Anche in là con gli anni, anche quando
non si vede via d’uscita. Una donna
e il coraggio d’interrompere la catena
di sofferenza durata decenni
Valeria è un nome di fantasia. La sua storia, affatto. Quanto mai reale. Ottant'anni suonati, portati con decoro e sofferenza. Ha deciso di dire basta col passato e prima che l'età attenui forza e disperazione, ha scritto la parola fine nel rapporto col marito. Sessant'anni di convivenza, nipoti e figli. Quando l'ultimo ha spiccato il volo, lasciando le mura domestiche, si è sentita pronta. Ha chiamato Telefono Rosa e chiesto aiuto. Niente a che vedere con l'immagine conciliante affibbiata agli anziani: Valeria spera di avere davanti diversi anni e non vuole spenderli accanto all'uomo che, per decenni, l'ha umiliata, resa schiava. Le minacce, l'indipenza economica che non c'era e i figli l'hanno costretta al silenzio. Ma alla fine non ne ha potuto più e ha parlato.
Di fatto, Valeria è una donna come le altre. In più, quel fardello addosso. Ha chiesto la separazione dal marito perché lui continua a picchiarla e l'ha ottenuta. Il giorno che ha squillato il telefono a viale Mazzini, al Telefono Rosa, Valeria ha esitato come molte altre. “E' qui che difendete le donne?”, ha chiesto, e si è sentita rispondere: “Non è un telefono che difende le donne ma un centro d'ascolto che garantisce la consulenza di specialisti utili a superare il momento di difficoltà”. Una certezza, per voce di donna che, si mostra chiara e ferma, pronta a spendere tutto il tempo necessario all'ascolto. Chi è? Una delle volontarie del Telefono Rosa che rispondono ogni giorno al numero 06.37518282. Chiamate da Roma e dal resto d'Italia. Sta, come le altre colleghe a Viale Mazzini, nel cuore del quartiere Prati-Delle Vittorie. E non è lì per caso. “Che non vengano a fare le dame di San Vincenzo – fa Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente dell'associazione – Qui non c'è bisogno di dame amiche o di gente che venga a passare il tempo”. Non la manda a dire questa signora, voce briosa e modi informali, che da oltre vent'anni lavora al fianco di donne in difficoltà.
Ad andarla a trovare, non ci vuole molto: sta in un appartamento in un complesso di case popolari. Niente di ché, un grande appartamento composto da diverse stanze. Intorno, tanto verde, curato. E' la casa di Telefono Rosa: cinque stanze a ospitare un bel po' di gente. Il centro d'ascolto è lì: una camera per centralino, una per la contabilità, un salone diviso a metà per la presidente e la vice, mentre l'altro pezzo del salone ospita la consulente legale. Sul posto, anche le psicologhe. Tutte donne, quindi. “E' un onlus al femminile – dice la presidente - ciò non toglie che abbiamo collaborazioni con uomini, all'esterno”. Per la gestione del dramma delle donne - sottolinea la presidente - sono donne ad accoglierle; per quanto riguarda l'esterno, ci facciamo aiutare”.
Ma tornando a Valeria, Telefono Rosa come l'ha aiutata? Chiamando prima i figli, poi il marito, anche lui in là con gli anni, per poi proporre una separazione consensuale. Eh sì, perché il tentativo di questa Onlus non è “spremere le donne – come tiene a sottolineare la Moscatelli - ma dar loro la possibilità di una separazione consensuale, non giudiziale”. Un'organizzazione complessa che ha molto a che vedere col volontariato e che da esso, in qualche modo, dipende: volontarie le operatrici, volontarie le ragazze del servizio civile, volontarie le consulenti che si prestano. Talvolta così preziose per la collaborazione in casi davvero complicati. Ricordate quello di Roberto Spaccino, “l'uomo che a Perugia uccise la moglie incinta al nono mese”?. Lo fa la responsabile di Telefono Rosa che ricorda pure come “la bambina che portava in grembo la donna avrebbe avuto una chance di sopravvivere se solo il padre avesse chiamato per tempo i soccorsi”. In quel processo, racconta, “siamo riusciti a costituirci parte civile e abbiamo fatto venire due esperte ché, essendo noi una onlus, si sono prestate gratuitamente. Abbiamo avuto un medico legale molto in gamba e la criminologa Roberta Bruzzone. La conseguenza? Un processo partito male, che ha preso tutt'altro iter. Una cosa affatto scontata visto anche il divario economico tra le due famiglie in causa era notevole”. Ecco perché, secondo Telefono Rosa, sarebbe fondamentale che le associazioni potessero costituirsi parte civile. Cosa, in realtà, rarissima.
