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Dicembre/2012 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
8 dicembre 2012, Audizione del Cocer della Guardia di Finanza alla Camera dei Deputati
di a cura di Massimiliano Valdannini

Gli esponenti del Cocer , chiamati in audizione alla Camera dei Deputati, sul tema dell’ordine pubblico, hanno rappresentato le loro posizioni, proposte ed idee sul tema specifico messo sul tavolo del confronto tra Parlamento e rappresentanze delle forze dell’ordine, ampliando, nel contesto, una analisi di una più vasta platea di situazioni che in questo momento potrebbero fungere da detonatore nelle tensioni sociali del paese.
Di seguito il testo dell’audizione, del Cocer della Guardia di Finanza, alla Camera dei Deputati avvenuta lo scorso 8 dicembre, sul tema della gestione dell’ordine pubblico.




COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA
Consiglio Centrale di Rappresentanza

Ringraziamo il Presidente e gli Onorevoli Parlamentari della Commissione per aver sentito l’esigenza di ascoltare, sulla delicata tematica dell’ordine pubblico, oltre che il punto di vista delle Amministrazioni, anche quello delle OO.SS. e delle Rappresentanze del comparto.
Ci piace credere di essere riusciti in questi anni a far passare il messaggio per cui le OO.SS. e le rappresentanze del comparto sono oggi in grado di contemperare le ragioni del personale con gli interessi generali della collettività, in un contesto, quale quello della tutela della legalità e dell’ordine pubblico, che implica un delicato equilibrio tra i valori fondanti del vivere civile.
Alcune considerazioni sul contesto socio economico con il quale entriamo in contatto.
Il nostro lavoro ci fa entrare in contatto con i cittadini non solo quando manifestano nelle piazze, ma ben di più quando nella loro vita quotidiana agiscono come contribuenti, utenti dei servizi pubblici, risparmiatori, consumatori, lavoratori, imprenditori.
Riteniamo, quindi, di avere un buon punto di osservazione della realtà che ci circonda, delle difficoltà delle famiglie e delle imprese. Il nostro Paese, al pari di molti altri, attraversa una fase di profonda crisi economica, con evidenti riflessi sul contesto sociale, familiare e personale dei cittadini. Lungi dal voler sviluppare un’analisi compiuta delle cause e degli effetti della crisi, ci limitiamo a suggerire alcuni spunti di riflessione che a nostro giudizio aiutano a delineare il contesto in cui ci troviamo e in cui dobbiamo garantire l’ordine e la sicurezza pubblica e le cause che hanno portato alla manifestazione di episodi di violenza all’interno di legittime e pacifiche proteste di piazza:
• l’esistenza di squilibri nei sistemi economici;
• l’ampliarsi delle diseguaglianze sociali ed il crescere della disoccupazione;
• l’inadeguatezza della regolamentazione delle attività economiche e dei
sistemi di tassazione;
• un insufficiente livello di legalità che alimenta il risentimento e la
sfiducia;
• l’azione della criminalità organizzata anche nel suo profilo economico;
• lo svilimento del ruolo delle parti sociali e la conseguente difficoltà a
mediare in sede politica i conflitti sempre più emergenti;
• la mancanza di un’adeguata e virtuosa mobilità sociale, in altre parole, di
chiare prospettive meritocratiche di futuro per i giovani.
Nel dettaglio, reputiamo che l’originaria crisi economica e sociale abbia avuto alla base anche un’insufficiente regolamentazione degli strumenti finanziari e dei mercati, così come siamo dell’opinione che alcuni soggetti economici, non solo nel nostro Paese, si sottraggano al pagamento delle imposte in misura adeguata rispetto alla loro effettiva capacità contributiva, sfruttando l’inidoneità delle attuali norme tributarie a sottoporre a giusta
tassazione i redditi e i patrimoni dei soggetti, imprese o individui, che sfruttano opportunità offerte dalla globalizzazione. Non facciamo riferimento necessariamente a situazioni di evasione o elusione fiscale, ma al ricorso a pratiche ammissibili secondo gli attuali regimi tributari che se però vengono lette alla luce delle condizioni socio economiche in cui si collocano, risultano del tutto non aderenti rispetto al testé citato principio costituzionale.
