Il neodirettore della Scuola Allievi Agenti di Peschiera
del Garda: “Ho intenzione di far incontrare i ragazzi
con le vittime di stalking. Sbattere la faccia contro la realtà
insegna più di mille libri e stare ad ascoltare persone
che hanno sofferto aiuta a capire. Proverò a insegnare
come sia importante andare in giro a cercare di distruggere
il pregiudizio che molti nutrono nei confronti delle donne”
Nel “Codice europeo di etica per la Polizia” (Consiglio d’Europa, 2001) si legge che la formazione del personale di polizia deve basarsi sui valori fondamentali della democrazia, dello stato di diritto e sulla protezione dei diritti umani; essa deve inoltre essere aperta quanto più possibile alla società. Nella formazione della polizia a tutti i livelli, inoltre, deve essere inserito un addestramento pratico all’uso della forza e ai limiti a tale uso, stabiliti in base ai principi in materia di diritti umani, in particolare alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La formazione del personale di polizia, infine, deve tenere pienamente conto della necessità di combattere il razzismo e la xenofobia.
Si legge, ancora, che nello svolgimento delle sue mansioni, la polizia deve sempre tenere in considerazione i diritti fondamentali di ciascun individuo, agendo con integrità e rispetto nei confronti dei cittadini, con particolare considerazione per la situazione degli individui che appartengono a gruppi particolarmente vulnerabili.
Uno di questi gruppi è senz’altro rappresentato dalle donne. Dall’inizio dell’anno, le donne uccise sono state 115, circa una ogni tre giorni; in più della metà dei casi, gli assassini sono mariti, fidanzati o ex compagni. Nel rapporto 2012 sul Gender Gap del World Economic Found colpisce un dato assai preoccupante: l’Italia si trova all’ottantesimo posto, preceduta da stati come il Botswana, la Tanzania ed il Burundi. Una regressione senza precedenti della condizione femminile sul piano dei diritti e dell’uguaglianza, che rende indifferibile l’adozione di provvedimenti che contrastino efficacemente le aggressioni contro le donne.
In occasione della “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne”, abbiamo incontrato i direttori di due istituti formativi per operatori di Polizia, per capire il senso della necessità di una formazione continua per le fForze dell’ordine ed il contributo che possono apportare contro la violenza di genere.
Gianpaolo Trevisi (Roma, 1969) dopo la laurea in Giurisprudenza presso l’Università la Sapienza di Roma, ha iniziato la sua carriera nella Polizia di Stato come vice commissario a Verona, prestando servizio alle volanti e successivamente alla direzione del personale. Divenuto vicequestore aggiunto, è stato dirigente dell’Ufficio immigrazione e della Squadra Mobile, fino alla recente nomina a direttore della Scuola Allievi Agenti di Peschiera del Garda. Apprezzato scrittore e narratore, ha pubblicato i seguenti libri: Fogli di via. Racconti di un vicequestore (Emi, 2008), Un treno di vita. Dodici racconti italiani (Gabrielli, 2009), La casa delle Cose (Emi, 2011) e Coriandoli (Gabrielli, 2012).
Dottor Trevisi, dopo le esperienze all’Ufficio immigrazione e alla Squadra mobile di Verona, è approdato alla direzione della Scuola Allievi Agenti di Peschiera del Garda: si aspettava questo nuovo incarico?
È stata una meravigliosa sorpresa e il Dipartimento mi ha concesso questa grande opportunità quando a tutto pensavo tranne al fatto di poter diventare Direttore della prestigiosa Scuola Allievi Agenti di Peschiera del Garda! Alle volte si pensa che uno debba iniziare la carriera in Questura e finirla in Questura o, peggio ancora, nello stesso ufficio, e invece credo sia prezioso e importante fare esperienze diverse. Sono i cambiamenti, il più delle volte, che ci fanno crescere e sono già sicuro che la Scuola e il suo personale mi potranno arricchire molto e nel mio piccolo spero di poter dare loro nuovi insegnamenti e consigli.
Solo apparentemente è un incarico meno operativo dei precedenti: tutto ciò che i giovani impareranno a Peschiera, costituirà un importante bagaglio che porteranno nelle loro sedi e “praticheranno” quotidianamente: una bella responsabilità. Come si sente ad avere sulle spalle un compito così gravoso?
