Dopo lavoro, nel tempo
libero, si dedicano al volontariato
intrattenendo adulti e bambini
Le vedi arrivare col sorriso sulle labbra. Poco importa se la settimana in fabbrica o in ufficio sia stata pesante, quel che conta è arrivare puntuali al consueto appuntamento del weekend. Tolti i panni d’impiegate, operaie o studentesse, eccole pronte a vestire quelli di pagliaccio. Pomello rosso sul naso, papillon dai colori sgargianti e il gioco è quasi fatto. Sono le clown di corsia: donne che dedicano parte del tempo alla ‘cura del sorriso’. Una terapia che – secondo loro – “può alleviare il dolore e trasmettere energia a chi è in stato di disagio, per malattia, povertà o solitudine”. E per farlo non si limitano a prestare servizio negli ospedali, ma entrano fin dentro le case di riposo e nei luoghi dell’umanità reietta. Per portare avanti questo compito oltrepassano i confini delle loro città e, in un progetto ormai internazionale, raggiungono paesi a noi distanti. Sono state in Sud America, Romania e in Birmania, con la valigia piena d’abiti colorati, palloncini e il sogno di un altro mondo possibile. Un mondo in cui l’empatia e l’atto volontario possano davvero qualcosa nel ridestare la speranza.
Dal ‘97 si sono consociate nella Vip (viviamo in positivo) e nell’arco di sei anni si sono ritrovate a far parte di una federazione che, ad oggi, conta oltre 1400 volontari. “Il nostro obiettivo fondamentale è la persona. Ci rivolgiamo alla ricchezza interiore d’ogni singolo individuo e nel farlo cerchiamo di avere un approccio quanto più positivo alla vita, considerando ogni essere umano una ricchezza imprescindibile in qualsiasi paese del mondo”.
“Uniti per crescere insieme” è il loro motto, ma più che un semplice messaggio rivolto all’esterno è “la modalità con cui Vip Italia coinvolge i propri volontari in un progetto piuttosto articolato”. Si va dalla formazione rispetto al tipo di rapporto che gli operatori avranno con le persone, fino alla trasmissione d’abilità collegate con la giocoleria, la clowneria e la creazione di veri e propri manufatti.
Durante i corsi, i volontari apprendono come confrontarsi col disagio, cercando di acquisire gli strumenti per affrontarlo con positività. “Ma di fronte a un bambino allettato da tempo e a una famiglia che non sa più a che santo votarsi, la questione si fa un po’ più complicata”. E’ per questo che prima di entrare in azione prendono contatto col personale medico e paramendico; per provare a inserirsi nel modo più adeguato possibile.
Una volta in ospedale, entrano nelle stanze in punta di piedi o magari fingendo d’impigliarsi alla maniglia della porta. “Al primo stupore dei bambini, subentra immediatamente una forte curiosità e tra una gaffe e un capitombolo, instaurare il rapporto coi piccoli diventa la scommessa più importante. La diffidenza dei genitori, poi, si scioglie immediatamente per lasciar spazio a una complicità fatta di sorrisi e canzoncine intonate assieme”.
Tutt’altro discorso per il servizio che prestano nelle case di riposo: “Gli anziani, a differenza dei bambini, non hanno bisogno di essere condotti in un mondo immaginario perché il mondo più fantasioso è quello che hanno dentro di sé, con tutti quei ricordi e racconti che aspettano solo un ascoltatore”. Ce lo racconta Zorra – nella vita di tutti i giorni, Silvia – una volontaria che di professione fa l’impiegata alle Poste Italiane. Il nome d’arte l’ha scelto per la sua grande passione per la spada, amando definirsi “sciabolatrice per diletto”.
L’abbiamo incontrata in luogo un po’ anomalo rispetto a quelli in cui opera generalmente: in un campo sosta romano a pochi passi dalla stazione Termini. Su invito di un amico ha deciso di organizzare – assieme alle sue compagne – uno spettacolo per i bambini rom. “A dire la verità, all’inizio, qualche titubanza ci era sorta. Non abbiamo mai lavorato coi rom, non conoscevamo nulla della loro cultura, delle loro tradizioni e temevamo che potessero esserci pochi punti di contatto con loro”. D’improvviso – però – “ho visto una delle foto delle bimbe del campo e qualcosa mi è scattato dentro. Quattro ragazzine che si abbracciavano birichine, spavalde, giocose”. Di lì all’arrivo delle “cloun” – così amano definirsi – la strada è stata breve. “Ci siamo incontrate a casa di ‘Peperone’ – racconta Sbadamè, l’altra volontaria – e una domenica mattina abbiamo iniziato a fare le prove dello spettacolo. Abbiamo studiato la scaletta con lo stesso impegno di qualche mese prima, ma anche con la stessa emozione”. Una volta al campo, la sorpresa è stata grande: sia per le clown sia per i bambini. Molti di loro, un pagliaccio ‘dal vivo’ non l’avevano mai visto. Di sicuro al circo non ci vanno e se ne hanno visti è stato giusto in televisione. Ma uno spettacolo tutto per loro, non se lo sarebbero mai immaginato e tanto meno i genitori, giovanissimi, che non hanno fatto altro che ridere e scherzare con le volontarie. A fine pomeriggio non c’era verso di arrivare ai saluti: i rom le avrebbero ospitate volentieri per la cena e magari per la serata. Ma la mattina la sveglia suona presto e ogni volontaria deve tornare ai propri impegni quotidiani. Come Zorra e Sbadamè, anche Peperone e La Lepre Mazzolina si sono date un gran da fare col “desiderio profondo di far nascere un sorriso perché sorridere fa bene, cura e aiuta a vedere la vita da un punto di vista migliore”. E poi “l’emozione di rallegrare quei bambini è stata impareggiabile, tanto più che – passata la prima incertezza – ci siamo rese conto che i ragazzini sono proprio gli stessi, in Guatemala o nel campo sulla Tiburtina che, pur affacciandosi sullo stesso cielo di casa nostra, sembra invece così distante.”
FOTO: Volontari dell’associazione Prodigio - Trento
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