A nostro giudizio, gli squilibri di finanza pubblica che inevitabilmente impattano egativamente sulle politiche che lo Stato e gli Enti locali possono attuare a favore della collettività, non sono riconducibili solo a disfunzioni sul lato della spesa, come viene costantemente ripetuto, ma vi è anche un problema di insufficienza strutturale di gettito, da non confondere con l’evasione fiscale, derivante dall’incapacità degli stati a far pagare adeguatamente le imposte a chi dovrebbe e a regolamentare i mercati finanziari.
Strettamente connesso con il tema dell’insufficienza del gettito è il problema della ripartizione del carico tributario. Alla capacità di limitare o addirittura sottrarsi all’imposizione da parte di taluni corrisponde, infatti, l’iniqua concentrazione del carico tributario su alcune categorie di contribuenti: lavoratori dipendenti e pensionati, proprietari di immobili, imprese e professionisti non globalizzati. Cioè, per far comprendere più chiaramente il problema, paradossalmente, anche sulla categoria di persone che noi rappresentiamo.
Occorre modificare la tendenza che porta alla concentrazione di ricchezza in capo a pochi soggetti, ridando sostanza al principio redistributivo insito in un equo sistema tributario.Concordiamo con il Direttore Generale della Banca d’Italia quando recentemente ha affermato che: “bisogna riallocare il carico fiscale, ridurre le imposte su lavoro e imprese e trovare i fondi altrove, attraverso la riduzione delle spese improduttive e dell’evasione e, nei limiti del possibile, caricando le quote più alte di reddito e ricchezza del paese”.
Del pari, un intervento su prezzi e tariffe, soprattutto di quei servizi, indispensabili per i cittadini, erogati in contesti di scarsa o del tutto assente concorrenza - come banche, assicurazioni, energia, trasporti - appare appropriato. Non si possono scaricare su clienti che non hanno scelta, stipendi di manager e dividendi di azionisti il cui ammontare appare irragionevole rispetto al contesto in cui le imprese, private o pubbliche che siano, operano.
Ma non vi sono solo criticità strutturali come l’inadeguatezza della normativa tributaria e l’inefficienza della spesa pubblica. In Italia, c’è anche un reale e stringente problema di rispetto della legalità. Evasione fiscale, corruzione, frodi ai bilanci pubblici, infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico sono fattori negativi che pesano come macigni sulla possibilità di assicurare un futuro dignitoso ai nostri figli.
L’evasione fiscale, che in Italia assume dimensioni certamente al di sopra della media dei Paesi sviluppati, mina alla base la convivenza civile ed è un atteggiamento sociale oramai insopportabile in un contesto in cui la crisi economica ha ristretto notevolmente i margini di tolleranza. Ma anche la corruzione rappresenta un fattore di forte distorsione dell’economia, contro il quale vanno attivati urgentemente contromisure che non possono limitarsi
esclusivamente all’aspetto della repressione penale.
La criminalità organizzata, invece, ha saputo cogliere pienamente le occasioni offerte dalla globalizzazione e oggi, a fronte di questa crisi sociale ed economica, potrebbe rappresentare un pericolo mortale per la stessa democrazia.
L’aumento della pressione fiscale su soggetti anche oltre la loro ammissibile capacità contributiva, a fronte del continuo e progressivo abbattimento dei servizi pubblici resi ai cittadini è sicuramente una delle cause che ha portato all’esasperazione della tensione sociale.
Abbiamo avuto già modo di rappresentare parte di questi elementi al Ministro Grilli e siamo contenti che il nostro intervento sia servito a stimolare il dibattito sul tema anche in Italia come testimonia l’interesse della stampa per l’argomento.