Ha ragione: apparentemente è meno operativo, ma avere quotidianamente a che fare con giovani e avere la responsabilità di formare poliziotti validi ti regala comunque emozioni, adrenalina e infinita voglia di fare! Riconosco sia un compito gravoso, ma più i compiti sono così e più si ha il desiderio di portarli avanti, più si è felici quando si è cercato di portarli a termine nel migliore dei modi. Cercherò non di preparargli il “bagaglio” che si devono portare, ma di far loro capire cosa ci devono mettere dentro di assolutamente necessario.
Il mestiere del poliziotto è uno tra i più bei lavori, ma alle volte è difficile e molto complicato; spesso bisogna mettere in pratica cose che nessuno ti ha mai insegnato, come consolare i parenti disperati di una persona uccisa o parlare come se niente fosse con un assassino per capire da lui il perché l’ha fatto. Credo che la cosa più importante che un poliziotto si deve ricordare sempre è quella che prima di tutto si è uomini e che chiunque ci si trova di fronte, assassino, ladro, rapinatore, clandestino o truffatore, è un essere umano e come tale deve essere trattato.
Cosa devono mettere nel loro bagaglio i giovani poliziotti?
Credo sia necessario metterci onestà, impegno e capacità di saper distinguere la Giustizia dalla legge. Tutte le altre qualità che un poliziotto deve avere non sono altro che aggiunte importanti, e per alcuni uffici fondamentali, ma se di base non ci sono le prime tre, queste non servono quasi a nulla.
Bisogna insegnare a mettere dentro queste tre cose e bisogna ricordare che la loro valigia deve essere sempre aperta: l’apprendimento deve essere continuo. Ci sono giovani colleghi che arrivano nei posti di lavoro e invece di tirare fuori i loro valori e ciò che hanno appreso durante il corso, si fanno trascinare da quei pochi che, per stanchezza o altro, provano a trasmettere un’altra idea di polizia, e questo non deve mai accadere. Avranno invece la maggior parte dei colleghi pronti a far loro comprendere quelle “buone pratiche”, che solo l'esperienza insegna.
In cosa consistono le attività formative per agenti e come pensa di organizzarle?
Le attività e i programmi formativi, stabiliti dalla Direzione Centrale degli Istituti di istruzione, sono molto completi. Si tratta di lezioni teoriche e pratiche tenute da validi docenti che sono sia interni alla Scuola che esterni, non necessariamente provenienti da altri uffici di polizia. Sono previste molte ore di difesa personale – basata su un concentrato delle migliori tecniche di diverse arti marziali –, di tecniche operative in cui imparano le tecniche di ammanettamento, perquisizione e molto altro. Imparano a sparare nel poligono della Scuola di Peschiera e a guidare in maniera operativa. A tutto ciò si aggiungono molte ore di lezione di diritto e procedura penale, diritto costituzionale, redazione di atti di polizia giudiziaria, ordinamento e regolamenti di pubblica sicurezza, deontologia professionale, elementi di primo soccorso e altre materie specifiche. Per ultimo si aggiungono diverse conferenze in cui relatori di grande spessore affrontano vari argomenti di attualità e non solo.
Il suo apporto originale in cosa consisterà?
Quel poco che io vorrei aggiungerci nasce dalla mia esperienza personale e professionale. Vorrei regalargli pezzi di vita e pomeriggi a parlare con Maria Teresa Turazza, che aveva due figli poliziotti, entrambi caduti in servizio, con colleghi ormai andati in pensione, i quali, col loro passato, possano contribuire a costruire le basi del futuro dei giovani agenti, e con tanti altri. Vorrei vedere con loro le immagini che trasmettono sui telegiornali di scontri, cariche e violenze, e parlarne insieme, discuterne, provare a capire e a imparare. Vorrei spiegare cos’è la strada e quali sono le cose belle del nostro lavoro e quali quelle brutte. Vorrei infine insistere molto su una questione molto complessa, come l’ordine pubblico.
Non solo, dunque, nozioni tecnico-operative, non solo codici e normative, ma anche sviluppo di competenze relazionali: perché queste ultime sono determinanti nella formazione di un giovane poliziotto?
