La strada che riguarda la tutela della salute dei lavoratori è impervia e irta di difficoltà.
Avere una legge a disposizione non vuol dire che poi questa venga rispettata alla lettera.
In Italia disattendere le norme è divenuto uno sport nazionale.
Mettere a norma gli impianti, le aziende, i posti di lavoro, richiede costi che non sempre, anzi quasi mai, i datori di lavoro sono disposti a sopportare.
Tanto per fare qualche esempio tra le grandi aziende, potremmo citare l’Acna di Cengio, la Thyssenkrupp e da ultima ma non ultima l’Ilva di Taranto.
Meglio non va se l’osservazione si indirizza sulle piccole-medie imprese o sugli in ambienti pubblici.
Non è stata mai effettuata una casistica su quante aziende medio-piccole e/o uffici pubblici disattendano le norme previste dal DL. 81/2008.
Presumiamo che la percentuale possa attestarsi in una vetta, (medio-alta), a due cifre.
Dai controlli periodici effettuati da ASL e INAIL, a carico di aziende private possiamo alla fine rilevare un quadro delle inadempienze e delle eventuali sanzioni applicate.
Il discorso è diverso quando ci si addentra in ambienti di lavoro pubblici, alcuni dei quali si potrebbero definire off limits, e dai quali non emerge alcuna statistica per ciò che attiene alle misure adottate per la tutela e la prevenzione della salute dei lavoratori, e la conseguente casistica degli infortuni.
Scorrendo le pagine di giornali o di internet, prendiamo conoscenza quasi quotidianamente, di quante morti bianche avvengano nel nostro Paese.
Di contro, però, non abbiamo una dettagliata mappatura su quanti decessi possano catalogarsi quali causa o concausa diretta legata alle attività svolte da talune categorie di lavoratori.
E’ di questi giorni l’uscita, di una organizzazione di categoria (ARVU), su un quotidiano romano, la quale denuncia l’elevato numero di decessi che sono stati rilevati negli ultimi 12 anni nel Corpo dei Vigili Urbani, di cui una buona metà entro il primo anno dal pensionamento.
Infatti l’indagine svolta dall’ARVU, e limitata alla sola Capitale, ci indica quanti vigili capitolini sono deceduti dall’anno 2000 sino al 2012, e più esattamente:
Anno Decessi Anno Decessi
2000 8 2001 15
2002 10 2003 13
2004 20 2005 13
2006 15 2007 16
2008 11 2009 17
2010 11 2011 7
2012 11
Uno studio nazionale su questi lavoratori sicuramente ci porterebbe ad analizzare delle cifre sicuramente impressionanti.
Ci sono poi, altri ambienti di lavoro di cui, di questo genere di statistiche neanche se ne parla.
Invece, di tanto in tanto si prende atto di ciò che accade in quegli stessi ambienti, solo perché si tratta di eventi che salgono agli onori della cronaca, trattandosi, nel 99% dei casi, di suicidi o di sparatorie all’interno di uffici e/o caserme.
E’ stato mai fatto uno studio di settore su quali siano i fattori scatenanti che fanno insorgere determinate patologie o atteggiamenti all’interno degli ambienti di lavoro in uniforme?
Malattie alle vie respiratorie o reumatiche (per chi opera in strada)?
Inquinamenti acustici e ambientali?
Stress dovuto agli eccessivi carichi, ritmi e responsabilità di lavoro, cui vengono sottoposti gli operatori?
Non lo sappiamo.
Però di fatto questi uomini e donne non rientrano nelle tragiche statistiche delle c.d. morti bianche.
Francia e Danimarca, ad esempio, hanno analizzato per anni il lavoro notturno delle donne ed hanno verificato che un’alta percentuale di coloro che erano state prese in esame hanno sviluppato il tumore al seno.
Probabilmente una delle problematiche che accomuna i lavoratori in uniforme, a prescindere che il loro impiego possa essere all’estero, nazionale o locale, è quello di non avere una vita pianificata.
Per vita non pianificata si intende un lavoro sviluppato nell’arco delle 24 ore per 365 giorni l’anno con turni che peraltro non terminano quasi mai alla scadenza naturale dell’orario previsto, e che a volte possono protrarsi per alcune ore se non addirittura per giorni.
Per non parlare dell’irregolarità dei pasti.
Spesso questi lavoratori pranzano quando gli altri, di solito, fanno il loro happy hour, oppure cenano quando molte persone si apprestano ad alzarsi per andare al lavoro.
Dalla ricerca franco-danese non si può escludere inoltre che le alterazioni del ritmo circadiano (veglia-sonno) possano essere elementi classificabili come “probabili cancerogeni”.
Un tempo questi operatori venivano sottoposti ad accurati screening della salute in maniera sistematica e periodica, con ottimi livelli di prevenzione e tutela.
Oggi, purtroppo, finanziaria dopo finanziaria, il settore deputato alla tutela della stessa, come quello legato alle pensioni, alla scuola pubblica, allo stato sociale in genere, ha subito pesantissimi tagli e quindi la prevenzione e la tutela rimangono sulla carta vergata di una bella Gazzetta Ufficiale, che vede la sua parziale applicazione forse nei 2/10 degli ambienti di lavoro e di conseguenza su un esiguo numero di lavoratori.
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