“Nell’uccisione delle donne, la politica
ha le sue responsabilità. Non è materia che possiamo lasciare a convegni, associazioni
delle donne e a chi è interessato
all’argomento. C’è bisogno di una vera
assunzione di responsabilità. Come la grande
criminalità organizzata deve essere oggetto
di strategie di contrasto, fino a quando
anche uno schiaffo diventi un tabù”
“Quella che state per leggere è la cronaca di un viaggio, durato qualche mese, cominciato a Enna e finito a Milano. E’ una storia collettiva raccontata con il materiale vivo delle parole, delle testimonianze, un materiale impastato di dolore, della rabbia, dello sbigottimento dei sopravvissuti.
E’ l’incredibile racconto di una tragedia nazionale, che si sta svolgendo in tutto il nostro territorio, da Sud a Nord, dai piccoli paesi alle grandi città, e investe tutti gli ambienti sociali, dal più povero al più ricco, nessuno escluso. E’ la storia delle tante donne uccise dai loro partner in Italia. 137 solo l’anno scorso, una ogni tre giorni. Già più di 80 quest’anno, nel 2012, a fine estate, mentre questo libro sta andando in stampa”.
Inizia così ‘Se questi sono gli uomini’, di Riccardo Iacona (Editore Chiarelettere), con una conta delle morti, tristemente destinata a salire. Quando la rivista sta per chiudere il numero in tipografia, siamo già oltre cento. “E’ giunto il momento di un’assunzione di responsabilità da parte della politica e del governo -– dice il giornalista di Rai Tre - perché non è vero che non si può fare nulla per fermare il ‘femminicidio’ e arginare l’endemica violenza di cui le donne italiane sono vittime. Non si tratta di emanare nuove leggi speciali o di aggravare le pene, ma di rendere applicabile la legge che esiste già, quella cosiddetta dello stalking, un ottimo strumento nelle mani delle Forze dell’ordine e dei magistrati, ma che non è mai stato finanziato”.
Nel libro lei attribuisce alla politica una grave responsabilità. Quale?
Quella di fare poco e niente per scongiurare che si creino le condizioni per l’emarginazione della donna che è il contesto in cui poi attecchisce la violenza.
La politica dovrebbe intervenire con quote rosa in politica, quote rosa in economia, sostegno alle donne quando sono sole coi loro figli, welfare, aiuto di prossimità e un fortissimo contrasto alla violenza domestica. Dove si è proceduto in questa maniera, il numero delle donne morte è diminuito. In Spagna, ad esempio, l’anno scorso, hanno ucciso sessantadue donne – sono sempre troppe – ma sono pur sempre la metà di quelle uccise da noi.
Hanno leggi più severe?
Non è un problema di durezza della legge ma di applicazione. La legge sullo stalking è severissima perché ti dà sei anni di galera se ti rompo le scatole più di tanto. Il problema è come la applichi. Se non prevedi percorsi agevolati nelle Procure, se non crei un corridoio speciale nei Tribunali – perché minaccia e violenza vanno in prescrizione in sette anni e mezzo e entro quel tempo devi aver fatto i tre gradi di giudizio – non si arriva da nessuna parte.
In tante delle storie raccolte nel libro, molte donne coraggiose denunciano e poi si vedono il futuro assassino davanti casa. Quasi tutte quelle che sono state uccise avevano fatto denuncia, il che segnala la débacle dell’applicazione della legge. Proprio nel momento in cui io affido la mia vita allo Stato - che è il momento più pericoloso perché segnalo al mio assassino che talmente lo rifiuto da denunciarlo - quello è il momento in cui l’uomo uccide.
In ‘Se questi sono gli uomini’ lei parla apertamente di apartheid verso le donne…
Se non si capisce che le uccisioni di quelle donne sono figlie di apartheid, possiamo parlare per ore di cultura, morbosità, gelosia, di uomini con istinto predatorio - perché le donne raccolgono e gli uomini cacciano - ma non si arriva da nessuna parte.
Ci preoccupiamo degli altri Paesi senza pensare che i nostri burqa non sono meno terribili degli altri. Abbiamo di fronte una guerra che ha un obiettivo immediato: annientare, ridurre al silenzio la donna che ha osato alzare la testa, che ha detto no, che ha scelto di lasciare il compagno o che si è rivolta a un giudice; e un obiettivo stretegico, più a lungo termine: impedire alle donne in Italia di essere libere di scegliere.
Fine strategico. Da parte di chi?
Da parte di tutti coloro che non vogliono l’autonomia della donna. Sono operai, professionisti, gente ‘normale’ che arriva ad annientare una donna in modo molto razionale punendola per il gesto di indipendenza. Dopo di che questi omicidi dicono al mondo che le donne devono smetterla di lasciare gli uomini così e che non va bene il loro processo di emancipazione.
