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Gennaio-Febbraio/2013 - Articoli e Inchieste
Criminalità organizzata
Mafie: consigli e paure prima delle elezioni
di Lorenzo Baldarelli

Un viaggio immaginario e simbolico nel nostro
Paese, dalla Lombardia invasa dai clan calabresi
alla Sicilia, palcoscenico del processo
sulla presunta trattativa tra Stato e mafia.
Al centro c’è il Lazio con la Capitale, sempre più
vivaio di nuove collaborazioni e alleanze. A fare
da argine ci sono i poliziotti, i magistrati
e le associazioni, quest’ultime, in vista
delle elezioni, chiedono alla politica gesti
concreti e nessuna ambiguità


Per un vizio di forma la Cassazione ha annullato il deposito delle motivazioni della sentenza del caso ‘Infinito’. Il processo milanese contro le cosche della ’Ndrangheta aveva condannato 110 persone. «L’operazione Crimine-Infinito - come riportato da Il Fatto Quotidiano -, scattata il 13 luglio 2010 e coordinata dalle Dda di Reggio Calabria e di Milano, portò all’arresto di oltre 300 persone, di cui 160 in Lombardia, dove furono individuati 16 “locali” di ‘ndrangheta. La maggior parte degli indagati lombardi scelsero il rito abbreviato, che terminò in primo grado il 19 novembre 2011, con le 110 condanne ora annullate. Altre 41 persone sono state condannate in rito ordinario il 6 dicembre scorso». La sentenza del giudice per l’udienza preliminare di Milano Roberto Arnaldi descriveva il filo rosso che univa i colletti bianchi e l’organizzazione criminale calabrese, che ormai in Lombardia è «autonoma» dalla regione di provenienza. «In buona sostanza - scrive il Gip -, le indagini dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano mostrano che la ‘Ndrangheta in Lombardia si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, nel quale gruppi delinquenziali autoctoni si limitano a riprodurre modelli di azione dei gruppi mafiosi, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di colonizzazione cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso in Lombardia. Qui la ‘Ndrangheta si è radicata, divenendo col tempo un’associazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla casa madre, con la quale, però, continua ad intrattenere rapporti molto stretti».
Se nel Nord del nostro Paese le cose sembrano peggiorare costantemente, al Sud si celebra il processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Così il giornalista Giuseppe Pipitone riassume lo stato delle cose: «Una ricostruzione lunga due udienze per chiedere il rinvio a giudizio di tutti gli 11 imputati della trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. È la richiesta che il sostituto procuratore Antonino Di Matteo ha avanzato al giudice Piergiorgio Morosini, che dall’ottobre scorso presiede l’udienza preliminare del patto sotterraneo siglato tra pezzi delle istituzioni e la mafia. Toccherà ora al gup decidere se accogliere le richieste dell’accusa. Sulla stessa vicenda è stata pubblicata anche la relazione conclusiva della commissione antimafia presieduta da Beppe Pisanu.
Il pm ha passato in rassegna tutti gli elementi raccolti nell’indagine condotta dalla procura di Palermo negli ultimi anni: dall’uccisione dell’europarlamentare Salvo Lima, primo atto di guerra di Cosa nostra allo Stato, fino all’incarico di contattare Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri che l’ex stalliere di Arcore Vittorio Mangano avrebbe ricevuto da Leoluca Bagarella. È a quel punto che, secondo il pm, si sarebbe siglato un nuovo patto tra la mafia e lo Stato. Il passaggio però non è piaciuto al boss corleonese, che ha infatti chiesto la parola per smentire di aver avuto contatti con elementi politici».
Anche nella Capitale i fenomeni mafiosi sembrano cominciare a fare paura. Negli ultimi due anni, anche se si ammetteva la presenza sul territorio di tutte le più note sigle criminali, si cercava di tranquillizzare l'opinione pubblica con dichiarazioni più o meno ambigue. Oggi il procuratore capo Giuseppe Pignatone ammette: «Esiste un problema mafia a Roma, bisogna rompere il potere dei clan».
