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Dicembre/2012 - Laboratorio
http://www.laboratoriopoliziademocratica.it - http://laboratoriopoliziademocratica.blogspot.it/ www.cives.roma.it
Pensioni dei militari e dei poliziotti: in Europa funziona così
di Eliseo Taverna - Delegato CoCeR - GdiF

In quasi tutti i Paesi occidentali che si interfacciano con l’Italia il militare ed il poliziotto cessano dal servizio dopo una vita lavorativa decisamente inferiore a quella di ogni altro lavoratore, sia appartenente al comparto pubblico, sia a quello privato.
Lo status, la specificità d’impiego e l’esigenza di dover assicurare un livello operativo degli apparati, necessario per la sicurezza interna e per quella internazionale, si coniugano al riconoscimento che il Paese ha verso coloro che spendono la propria vita al servizio della collettività. Questi presupposti costituiscono gli elementi che consentono a queste categorie di particolari lavoratori di poter ricevere, a fronte di un servizio reso alla nazione, un trattamento di quiescenza prima di tutti gli altri lavoratori.
In Spagna una direttiva della Difesa nazionale del 2004 prevede che i militari di truppa, in forza delle particolari caratteristiche d’impiego operativo, all’età di 58 anni transitino nella riserva. La stessa, paragonata al sistema pensionistico italiano, é assimilabile al pre-pensionamento che si utilizza per i dipendenti italiani soggetti all’assicurazione obbligatoria generale; il personale, in pratica, é privo di obblighi d’impiego ma continua a percepire il trattamento economico legato al parigrado in servizio ridotto, però, del 10% con la possibilità di rimanere in tale posizione fino all’età di 65 anni.
In Gran Bretagna esistono due regimi pensionistici; il primo è stato introdotto nel 1975, si è concluso nel 2005 ed è noto anche come Afps 75 Ipp (Punto di pensione immediato). Consente, in pratica, il pensionamento per i ruoli esecutivi con un’anzianità di servizio pari a 22 anni mentre il secondo Afps 05 consente il pensionamento minimo con un’età anagrafica non inferiore a 40 anni ed un periodo di servizio di almeno 18 anni.
Generalmente, il limite massimo per il pensionamento è di 55 anni, momento in cui si ha diritto ad una pensione provvisoria (circa il 75% del trattamento di quiescenza) ed alla buonuscita (di norma esentasse) pari a tre volte l’ammontare annuo del trattamento pensionistico. La pensione provvisoria, simile all’istituto dell’ausiliaria prevista dal sistema italiano, è aumentata ogni anno in base al tasso d’inflazione.
Se si lascia il servizio prima dei 55 anni ma avendo maturato i requisiti per l’Edp (18 anni di servizio e 40 d’età, si ha diritto alla liquidazione ed a un trattamento di quiescenza pari all’incirca al 50% del trattamento intero. Il periodo massimo di servizio prestato non supera i 37 anni.
In Francia il diritto alla pensione è legata ad un periodo minimo di 15 anni di servizio, mentre il limite massimo è di 40 anni. Di conseguenza, il relativo trattamento è proporzionale agli anni di servizio svolti.
Il diritto ad un beneficio minimo di pensione, erogato immediatamente in caso di congedo, si riceve per il personale esecutivo già dopo aver svolto 15 anni di servizio. Tale principio, estremamente vantaggioso, è stato sancito dall’articolo 1 dello statuto generale dei militari che recita: “i doveri che comporta e gli obblighi che implica la condizione militare, meritano il rispetto dei cittadini e la considerazione della nazione” .
Per il personale esecutivo, tutto con rapporto contrattualizzato, non si superano i 27 anni di servizio, il che si traduce nella possibilità di congedarsi verso i 50 anni. Il trattamento di quiescenza dei militari, al pari di quello dei dipendenti pubblici, è cumulabile con un altro stipendio.
In Germania le norme sono meno vantaggiose, poiché a partire dal 2012 i limiti d’età sono stati innalzati a blocchi di uno o più mesi fino al 2024. Di conseguenza, dopo aver prestato servizio per un periodo massimo di 25 anni ricevono un’indennità transitoria provvisoria, mentre il trattamento di quiescenza vero e proprio non viene erogato prima dei 65 anni.
