla depressione dell’economia e alimenta il debito pubblico. Altri limiti visibili ad occhio nudo consisterebbero nella mancata regolamentazione del gioco on-line e della pubblicità selvaggia su internet (mercato, questo, in espansione continua), ma, soprattutto, nel fatto che si continuino a calibrare le norme solo sui minori, quando è ormai accertato che la stratigrafia sociale e anagrafica del gioco è spaventosamente trasversale.
Osserviamo la reale portata di questo giro d’affari e le tappe attraverso le quali si è formato questo impero delle scommesse.
Si parla della terza industria italiana, dopo Eni e Fiat, con 120.000 addetti e un fatturato annuo che nel 2011 ha toccato la quota-record di 76 miliardi di euro e che, visto il trend attuale, sembra destinata a crescere ancora. Senza contare i circa 10 miliardi “sommersi” controllati dalle criminalità. Un importo due volte superiore a quanto le famiglie italiane spendono annualmente per la salute che, diviso per la popolazione (neonati compresi), si traduce in una spesa di circa 1250 euro pro capite.
Lo Stato incassa il 10% del fatturato, le dieci concessionarie ‘big’ se ne accaparrano il 50% e la restante cospicua parte della torta entra nelle casse di 1.500 concessionari-gestori minori.
Tutto ha avuto inizio nel 2004, quando la legalizzazione dei giochi ha visto i Monopoli di Stato affidare alle dieci concessionarie ‘big’ la gestione di slot machines, lotterie varie e scommesse sportive, la conduzione della rete telematica e l’obbligo di assicurarne l’operatività. Inoltre, le concessionarie hanno il compito di esattori per conto dello Stato perché, oltre a incassare il proprio utile, sono obbligate ad incamerare il Preu (prelievo erariale unico) per poi versarlo ai Monopoli.
Fin qui nulla di strano, se non fosse che di tutti i concessionari-gestori maggiori, soltanto due (Lottomatica e Snai) sono società trasparenti totalmente made in Italy. Le restanti, invece, hanno sede all’estero ed è difficile capire chi ne siano i proprietari.
L’assurdo è come l’Aams (amministrazione autonoma dei monopoli di Stato) abbia permesso che lo Stato divenisse partner di gruppi così poco tracciabili. Bonariamente potremmo definirla superficialità.
Alcune concessionarie, specie quelle con sedi svizzere, lussemburghesi o, addirittura, nelle Antille olandesi, in passato sono finite nei rapporti della Direzione nazionale antimafia per strane collusioni con la criminalità organizzata e la stessa Dna ha più volte sollevato dubbi sui criteri attraverso i quali sono state scelte le concessionarie, chiara responsabilità dei Monopoli. La Dna ha anche indagato sulla passività di questi ultimi relativamente all’inadempienza di alcuni gestori riguardo l’obbligo di versare le tasse all’Aams. Addirittura la Corte dei Conti, nel 2007, ha elevato sanzioni verso i Monopoli a causa di quella che venne definita una gestione «disattenta».
Alla luce di questi precedenti, risulta fin troppo chiaro il motivo per cui le nuove norme in termini di gioco d’azzardo saranno soltanto degli effimeri cerotti sociali, tesi a tamponare alla buona gli effetti di un fenomeno invece di agire, con coscienza, sulle sue note cause.
Verrebbe da pensare che i ludopatici veri non siano quelli che affollano gli anfratti nascosti dei bar, davanti ai videopoker, tra fumo e birre vuote, ma coloro che siedono sulle postazioni di comando compiendo l’azzardo peggiore, quello sulla salute di tanti altri esseri umani.
Nel dossier ‘Azzardopoli’, il sociologo consulente della Consulta nazionale antiusura Maurizio Fiasco ha scritto: «Nel nostro diritto positivo, il gioco d’azzardo è considerato illegale, salvo poterne autorizzare alcune modalità con un provvedimento di legge».
È vero. Il banco vince sempre.

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