Per gli investigatori dei Carabinieri e delle Fiamme gialle, nella Capitale opererebbero una ventina di gruppi, dal centro al litorale di Ostia. Si sarebbero stanziate 11 cosche della ‘Ndrangheta, specialmente a Roma Nord, San Giovanni e San Basilio. Sarebbero invece 6 le cosche della Camorra, dall'Eur a Centocelle. Anagnina, Tor Bella Monaca, Laurentino 38 e Ostia sarebbero invece in mano alla nuova malavita romana che comunque è costantemente in contatto con le altre organizzazioni criminali.
In sostanza, ci dicono alcune fonti dei Carabinieri, senza il continuo rifornimento da parte della Camorra e della ‘Ndrangheta di sostanze stupefacenti le organizzazioni romane non riuscirebbero a soddisfare la richiesta. Agli osservatori più attenti, inoltre, non sarà sfuggito che a Roma c'è stata una vera impennata di nascite di nuovi centri scommesse. La squadra omicidi dei Carabinieri, che da tempo indaga sui legami tra vendita di droga, riciclaggio del denaro e gli omicidi che hanno travolto la Capitale lo scorso anno, seguendo i soldi, sono spesso arrivati ai centri scommesse e al cemento. C'è il rischio concreto che i molti quartieri satellite della città siano stati costruiti con liquidità riciclata, vedremo come si evolveranno le indagini.
Per il procuratore capo Pignatone, così come riportato dal Corriere della Sera, «la prima cosa da fare è agire in modo sinergico fra noi e gli addetti alla repressione. Evidenze di un grande fenomeno di presenza mafiosa in senso tecnico non ci sono - e qui forse c'è troppa prudenza -, ma non abbiamo ancora risposte: non c'è un controllo militare delle mafie sul territorio ma, segnali di allarme, episodi sì. Ci siamo presi - continua il procuratore capo - un anno di tempo per valutare se si tratta di casi isolati oppure no». A preoccupare Pignatone sono i fatti emersi negli scorsi mesi a Roma e in provincia, nuovi dati aprono scenari sospettati ma di cui si «ignoravano le dimensioni».
«Indizi di una penetrazione criminale, - conclude il procuratore capo - certamente esistono, se non altro nel mondo del commercio industriale. E ci sono anche presenze pericolose in provincia e nel Lazio. Personaggi con obbligo di dimora, sotto sorveglianza, che possono costituire cellule o mantenere contatti con le organizzazioni di origine. Per prevenire e individuare subito situazioni pericolose è allo studio con la Confcommercio una banca dati per potere seguire i cambi nelle vendite degli esercizi commerciali». È infatti ormai chiaro a tutti che la mafia «non si presenta con il Kalashnikov e la coppola, ma si serve di colletti bianchi, persone che noi consideriamo irreprensibili».
Per la Guardia di Finanza, dopo aver arrestato, il 10 gennaio scorso, 10 persone appartenenti a due gruppi di spacciatori, di hashish e cocaina, vicino ai clan calabresi e campani, a Roma e nel Lazio il 2013 sarà un anno di svolta; il rischio è che si innalzi il livello organizzativo delle realtà mafiose. Non solo traffico di droga, appalti truccati e pizzo, gli investigatori si pongono molte domande: «Tutte queste bande operano senza coordinamento o hanno una logica? Può una piazza importante come Roma essere in mano alla semplice volontà dei singoli oppure esiste un discorso diverso? Anziché farsi la guerra fra loro, agiscono insieme con logiche di convivenza imprenditoriale e regole da rispettare, mimetizzandosi sul territorio, reinvestendo i proventi dello spaccio di droga e di altri illeciti nel settore immobiliare».
L'ala militare delle organizzazioni criminali oggi appare meno forte, «il livello, invece, di inquinamento dell'economia e delle Istituzioni è elevatissimo non riguarda più piccoli centri della Locride, delle Madonie o dei Mazzoni, ma arriva ai principali mercati, enti comuni non solo più del Mezzogiorno d'Italia». A lanciare l'allarme è Raffaele Cantone, magistrato e scrittore napoletano che per anni si è occupato delle indagini sul clan camorristico dei Casalesi. «Se per la repressione della mafia militare - spiega Cantone - la normativa appare abbastanza all'altezza delle necessità, non allo stesso modo si può dire per quella che deve bloccare le scorribande dei clan nell'economia e nella politica».