Perché il lavoro più difficile di un poliziotto è quello su strada, è quello durante un intervento e durante un delicato servizio di ordine pubblico, in pratica sempre e comunque a contatto con la gente e in relazione con l’altro! Il nostro lavoro non è dietro una scrivania e davanti a un computer, ma tra la gente, tra chi ci ama e chi ci odia: un poliziotto che non sa relazionarsi con se stesso né con gli altri dovrebbe cambiare mestiere. Bisogna crescere e imparare dagli sbagli fatti e bisogna non dimenticarsi mai di fare il proprio lavoro, anche emozionandosi. La polizia non ha bisogno di colleghi che non hanno mai paura e che vivono solo di certezze; e, soprattutto, non ha bisogno di colleghi che una volta indossata la divisa sono più forti e potenti. Su questi concetti mi piacerebbe che si basasse il mio apporto.
Violenze sui soggetti deboli, in particolare le donne, odio verso i “diversi”, bullismi, prevaricazioni, pedofilia, intolleranza: ha intenzione di occuparsene?
La vera sfida è proprio questa! Una polizia moderna e democratica è quella che sa e che deve occuparsi di questi temi, che sa crescere e migliorare riflettendo sui propri errori e più volte questo è stato evidenziato dal nostro Capo e dagli altri nostri massimi vertici.
Ho intenzione di far incontrare i ragazzi con donne vittime di stalking e con psicologi che lavorano con i ragazzi vittime di bullismo. Sbattere la faccia contro la realtà insegna più di mille libri e stare ad ascoltare persone che hanno sofferto, o continuano a farlo, aiuta a capire. Parlerò loro del mio libro “Fogli di via”, facendo affrontare il tema del pregiudizio e invitandoli a sforzarsi per distruggere i pregiudizi e per fare in modo che la nostra società si basi non sull’intolleranza, neanche sulla tolleranza, ma sull’integrazione e sul rispetto. Da ultimo, proverò ad insegnare come sia importante andare in giro a cercare di distruggere anche il pregiudizio che molti nutrono nei confronti delle donne e degli uomini della Polizia.
Quali sono gli strumenti indispensabili perché gli agenti sappiano affrontare situazioni così delicate, che possono segnare per sempre la vita di una persona?
Ricordarsi sempre e comunque di essere la legge e di lavorare per la legge, ma saperlo fare con il cuore. L’ho detto prima: devono lavorare per la Giustizia, ancor prima che per la legge; il grande De Gregori, nella bellissima canzone “Il bandito e il campione”, canta: “…cercavi giustizia e trovasti la legge…”, e se lo dice lui è vero! La legge è figlia della particolare situazione economica, della storia attuale, della crisi e delle paure, mentre la Giustizia è una sola e per la Giustizia bisogna lavorare. I poliziotti, anche se alcuni ci vorrebbero tali, non sono robot o macchine, ma persone che cercano di fare di tutto per la sicurezza e il bene di altre persone.
Ricorda qualche caso di femminicidio di cui si è occupato alla Mobile?
Ricordo, purtroppo, diverse storie, e nella maggior parte di casi gli assassini erano persone malate o comunque persone che in quel preciso momento avevano perso completamente la ragione. Ricordo, comunque, tantissime storie di uomini, che si fa perfino fatica a definirli tali, i quali hanno trattato le donne come oggetti di loro proprietà: in quei casi, spesso, mi sono perfino vergognato di essere uomo.
Ricordo un uomo che tagliava i capelli a zero alla moglie perché era geloso di lei quando andava con i capelli sciolti, e quando tornava a casa la picchiava perché le diceva che con i capelli corti era brutta.
Molto spesso le donne vittime di violenza si sentono in colpa per quanto accaduto e questo le porta a chiudersi, a non denunciare i propri aggressori.
Ogni volta che una storia si concludeva con l’arresto del violentatore o del molestatore decidevo, con i dovuti modi, di dare la notizia alla stampa e non per far vedere quanto la polizia fosse stata brava, ma per evidenziare il coraggio della donna e per cercare di trasmetterlo ad altre mille donne! La violenza non ha mai giustificazioni e coloro che picchiano per quello che loro definiscono eccessivo amore, sono uomini che dovrebbero essere espulsi dal mondo.
Le donne devono prendere coraggio, quelle straniere ancora di più, e sapere che una volta che decidono di rivolgersi alla polizia, anche se hanno figli, riceveranno tutta l’assistenza necessaria logistica, psicologica e morale. Tante cose sono cambiate e, per ogni donna che si ribella, ce ne sono altre cento pronte a farlo. Io e tutti i poliziotti siamo con loro.
