Intervista alla professoressa
Silvia Buzzelli, associato
di Procedura penale sovranazionale
all’Università degli Studi
di Milano-Bicocca
La ricostruzione giudiziale dei crimini nazifascisti in Italia. Questioni preliminari (Giappichelli, 2012, pp. 316, € 25) è un lavoro a più mani sui crimini di guerra in Italia nel corso della Seconda guerra mondiale con lo scopo di approfondire, capire e spiegare dalla prospettiva e con i mezzi del giurista un fenomeno della nostra storia spesso trascurato.
Dopo aver riflettuto sulla genesi e lo sviluppo dell’attività giudiziaria sui crimini di guerra, gli autori (una docente universitaria, un magistrato militare e un avvocato penalista) analizzano la figura del testimone-persona offesa, anche in rapporto alla questione del risarcimento del danno, senza tralasciare gli indispensabili riferimenti all’odierno diritto internazionale e umanitario. Abbiamo incontrato la professoressa Buzzelli.
Com’è nata l’idea di un volume sulla ricostruzione giudiziale dei crimini nazifascisti nel nostro Paese?
Parlo al plurale, pensando al gruppo di lavoro creato con il dott. Marco De Paolis e l’avv. Andrea Speranzoni, due giuristi preparati e sensibili che ho avuto la fortuna di incontrare.
L’idea di scrivere un volume del genere è scaturita dall’intenzione di far convergere le nostre esperienze professionali. Ne è uscito un libro disomogeneo (ed è bene, a mio avviso, che sia così): rispecchia quello che siamo (un magistrato militare, un avvocato, una docente) e quello che stiamo facendo nelle aule di giustizia come in quelle universitarie.
Andava scritto necessariamente a più mani questo libro per analizzare le medesime questioni, ma da prospettive diverse: di chi partecipa come pubblico ministero alla storia giudiziaria (De Paolis), di chi difende le vittime (Speranzoni). E di chi, come me, tenta di spiegare l’inimmaginabile (uso l’aggettivo che compare oggi nello Statuto della Corte penale internazionale) rivolgendosi a degli studenti universitari che talvolta non posseggono gli strumenti adeguati per affrontare le questioni, drammatiche e particolari, sollevate dalla Giustizia penale sovranazionale.
Perché un fenomeno così tragico, che tanto ha segnato la nostra storia nazionale, è così poco approfondito in ambito accademico?
La risposta richiede un distinguo preciso, secondo me. L’approfondimento c’è stato ad opera degli storici. Un esempio per tutti: penso al volume di Pezzino e Baldissara (Università di Pisa) intitolato “Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole”, un lavoro di ricostruzione, complessa e completa, dell’eccidio di Marzabotto-Monte Sole, il più grave quanto a numero di morti nell’Europa occidentale, avvenuto a cavallo tra il settembre e l’ottobre del 1944.
Forse ancora oggi è assente una riflessione degli operatori del diritto, propensi a reputare le vicende processuali, legate ai crimini nazifascisti, terreno di proprietà esclusiva degli studiosi di storia contemporanea. Noi abbiamo faticosamente cercato di entrare in questa “zona proibita”.
Questo mancato approfondimento scientifico, a suo parere, ha contribuito a spianare la strada al revisionismo, nemmeno tanto strisciante, dei nostri giorni?
Più che di revisionismo, parlerei di negazione o minimizzazione grossolana dei crimini. Preferisco questi termini, utilizzati in una decisione quadro dell’Unione europea nel 2008; il revisionismo, infatti, nasce con un significato ben preciso all’interno della dottrina marxista; ora lo si usa spesso al di fuori della sede originaria.
I problemi, ritengo, siano collegati all’impiego di un metodo scorretto: si ricostruiscono i fatti in maniera parziale, rinunciando alla neutralità metodologica che dovrebbe ispirare sia il giudice che lo storico. Prevalgono il pre-giudizio e la faziosità: si trascura l’esame accurato delle fonti, e ciò è inequivocabile indizio di strumentalizzazione politica. I fatti storici vanno comunque accertati sulla base del materiale probatorio reperito a trecentosessanta gradi.
Non si possono trascurare gli elementi politicamente e/o ideologicamente “scomodi”: chi lo fa manifesta una disonestà intellettuale di fondo, qualunque lavoro svolga (storico, giornalista, giudice).
E l’amnistia Togliatti, quanto ha inciso?