«L'antimafia come abbiamo imparato a conoscerla fino ad oggi è parte del passato», «la delega alla società civile e alla magistratura deve lasciare il passo all'assunzione delle responsabilità della lotta alla mafia da parte di tutti i cittadini». Significativi sono questi concetti espressi dall'associazione daSud in occasione di Restart Antimafia, assemblea congressuale svoltasi sabato 12 gennaio presso il Goethe Insitut di Roma. Presenti all'iniziativa alcuni politici di spicco nella campagna elettorale del Lazio, Nicola Zingaretti, candidato del Pd alla Regione Lazio, pone l'accento sui ruoli della politica. «Importante è la ridefinizione dei ruoli e degli strumenti di lotta, per evitare la continua delega della lotta alla mafia. Dobbiamo poi combattere per la trasparenza della pubblica amministrazione tramite l'open data [tale scelta si richiama alla più ampia disciplina dell’open government, dottrine che teorizzano l'apertura, in termini di trasparenza e partecipazione, ai cittadini della pubblica amministrazione ndr.], per colpire il cuore della corruzione in Italia e infine imporre, entro un anno di lavoro, la legge sulla partecipazione e il testo unico regionale sulla sicurezza».
L'assenza della politica nei confronti di una concreta lotta alle organizzazioni criminali, e la mancanza strutturale di fondi, sono stati i temi affrontati all'incontro presso il Goethe Insitut. Per meglio indirizzare gli scarsi fondi, per continuare a sensibilizzare l'opinione pubblica e per diventare un valido strumento di contrasto, daSud ha intenzione di istituire un osservatorio sui media che monitori il grado di consapevolezza e la modalità di azione della politica nei confronti dei fenomeni mafiosi. Danilo Chirico, presidente di daSud, associazione che vuole «Ricostruire memoria, mettere in rete le competenze, elaborare idee innovative e di resistenza per il Mezzogiorno, per non lasciarlo nelle mani delle mafie», sottolinea come quest'osservatorio abbia una duplice funzione: «Da una parte mette a disposizione dei cittadini informazioni utili per capire cosa sta succedendo; dall'altra vuole diventare un'opportunità e uno strumento anche per la politica. Dobbiamo sfruttare questa nuova stagione di politici antimafia costruendo un progetto che coinvolga tutti».
È proprio nella politica che secondo i commentatori più attenti si gioca la partita più delicata. Secondo Raffaele Cantone «occorre impedire che le mafie condizionino la vita politica a tutti i livelli, ma soprattutto a quella locale, dove si giocano le partite che a loro più interessano». Sulle pagine del Corriere della Sera, il magistrato suggerisce una strategia: «Tutti i movimenti politici dovrebbero dotarsi di codici di autoregolamentazione a maglie molto strette, che prevedano l'incandidabilità per ogni tipo di elezione non solo dei condannati in primo grado, ma anche dei semplici rinviati a giudizio per reati connessi alle mafie e di quelli amministrativi citati nei provvedimenti di scioglimento delle amministrazioni comunali colluse con i clan». «Bisognerebbe rendere effettivo il reato di voto di scambio politico-mafioso (416 Ter) - spiega Cantone - prevedendo la punibilità non solo quando ci sia l'erogazione di denaro, ma di qualsivoglia altra utilità. In questa stessa ottica andrebbe modificato il delitto di voto di scambio, "ordinario", previsto dalle leggi elettorali, che è accompagnato da una norma in materia di prescrizione che la rende inefficace: bastano appena due anni, infatti, e il reato si estingue».
Sul legame tra corruzione, economia e mafie, l'associazione 'I Cittadini contro la mafia e la corruzione', nata a Roma e nel Lazio nel 2000 per iniziativa di alcuni giornalisti, insegnanti, e semplici cittadini, ha cercato e cerca di sensibilizzare la pubblica opinione.