Crede che la sua esperienza di scrittore e narratore possa esserle utile nel suo nuovo incarico?
Credo e spero di si! In tantissimi incontri con giovani e studenti ho scoperto che spesso si riesce ad arrivare più facilmente a un concetto con un racconto o una storia più di quanto lo si possa fare con un articolo di legge o una circolare ministeriale e allora anche delle mie storie parlerò, ma solo di quelle che in qualche modo possono provare a insegnare qualcosa. La cultura è preziosa in ogni luogo e tempo; ascoltare fa sempre bene alla mente e al cuore. Non si vive solo di articoli e leggi!
A proposito di leggi, una in particolare è alla base del vostro lavoro: la 121 del 1981, infatti, ha rappresentato uno spartiacque nella storia dell’Amministrazione della pubblica sicurezza. L’art. 24, dopo aver stabilito che la polizia esercita le proprie funzioni al servizio delle istituzioni democratiche, individua come sua prima funzione quella di tutelare l’esercizio delle libertà e dei diritti dei cittadini, dei quali si sollecita la collaborazione. A più di trent’anni dalla sua approvazione, ritiene che la 121 sia ancora attuale?
Straordinariamente sì e, anzi, il mio modesto parere è che se fosse ancora più applicata sarebbe ancora più attuale; i problemi che ci sono oggi, e nessuno può negare il fatto che ve ne siano, non nascono dalla scarsa attualità della “buona” rivoluzione della 121, ma da altri fattori.
Cosa lascia a Verona e cosa si aspetta da Peschiera del Garda?
Lascio dei grandi colleghi, una Questura speciale e una grande città, anche se solo in parte, visto che continuerò ad abitarci. Ne trovo un’altra bellissima e ricca di colori, Peschiera, che ha nel suo cuore una bellissima Scuola e un’ottima squadra di collaboratori che ho già conosciuto e apprezzato: sanno lavorare con il sorriso e con l’anima. Lascio, per modo di dire, una città che talvolta appare all’esterno peggiore di quello che in realtà è.
Qualche libro o progetto in cantiere?
Tanti. Qualcuno nel cassetto, come uno sul mio G8 di Genova e un altro su una storia d’amore difficile e travagliata. Uno sulla mia mano dedicato a mia figlia, nata 4 mesi fa, e intanto continuo a scrivere. Per ora penso di dare alle stampe quello dedicato a mia figlia che s'intitola “C’era una volta fagiolino”, in cui ci sono tutte le mie idee e tutti i miei valori, e dentro il quale ovviamente parlo anche della mia amata polizia.
Un consiglio a un suo allievo agente.
Essere consapevole di svolgere il lavoro più bello del mondo ed essere capace di non diventare un sasso; non indossare armature per farsi scivolare addosso le emozioni, belle o brutte che siano. Essere onesto, trasparente, umile e saper diventare sensibile perfino alle foglie che cadono.
Sentirsi forte e giusto quando blocca a terra un uomo, che sino a qualche secondo prima gli ha sputato addosso e gli ha tirato pietre, e senza neanche toccarlo con un dito, portarlo in Questura, iniziando a lavorare con la penna e appoggiando il manganello da una parte.
Insomma, il manganello non sempre è indispensabile…
Proprio così, alle volte è meglio non farlo proprio vedere, alle volte basta mostrarlo e ogni tanto, purtroppo, va anche utilizzato, ma deve essere soprattutto per la nostra difesa o per difendere coloro che possono essere oggetto di violenze e odi.
Nessun poliziotto ama manganellare e tutti noi non vediamo l’ora di tornare a casa dalle nostre famiglie, magari senza lividi e ferite. Ogni tanto però questo non succede e nel vortice della violenza finisce anche uno su tantissimi poliziotti che non si rende conto che un uomo dello Stato non deve essere un uomo qualunque, ma deve saper reagire alla violenza e agli attacchi con la forza della legge e non con la forza e basta.
I manifestanti non sono tutti uguali e perfino i violenti, nel loro errore, non sono uguali, perché chi usa violenza per una partita di calcio o un ideale di altri tempi è lontano mille miglia dal cassaintegrato o dal disoccupato che protesta perché vuole Giustizia… la Giustizia di cui parlavo prima.
FOTO: Giampaolo Trevisi, Direttore della Scuola Allievi Agenti di Peschiera del Garda
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