Consulenti a parte, le operatrici hanno il loro bel da fare come anche le volontarie. Mettendo il naso a Viale Mazzini si nota che le donne che collaborano col Telefono sono molto preparate. Le volontarie, prima di prendere in mano la cornetta, fanno un lungo percorso. Dall'invio del curriculum all'ascolto delle donne in difficoltà, ne passa. Colloqui, quaranta ore di corso e pluriaffiancamento a volontarie anziane. “C'è uno zoccolo duro – dicono al centro d'ascolto – una ventina di noi che lavora con Telefono Rosa da molti anni”. E ne vanno fiere. Ma a loro non viene mai il magone? Non scatta quella voglia di fuga dopo aver ascoltato tante storie dure? “Le volontarie sono scelte con scrupolo – assicura Moscatelli – e poi sanno sempre di poter contare su una psicologa che non manca mai in sede”.
E alla domanda su quale delle storie ascoltate l’abbia più colpita la presidente risponde: “In oltre vent’anni di attività, ne ho ascoltate tante, però, tutt'oggi, quello che più mi impressiona è la ripetitività dei casi, nel senso che, nonostante pensiamo che la donna sia cresciuta e che l'uomo sia stato meglio educato, alla fine, la persona che viene da noi denucia violenza fisica, psicologica, economica. Una violenza che attraversa tutte le età”. Come conferma la storia di Valeria. Quante sono le donne che si rivolgono al Telefono? “Trenta o quaranta al giorno chiamano e di persona sono comunque tante. Un numero alto anche in ragione della crisi econimica sempre forte”. Vi domanderete perché: “Perché con un marito in cassaintegrazione o senza lavoro, sono tante le donne che telefonano per raccontare di liti giornaliere. Fortuna però che oggi, con la maggiore autonomia economica delle donne, sono molte quelle che hanno la forza e il coraggio di abbandonare il proprio passato”.
Qualche volta sono persino i figli a chiamare a Telefono Rosa. Quelli adulti che, avendo difficoltà a prendere le posizioni di uno piuttosto che dell'altro, si rivolgono allo sportello. Ai media, l'appello della presidente è quello di non far piombare il silenzio sulla violenza alle donne.
“Dopo l'annuncio della notizia, non si segue mai tutta la vicenda”. Sta di fatto che per scongiurare la violenza dal Telefono Rosa fanno sapere che la vera scommessa sta nell'educazione, nella cultura: “C'è una responsabilità delle famiglie e delle scuole. L'educazione al rispetto del diverso va data fin da bambini. Madri che tendono a chiudere gli occhi sulla realtà hanno una responsabilità grande”. Non si può tacere, quindi. In questi anni, va detto, anche gli uomini hanno cambiato il loro rapporto col Telefono Rosa: “Prima non se ne vedeva uno – dicono dal centralino – Ora sono in diversi ad accompagnare figlie o fidanzate a raccontare quanto subito”. Ok, un lavoro d'equipe e di passione quello portato avanti negli anni dall'associazione, ma come campa una realtà come la loro? “Male, molto male – fa la presidente - Non abbiamo sovvenzioni pubbliche e i contributi dei privati, con la crisi, si sono ridotti. Partecipiamo ai bandi, realizziamo progetti”.
Insomma, un gran bel da fare.
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