La presidente della cooperativa
Be Free: “Per contrastare le violenze,
bisogna andare incontro
alle donne. Puntiamo sulla formazione
di docenti, Forze dell’ordine
e operatori dei servizi
territoriali. La prevenzione è preziosa,
ma purtroppo mancano le risorse”
Donne fra donne. Ad ascoltare, indirizzare, proteggere. Un percorso collettivo. In sostanza, una rete. E’ Be Free: una cooperativa sociale impegnata da anni contro tratta, violenza e discriminazioni. La loro peculiarità è l’andare incontro alle donne, ancor prima che siano in condizione di farlo da sole. Per questo, abbiamo raggiunto Oria Gargano, presidente della cooperativa: per conoscere l’attività dei loro sportelli. In particolare, SoS Donna e Sportello Donna al San Camillo-Forlanini, uno tra i più grandi ospedali di Roma. Ma prima di parlare di Be Free, ci siamo concessi del tempo per parlare di femminicidio con chi, quotidianamente, si batte contro abusi e sopraffazioni.
Oria Gargano, la violenza contro le donne c’è sempre stata ma oggi siamo di fronte a una recrudescenza di episodi?
Per certo, parlare di emergenza è sbagliato perché non c’è eccezionalità: la violenza sulle donne è un fatto sistemico nel senso che avviene in un contesto sociale, politico, culturale che non solo provoca ma agevola la violenza contro le donne.
Come si contrasta?
Dall’inizio, da quando i bambini vanno a scuola perché già lì sono imbevuti di una cultura sessista che li fa crescere pensando che il mondo sia stato creato da maschi e le donne siano state per secoli a fare l’uncinetto. La storia delle donne, invece, è una storia antichissima e andrebbe insegnata come fatto culturale anche perché darebbe ai ragazzi l’impressione di una popolazione femminile interessante e attiva. Non parlo di Giovanna D’Arco, delle eccezioni, ma di donne comuni che la storia ha ignorato colpevolmente. E’ come levare a ciascuno di noi un pezzo della memoria del proprio passato. Se con una bacchetta magica ti levano quindici anni di vita, fai fatica a collocarti nel mondo e così è successo a tutto il genere femminile.
E’ fondamentale anche evitare gli stereotipi di cui, ancora, pullulano i libri, persino quelli da colorare dei bimbi piccolissimi, col papà che legge il giornale e la mamma che lava i piatti.
Quindi, educazione ma anche la formazione dei docenti?
La formazione degli insegnanti è fondamentale come anche quella delle Forze dell’ordine, degli assistenti sociali, degli operatori dei servizi territoriali e direi, più in generale, della società civile perché le donne raccontano che quando si sentono urla, strilli, botte nel loro palazzo, molto raramente c’è la capacità di andare da quella signora e dire: “signora, ha problemi?”, sapendola approcciare bene, senza colpevolizzarla, senza compiangerla e cercando di farle sentire una solidarietà di fondo.
Forse la mancanza di solidarietà è uno dei nodi dell’isolamento. E’ il problema vero delle donne vittime di violenza.
Senza arrivare alle uccisioni, le molestie contro le donne sono all’ordine del giorno.
Il maltrattamento per molti è una pratica quotidiana ma non significa che l’uomo agisca in maniera violenta costantemente. In tanti anni non ho mai conosciuto una donna che mi dicesse: “da quando l’ho conosciuto è sempre stato violento”; capita magari che ci sia una certa ciclicità.
E’ assurdo come vengono dipinte le donne vittime di violenza, sminuendole, facendole sembrare quasi stupide e incapaci di denunciare quando non è così. Nella complessità di un rapporto non c’è solo la violenza: magari ci sono i figli, il mutuo, un progetto di vita fatto insieme; insomma, non abbiamo di fronte uomini costantemente violenti tanto da indurre subito le donne a denunciare. In più, alcuni di questi episodi di violenza non sono semplici da individuare: l’esempio classico è “mi ha picchiata ma perché è geloso”. Così, in questa cultura che si costruisce fin da bambini, la gelosia è quasi un valore.
Come arrivano le donne nei centri antiviolenza?
Col passaparola, perché glielo ha detto un’amica, perché le porta la Polizia o su indicazione dell’assistente sociale, ma parliamo comunque di donne che hanno maturato la decisione di confidarsi, di dare un taglio alla situazione che vivono.
Voi di Be Free gestite servizi che vanno incontro alle donne senza aspettare che siano loro a dovervi cercare…
Gestiamo uno sportello dentro al Pronto soccorso dell’ospedale capitolino San Camillo e il servizio SoS Donna del Comune di Roma. Nel primo, stando dentro un ospedale, siamo aperti h24, 365 giorni l’anno e così, quando una donna viene al Pronto soccorso e dice “mi sono rotta un braccio cadendo”, nascondendo magari una violenza, noi interveniamo cercando di farla sentire accolta, per aiutarla a dire la verità.
E ce ne sono di analoghi in ogni Pronto soccorso?
No, è l’unico in Europa.
SoS Donna, invece, come opera?
Fa accoglienza alle donne vittime di violenza come ogni centro simile e in più le operatrici sono tenute ad andare dove le chiamano: se una donna è in un commissariato, in un Pronto soccorso ed è ritenuta, verosimilmente o meno, vittima di violenza, il servizio territoriale cui lei si rivolge telefona a SoS Donna e un’operatrice va a fare accoglienza lì dove si trova. Il tutto per andare incontro alla donna ancor prima che decida di andare in un centro con le sue gambe.
Il che comporta che Forze dell’ordine e servizi territoriali sappiano di questo servizio...
Sicuro, è nostro compito sensibilizzarli sul tema per essere più efficaci possibile perché loro siano in grado di affrontare casi di violenza.
Questo accade?
Purtroppo, no. Quasi tutti gli omicidi di cui leggiamo sulle cronache sono stati preceduti da una segnalazione della donna alle Forze dell’ordine. Anche la ragazza la cui sorella è stata uccisa a Palermo (Lucia Petrucci, ndr) era andata dai carabinieri per dire che non sopportava più che il fidanzato la perseguitasse e le fu detto che avrebbe dovuto capire, che lui era innamorato.
Quindi, sottovalutazione o inadempienza?
Entrambi, ed è gravissimo. Tra l’altro è la legge a imporre quel tipo d’iter con la segnalazione ai servizi antiviolenza, ma non ci risulta che sia così applicata. Per carità, il bravo carabiniere o il bravo poliziotto stanno dappertutto, però spesso non hanno gli strumenti.
Cioè?
Faccio un esempio. Ho un incarico a Bruxelles come esperta per l’Italia dell’Osservatorio antiviolenza e ci hanno dato un compito su richiesta dell’Eige (European Institute for gender equality) dove, focalizzando sullo stupro, ci chiedevano: “quali sono i testi che le Forze dell’ordine studiano sulla violenza nei confronti delle donne nella loro formazione obbligatoria?”. Nessuno. Quel questionario è pensato con ottica europea, del nord, dando per scontate tutta una serie di cose cui non ha risposto l’Italia ma anche Cipro, Grecia, col risultato che alla fine abbiamo preso l’insufficienza.
Esiste un numero nazionale contro la violenza sulle donne?
C’è, ed è il 1522.
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