Alcune valutazioni sul mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Il disagio economico può costituire il collante che mette insieme la ciclica protesta degli studenti, con quella dei giovani che non trovano sbocchi e prospettive, con quella degli adulti che perdendo il lavoro e non sono più in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni delle famiglie. In questo tessuto possono infiltrarsi i gruppi violenti e la criminalità organizzata i quali possono strumentalizzare il disagio per il conseguimento dei loro fini.
Si tratta di una situazione molto difficile in cui la risposta non può essere demandata esclusivamente alle Forze di Polizia nelle piazze, quando oramai, in molti casi, è troppo tardi.
Esiste uno stato di tensione palpabile che si riscontra ogni giorno, ad esempio allorquando si effettuano interventi come quelli di natura fiscale.
Tensione che affonda le sue radici indubbiamente nello stato di precarietà economica che attraversa il Paese.
I recenti episodi che hanno visto il coinvolgimento di personale e strutture di Equitalia ne sono un indicatore. Ma ancor più significativo è il gravissimo e dolorosissimo fenomeno dei suicidi di imprenditori e lavoratori in difficoltà.
Sarebbe un grave errore concentrare l’attenzione solo sui disordini di piazza senza prima prendere in considerazione le cause che li hanno scatenati.
E’ forse il caso che, prima di pensare a come reprimere, ci si interroghi sulle ragioni che hanno ingenerato nell’opinione pubblica una preoccupante e progressiva sfiducia nei confronti della politica e, di conseguenza, delle istituzioni, alimentando quel diffuso sentimento di scollamento tra la politica stessa e la realtà quotidiana vissuta dai cittadini.
C’è, quindi, uno scenario più ampio da considerare e nel quale intervenire.
Come affrontare queste tematiche?
Certamente elaborando risposte a livello politico in grado di incidere seriamente sui grandi temi dell’economia come quelli che abbiamo illustrato in precedenza, ma avviando, ontestualmente, un serio processo di coinvolgimento di tutte le componenti sociali in un dibattito che porti ad elaborare e condividere le soluzioni. Occorre invertire profondamente
l’impostazione degli ultimi anni, evitando nel contempo di ricadere negli errori del passato quando forse si scambiava consenso con spesa pubblica.
Per quanto ci riguarda, crediamo fermamente nel dialogo, nella possibilità di smorzare quanto più possibile le tensioni, nella possibilità di mettersi in ascolto. L’esperienza ci insegna che si possono compiere atti molto incisivi sulla sfera di libertà dei cittadini come un arresto, una perquisizione, un sequestro rispettando le regole e mantenendo l’umanità del proprio agire.
Non sempre però è possibile percorrere la strada del dialogo, soprattutto se di fronte si hanno persone che intenzionalmente e premeditatamente sono lì per provocare disordini e utilizzare la violenza. Se mi presento in piazza o in una valle alpina con caschi, spranghe, biglie ecc., probabilmente ho scopi diversi rispetto a rappresentare civilmente le ragioni del mio dissenso. Anzi, non di rado chi si fa scudo e si confonde fra i manifestanti, adotta artifizi per celare la sua identità.
Il diritto dei cittadini a manifestare va garantito, ma allo stesso tempo, va garantita la necessaria cornice di legalità che permetta al manifestante pacifico di esprimere liberamente il proprio dissenso ed al cittadino comune di non vedersi devastati i propri beni.
L’esercizio della violenza da parte di gruppi, spesso estranei alle ragioni delle piazze, e che strumentalizzano le legittime proteste, va prevenuto e represso. Questo dovrà avvenire, verosimilmente, anche, ad esempio, prevedendo l’ottimizzazione delle misure cautelari già esistenti (arresto differito).
Analogamente, secondo legge vanno puniti gli eventuali abusi commessi dagli appartenenti alle Forze di Polizia.
Per prevenire il proliferare della violenza, la delegittimazione della protesta e l’azione di controllo da parte della polizia, occorre, individuare ed isolare i soggetti che si rendono responsabili di atti violenti.