L’amnistia, in linea teorica, occupa un posto all’interno di quella che viene definita la “giustizia di transizione”: il dimenticare collettivo e per legge possiede – lo ha scritto di recente la Corte europea dei diritti dell’uomo – una «giustificazione ragionevole». Il motivo è la pacificazione.
Ma l’amnistia si tramuta in beffa se viene applicata in maniera amplissima e fuorviante, come è successo in Italia nell’immediato dopoguerra, a causa di un testo legislativo che ha permesso alla magistratura dell’epoca (quasi tutta legata alla dittatura fascista, poiché le epurazioni sono state rare) di riabilitare completamente chi si era macchiato di barbarie disumane (uccisioni, torture, stupri). Alla fine la clemenza si è trasformata in “colpo di spugna” e ciò ha ritardato – è bene sottolinearlo – le stesse indagini sui criminali di guerra tedeschi.
Che cosa ha impedito di celebrare i processi e fare giustizia nell’immediato dopoguerra?
La risposta andrebbe articolata (pertanto non posso che rinviare alle pagine del libro dedicate alle varie fasi della giustizia italiana, segnalando le schede predisposte da Marco De Paolis relative ai processi che si sono svolti dal dopoguerra ad oggi). Sono però convinta che il dato più macroscopico sia da collegare alle trasformazioni dei rapporti politici; la cosiddetta guerra fredda, la cortina di ferro, la divisione in blocchi hanno ostacolato enormemente la giustizia. E non poteva che essere così: i nemici di un tempo erano divenuti, nel giro di pochi anni, alleati fedeli.
Non è un caso che ritroviamo molti esponenti nazisti alle dipendenze della Cia e dei vari servizi segreti (la stessa vicenda Eichmann lo conferma); terminata la guerra, insomma, il nemico era l’Urss. E le conseguenze dei nuovi assetti politici non potevano che influenzare le vicende giudiziarie.
Ha senso giudicare a distanza di decenni?
E’ possibile giudicare a distanza di decenni in quanto i grandi crimini sono destinati a non prescriversi mai. E’ possibile e, a mio sommesso avviso, ha un valore profondo: non scordiamoci che, a differenza di qualsiasi altro documento, le sentenze sono emesse «in nome del popolo italiano» e, costituiscono (se vogliamo riprendere le parole contenute nel giuramento che impegna i giudici popolari in Corte di Assise) «affermazione di verità e giustizia».
Ha senso eccome giudicare, nonostante siano passati sessanta e più anni, ha senso anche se il banco degli imputati resta vuoto (e gli accusati rimangono contumaci). Ha senso per le vittime: noi non possiamo probabilmente neppure immaginarlo quanto senso abbia il processo per costoro (per averne un’idea è utile leggere i capitoli curati da Andrea Speranzoni, avvocato di parte civile).
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Gli autori
Silvia Buzzelli (Monza, 1958) è laureata in giurisprudenza alla Statale di Milano. Attualmente è professore associato di Procedura penale europea e Procedura penale sopranazionale nell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. E’ autrice della monografia Le letture dibattimentali (2000) e curatrice (assieme a O. Mazza) del Codice di procedura penale europea. Ha pubblicato vari scritti e voci enciclopediche, specie in materia di prove, libertà personale, cooperazione giudiziaria e di polizia.
Marco De Paolis (Roma, 1959) ha diretto la Procura militare della Repubblica di La Spezia dal 2002 al 2008, istruendo oltre 450 procedimenti per crimini di guerra del secondo conflitto mondiale. E’ stato pubblico ministero nei processi per le grandi stragi nazifascisti (Sant’Anna di Stazzema, Civitella val di Chiana, Monte Sole-Marzabotto, San Terenzo-Vinca, Fucecchio, Vallucciole e Monchio). Attualmente dirige la Procura militare della Repubblica di Roma ed è presidente dell’Associazione magistrati militari italiani.
Andrea Speranzoni (Venezia, 1971) è avvocato penalista del Foro di Bologna. Specializzato in Diritto penale militare, ha difeso numerose parti civili nei processi per crimini di guerra istruiti dalle Procure militari di La Spezia e Verona. E’ coautore di svariate pubblicazioni, in particolare Lo stato di eccezione. Processo per Monte Sole 62 anni dopo (Cineteca di Bologna, 2009).
FOTO: La prof.ssa Silvia Bruzzelli
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