Questo è l’obiettivo strategico. Non ci riusciranno se uno Stato che si ritiene civile farà delle politiche attive per scongiurare che succeda ancora. Altrimenti vincono loro.
Viaggiando per l’Italia, attraverso le storie delle donne uccise, cosa emerge: chi sono gli uomini che uccidono?
Sono dei ‘resistenti’, da un certo punto di vista: la falange armata di coloro che pensano che le donne non abbiano alcuna libertà di scelta, che non debbano nemmeno decidere se stare con loro o no. Sono uomini per cui le donne devono tacere quando prendono gli schiaffi - anche se fanno una vita d’inferno - e non devono permettersi di andare a denunciare.
Tutte le donne uccise hanno alle spalle questo tipo di storie, solo che in Italia l’esperienza non insegna e noi passiamo allegramente da una morte all’altra parlando d’amore, gelosia. Se invece si studiassero dal punto di vista criminologico, ci si renderebbe conto che, un po’ come la criminalità organizzata, il femminicidio rappresenta una tragedia nazionale il cui dato è questo qui: da una parte le donne che aspirano ad avere autonomia, indipendenza e libertà di scelta - anche sul terreno difficile e complicato dei sentimenti e del sesso - e dall’altro, degli uomini dominatori che uccidono.
A tutto questo si aggiunge la penuria di servizi territoriali che possano accogliere le donne quando decidono di dire ‘basta!’.
Molte donne vivono in luoghi dove, per centinaia e centinaia di chilometri, non c’è uno straccio di sportello amico ma nemmeno un telefono cui rivolgersi, quindi le donne sono consapevoli della situazione in cui vivono e sanno anche che per denunciare ci vuole coraggio ed è moto rischioso. Ecco perché c’è il 93% delle donne che ha subito violenza che non ha mai denunciato. Lo dice l’Istat in un’indagine del 2007.
La legge contro lo stalking prevede la costituzione di una Rete di prevenzione e di protezione delle centinaia di migliaia di donne che sono oggetto di molestia, minacce e violenza: centri antiviolenza, sportelli antiviolenza e case rifugio. Ebbene, questa Rete in Italia è largamente insufficiente rispetto alla domanda.
E comunque le donne sono più consapevoli del diritto di denunciare?
Sì, però di fronte a questo dato, molte non denunciano anche perché leggono queste storie sui giornali. Siccome tante di quelle che hanno ucciso hanno denunciato, dicono: “chi me lo fa fare’”.
Ovvio che questo messaggio non possa passare…
Bisogna riconoscere che siamo di fronte a un’emergenza nazionale che richiede strumenti particolari, quindi allertiamo poliziotti e carabinieri che non devono sottovalutare quando una donna va lì; avvertiamo i procuratori che quando hanno questo tipo di denunce - siccome ne va della vita della donna - bisogna fare velocemente e che non si può andare in prescrizione; costruiamo tutti gli strumenti di applicazione di una legge che già c’è e che consentono che poi venga applicata.
La legge c’è, è buona, ma non viene applicata bene.
Perché non si scende in piazza per dire basta alla violenza contro le donne?
Perché non se ne avverte lo spessore politico, si pensa che siano degenerazioni di liti in famiglia e che quindi, tutto sommato, sono questioni personali e si pensa che siano storie di matti, cose che a noi non possono succedere.
Che consiglio darebbe a una donna vittima di violenza?
Quando c’è una recidiva, un uomo è pericoloso. Un uomo che minaccia di uccidere è pericoloso. Un uomo che fa male ai tuoi figli è ancora più pericoloso perché è un uomo che non sente il peso della legge e, siccome i figli sono il futuro e se tu fai male alla madre dei tuoi figli hai già superato un confine, allora bisogna stare in guardia. Ma quello che consiglierei io a una donna dopo aver fatto questo viaggio, è di non sottovalutare niente e soprattutto di non pensare che la cosa la puoi risolvere tu in nome del rapporto intimo che hai avuto con quest’uomo.
Cosa direbbe alla politica sulla questione?
Di passare dalle parole ai fatti. Lo Stato deve fare la sua parte e soprattutto ci vuole un’assunzione di responsabilità da parte di politica e Istituzioni. Non è materia che possiamo lasciare solo ai convegni, alle associazioni delle donne, a chi è interessato all’argomento.
Come la grande criminalità organizzata deve essere oggetto delle Istituzioni che, tutte assieme, mettano in atto una serie di politiche attive per far uscire l’Italia da questa vergogna e far vivere le donne italiane in un Paese meno ostile.
FOTO: Riccardo Iacona, ha scritto di femminicidi nel suo libro ‘Se questi sono gli uomini’
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