Ad onor del vero, però, c’è da evidenziare che già a partire dal 1986 il governo ha varato una serie di provvedimenti che permettono ad un consistente numero di militari di poter lasciare anticipatamente il lavoro al compimento del 50° anno d’età, a domanda dell’interessato e previo nulla osta della Difesa, ovviamente con tutti i diritti pensionistici maturati. Ad oggi, nell’ambito di un progetto di riduzione del personale è allo studio una regolamentazione di legge analoga, che prevede l’ottenimento del massimo dei diritti acquisiti al compimento dei 50 anni d’età. Il limite massimo per il pensionamento dei poliziotti, che operano in queste Nnazioni, è mediamente di 60 anni, con eccezione della Francia che è di 55 anni con 40 anni di contributi (35 + 5 di abbuono).
In Italia fino al 2011 vi erano le seguenti tre possibilità di uscita anticipata dal mondo del lavoro, ovviamente con diritto a pensione:
- raggiungimento massima anzianità contributiva (80% circa) 35 anni di contributi e 53 anni di età. A decorrere dal 2012, con il passaggio al sistema contributivo puro per tutti i lavoratori, non vi sarà più la possibilità di uscire dal mondo del lavoro con la massima anzianità contributiva, fatta eccezione per coloro che hanno già maturato i requisiti entro il 31.12.2012;
- al compimento del 57° anno d’età e con un’anzianità contributiva di 35 anni;
- con 40 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica;
Questo quadro, certamente favorevole e diversificato, si completava con il riconoscimento degli incrementi figurativi dell’anzianità di servizio, “cosiddette supervalutazioni”, per un massimo di cinque anni nell’arco della carriera validi, però, solo ai fini della maturazione del diritto all’accesso per il trattamento pensionistico, ma ininfluenti per la misura della stessa.
Un’ulteriore opportunità, poi, era rappresentata dalla possibilità di accedere alla pensione di vecchiaia (cosiddetto limite ordinamentale previsto per ogni singolo ruolo) di norma 60 anni per gli esecutivi.
Al raggiungimento di questa meta (60 anni d’età) d’ufficio, o a domanda, dopo aver svolto 40 anni di servizio, il personale veniva posto in posizione di ausiliaria. Una via di mezzo tra il congedo assoluto ed il servizio, ove il dipendente percepiva per cinque anni il trattamento di quiescenza, più un’indennità lorda pari al 70% dei miglioramenti economici erogati al parigrado in servizio all’atto del collocamento a riposo.
L’interessato, rimaneva a casa ma era obbligato a sottoscrivere un impegno con il quale forniva la disponibilità a prestare servizio - all’occorrenza - nell’ambito del comune o della provincia di residenza, per l’Amministrazione di appartenenza o per altra Amministrazione, con l’obbligo di non assumere impieghi, né rivestire cariche retribuite e non presso imprese che hanno rapporti con l’Amministrazione militare e con assoggettamento alla disciplina di Stato, tenuto conto che seppur in congedo, conservava la qualità di militare.
Al termine del quinquennio l’ultimo rateo di ausiliaria andava ad incrementare definitivamente il trattamento di quiescenza, il quale veniva rideterminato anche in relazione alla differenza di età e al corrispondente coefficiente di trasformazione, ovviamente più alto di quello utilizzato per il calcolo del trattamento pensionistico al momento della collocazione in ausiliaria.
Tutte le riforme in materia pensionistica che si sono succedute nel tempo, in attuazione di precisi criteri di delega forniti dal Parlamento ai vari governi, sia che hanno riguardato l’incremento dei limiti di accesso alla pensione, sia gli specifici istituti hanno sempre tenuto conto della peculiarità del servizio svolto dal personale appartenente al Comparto Difesa, Sicurezza e soccorso pubblico.
E’ del tutto assurdo, pertanto, che Il governo e, in particolar modo il ministro del Lavoro Elsa Fornero, con la riforma che ha proposto voglia, di fatto, snaturare ed ignorare - a differenza del passato - il concetto di specificità, proprio ora che i principi fondanti di tale condizione sono stati recentemente affermati dal Parlamento con l’art. 19 della legge 184/2010 che testualmente recita: “ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto d’impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad esse appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previste da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle Istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti”.
Una scelta, in pratica, quella del governo attuale, irrazionale e paradossale che va in netta controtendenza con le scelte fatte negli ultimi cinquant’anni da tutti i governi.
Anche in questa occasione, è evidente che qualcuno non sta perdendo l’occasione di far diventare l’Italia il fanalino di coda dell’Europa.

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