«Da Roma e dal Lazio - ci racconta Antonio Turri, coordinatore dell'associazione di volontariato -, l'antimafia dei cittadini “semplici” senza gradi e senza eroi, coinvolge dalla Sicilia al Veneto i signori nessuno, gli ultimi, che restano le vittime principali delle mafie e della corruzione.
Una antimafia non dei professionisti, che a nostro avviso devono restare i magistrati e le Forze di polizia. 'I Cittadini contro la mafia e la corruzione' nascono per costruire l'antimafia dei cittadini. Una antimafia delle persone comuni, fatta da volontari e non da "funzionari" che percepiscono stipendi, contributi e che da antimafia della cosiddetta società civile si trasforma successivamente nell'antimafia di partito o dei professionisti. 'I Cittadini contro le mafie e la corruzione' nascono anche per partecipare alla creazione di una rete vera tra pari che sia palestra di democrazia praticata più che enunciata. Quindi - continua a Turri -, a titolo di esempio, 'I Cittadini', favoriscono lo sviluppo delle associazioni dei Testimoni di giustizia - tra i testimoni - senza interferenze e controlli dall'alto. Senza ambizioni egemoniche. Senza che si sviluppi nei settori strategici dell'antimafia la cultura del leader e del "capo dei capi". Per 'I Cittadini' le mafie si contrastano anche favorendo l'idea di una lontananza, anche di tipo organizzativo, rispetto a chi si vuole combattere. Una antimafia cosciente dei propri limiti. Ogni anno le mafie e la corruzione crescono sempre di più nel nostro Paese e non solo in termini di ricchezza economica. Quindi interrogarsi se l'attuale modello organizzativo dell'antimafia sociale non debba essere rivisto. Domandarsi se l'antimafia dell'immaginifico che può forse portare qualcuno in parlamento non debba interrogarsi sugli obiettivi e sui modelli organizzativi. Compreso quello della nostra associazione. Andare oltre i recinti dei propri limiti».
Per Turri, questa classe politica che si presenta alle prossime elezioni è «politica poco credibile anche sul fronte della lotta alle mafie ed alla corruzione. Mafiosi e corrotti sempre più ricchi. Cittadini sempre più poveri. Tutti si lamentano della vergognosa legge sulla corruzione. Tutti organizzano convegni e pubbliche lamentele. Pochi denunciano come questa cattiva legge, lontanissima da quanto ci chiede l'Europa, sia stata promulgata dopo la firma di un Capo dello Stato, che aveva il potere costituzionale di rimandarla alle Camere per renderla decente. Pochi hanno ricordato al Presidente della Repubblica ed ai partiti che quando l'Europa ci chiede di tagliare pensioni, posti negli ospedali e assistenza agli ultimi, le maggioranze si trovano e che tutto diventa complicato quando si chiede alle caste di pagare i conti delle loro malefatte».
Ma la battaglia non è solo economica e politica. «Le mafie - conclude Turri -prima ancora che un sistema criminale sono un sistema economico-politico e sociale che tende a controllare i territori su cui operano. Quindi le mafie sono una cultura, un modo di organizzare la vita dei ‘Cittadini’. Quindi per contrastare le mafie e sconfiggerle bisogna modificare radicalmente i modelli culturali che sono alla base dell'organizzazione sociale. Una società che si riconosce nel "capo branco" e ne è triste esempio la pratica dei "partiti personali" è destinata a convivere con le mafie e la mafiosità. Una società che si attrezza a formare ‘Cittadini’ e non sudditi si predispone a liberarsi definitivamente dalle mafie. Quindi, meno deleghe, meno poteri al potere e più coraggio di fare, nella consapevolezza che i diritti, compreso quello di vivere liberi dalle mafie non si compra al supermercato e non ce lo garantiranno gli eroi, veri o presunti, ma si conquista con, uso un termine desueto ma è il solo che rende bene l'idea, la lotta».


FOTO: Falcone, Borsellino e Caponnetto in una foto del 1986

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