È morto Paolo. Paolo è vivo. Almeno nei suoi scritti pieni di senso che lo portavano ad essere un passo avanti rispetto ad altri, grazie ad una visione del mondo che forse non esiste più ma che gli permetteva un'analisi logica dei fatti, basata sull'esperienza storica, senza pari.
Ero ancora la brutta fotocopia di un giornalista quando l'ho conosciuto, Andruccioli, il vecchio direttore, era andato via e il nuovo non lo conoscevo affatto. Qualche tempo prima d'incontrarlo, cercavo di sapere chi fosse o come la pensasse il nuovo direttore ma le "rospe" [Marisa Labagnara ed Angela Boggioni Fedeli N.d.r.] erano abbottonatissime. Mi dicevano di non preoccuparmi, che "il direttore" era una persona squisita e che mi apprezzava. "Lui" mi conosceva, aveva letto i miei articoli e gli erano piaciuti. Anche io avevo letto un paio dei suoi e mi erano piaciuti ma non sapevo chi fosse, era solo un nome stampato sulla rivista e non bastava per essere tranquillo. Non potevo non essere comunque preoccupato, avrebbe mai avallato i miei articoli, sempre un po’ di interventisti e di destra? E se fosse stato un bolscevico? Alla fine, una mattina, lo conobbi, era una persona straordinaria. Un "bolscevico" almeno ai miei occhi e credo che io gli sembrassi una specie di strano "scavezzacollo, conservatore e guerrafondaio", non eravamo nè l'uno nè l'altro ovviamente ma ci piaceva pensarlo, abbiamo, nel tempo, scoperto una grande affinità.
E’ grazie a lui (e - lo ammetto - ai soldi degli editori) che sono riuscito a fare i miei reporatge dall'Afghanistan, dal Libano e da Israele/Palestina. Reportage che iniziavano mesi prima, con discussioni animate sul chi intervistare, cosa andare a vedere, su cosa scrivere (e soprattutto su come "estorcere" un budget sufficiente).
Dopo i miei viaggi all'estero, passavamo tempo a chiacchierare della situazione politica trovata e sulle successive attività, io cercavo di proporgli cose e lui mi frenava con "Si! Mi pare un'ottima idea, vedremo" che non era un modo seppur elegante di non farmi fare le cose ma il consiglio di un amico per invitarmi a riflettere, perchè come diceva Cat Steven, "domani ci sarai ma i tuoi sogni potrebbero non esserci più".
Non eravamo sempre d'accordo, a volte mi faceva arrabbiare, quando dava spazio ad alcuni articoli che io non avrei mai pubblicato, o quando "cesellava" i miei pezzi, in maniera da essere più "politically correct" possibile. L'ha fatto due volte, la prima lasciandosi sfuggire un giudizio morale con il titolo di un pezzo che riguardava un ex terrorista e l'altra esprimendo una distanza rispetto ad opinioni sessuali espresse in una intervistata. Non mi sarei aspettato un Paolo "perbenista" ma forse non lo era. Quei due giudizi evidentemente gli erano venuti in mente e si è sentito di darli. In fondo era il direttore e poteva farlo. In fondo era mio amico e poteva farlo.
Di Paolo ricorderò sempre le immancabili sigarette, i discorsi di politica internazionale, le virgole (diceva che ne mettevo sempre poche) e soprattutto il suo modo di dare consigli senza farsi scoprire. Adesso è partito per il suo reportage più importante, prima di noi è andato a fare lo scoop che tutti vorrebbero trovare: scoprire l'esistenza di Dio. Quella che per me è una speranza, per lui, ora, è una certezza. Anche stavolta è un passo avanti.
Paolo è morto. Paolo è vivo. Lo è nei nostri cuori.
Foto: Paolo Pozzesi sul set di “Vento dell’Est”
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