Entrando su un piano più pratico, si segnala l’opportunità che quando si fa riferimento a tecniche o regolamentazioni di altri Paesi (numero identificativo sui caschi degli operatori) occorre valutare nel loro complesso gli ordinamenti e le condizioni ambientali in cui si dispiega la protesta, il grado di incisività della legislazione in vigore in quello Stato, gli strumenti a disposizione dell’azione di polizia ed il grado di efficacia e tempestività della giustizia.
Nessuna pregiudiziale deve avere un rappresentante della legge ad avere elementi identificativi in attività di ordine pubblico ma, di contro, bisogna rispondere con misure certe e tempestive nei confronti dei professionisti della violenza.
In un’ottica di maggiore responsabilizzazione delle Forze dell’Ordine è comunque assolutamente necessario che la politica affronti la tematica nel suo complesso e, quindi, anche sotto il profilo delle tutele nei confronti del personale che quotidianamente si trova ad operare in una situazione sempre più complicata, sia in termini di tutele legali sia in termini di dotazioni e mezzi.
Troppo spesso, infatti, negli ultimi anni la specificità di impiego e di status del personale del comparto è stata colpevolmente dimenticata da parte del legislatore, un po’ per superficialità ed un po’ per ignoranza, tanto che si è giunti a garantire una copertura assicurativa per responsabilità civile verso terzi, per gli operatori di polizia, solamente dal 2005, tra l’altro, con risorse attinte da quelle destinate ai rinnovi contrattuali, mentre i tagli lineari alle retribuzioni e al funzionamento hanno riguardato il comparto sicurezza e difesa, come e più del resto della pubblica amministrazione.
Ancora oggi si ha difficoltà a rappresentare le ragioni della specificità del personale del comparto, come, da ultimo, avvenuto in occasione della discussione sull’emanando regolamento di armonizzazione previdenziale all’esame delle competenti commissioni parlamentari.
Emblematico è stato il caso della decurtazione del trattamento economico in caso di assenza per malattia, quando per escludere il personale di polizia rimasto ferito in attività di ordine pubblico vi è stato bisogno di una forte mobilitazione da parte delle Rappresentanze e delle OO.SS. con, anche in questo caso, l’uso di risorse della contrattazione per circa 5 mln di euro.
Senza contare che, ancora oggi, non è stato fattivamente riconosciuto il ruolo di parte sociale, con autonomia gestionale e finanziaria, agli organismi della rappresentanza militare che tutelano le forze di polizia ad ordinamento militare. Una deficienza giuridica che rende incerta la facoltà di costituirsi parte civile in processi penali, a tutela del personale che risulta “parte offesa”.
Anche se, ad onor del vero, riteniamo di dover segnalare che recentemente in occasione di un procedimento penale contro i manifestanti No- Tav della Val di Susa, il G.U.P. presso il Tribunale di Torino, nell’udienza del 06.07.2012, ha accolto la richiesta dell’Organismo di Base di Rappresentanza del Piemonte di potersi costituire parte civile nell’instaurando processo. In tale contesto, l’Avvocatura dello Stato non aveva dato l’assenso per la difesa d’ufficio e, quindi, per il patrocinio gratuito. Di fatto, ciò si è tradotto in un esborso economico a carico dei singoli delegati appartenenti all’Organismo di Rappresentanza che si sono visti costretti a dover far fronte all’esigenza con proprie risorse personali.
In conclusione, riteniamo che la soluzione a tali fenomeni non può essere ricercata altrove, né demandata esclusivamente all’azione di contrasto da parte delle forze dell’ordine.
La via d’uscita risiede, inevitabilmente, nella qualità dei sistemi sociali, economici ed occupazionali che la politica riuscirà a sviluppare nei prossimi mesi ed all’equità con la quale riuscirà ad attuarli.

COCER DELLA GUARDIA DI FINANZA

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