“Procreava senza l’autorizzazione dei superiori”
La Guardia di Finanza vista dai Finanzieri
Democratici. Il Libro di Maria Tolone, edizioni
Kappa Vu
QQuesto libro dal titolo e contenuto così insoliti è importante perché apre una finestra nuova su realtà difficili e mai raccontate o troppo poco conosciute della Guardia di Finanza, anche in relazione a quelle condivise da tutti i corpi di Polizia italiani.
Prende infatti le mosse dalla nascita del Movimento dei Finanzieri Democratici, avvenuta negli anni Settanta nell’ambito dei Movimenti per la democratizzazione, la sindacalizzazione e la trasparenza delle Forze di Polizia, allora tutte militarizzate. Di quella battaglia per la rifondazione delle istituzioni di polizia italiane è stato in particolare testimone e protagonista Franco Fedeli, giornalista, prima direttore di «Nuova Polizia e Riforma dello Stato» e poi di «Polizia e Democrazia», che non si è mai lasciato intimidire dalle gerarchie militari ed ha appoggiato il Movimento dei Finanzieri Democratici.
Partendo da un convegno su giustizia militare ed informatica tenutosi nel 1991 a Palermo, il libro affronta anche la problematica delle procure militari: l’esigenza di eliminare quello strumento ormai obsoleto e superato parte dalla premessa che esso sia funzionale ad un sistema in cui non c’era integrazione fra Forze di Polizia e società civile. Tant’è che attualmente le Procure militari sono state notevolmente ridotte, sia per i costi elevati sia per la quasi inutilità della struttura.
Quelle Procure sono state anche strumento di una sorta di caccia alle streghe nei confronti dei Finanzieri Democratici, con l’apertura di fascicoli che poi sono stati sistematicamente archiviati per insussistenza totale di elementi che avessero rilevanza penale. Il libro documenta molte storie di questo genere di “persecuzione annunciata”, e dell’opera di schedatura e repressione posta in essere dalle gerarchie verso gli aderenti al Movimento.
Oltre ai rapporti non facili del Movimento con la stampa ufficiale, il libro di Maria Tolone documenta poi le lotte intraprese per l’applicazione della legge 241/1990 sulla trasparenza degli atti amministrativi, e della legge 675/1996 sul diritto alla privacy.
Ma l’autrice sviluppa anche una valutazione sociale e psicologica dei troppi suicidi anomali avvenuti tra i dipendenti della Guardia di Finanza, come nel caso di quello che la stampa nazionale italiana ha definito un “suicidio di Stato”: la morte misteriosa, nel 2006, del capitano Fedele Conti, che dopo valoroso servizio a Catania, Napoli e Roma, come comandante della Compagnia di Fondi aveva affrontato con decisione potenti cosche politico-affaristico-malavitose.
La colta e coraggiosa editrice Kappa Vu di Udine è ben nota, e Maria Tolone è un’insegnante, giornalista e scrittrice calabrese particolarmente impegnata nel campo dei diritti democratici.
Molti si chiederanno dunque il perché di un titolo apparentemente inusuale come «Procreava senza l’autorizzazione dei suoi superiori – La Guardia di Finanza vista dai Finanzieri Democratici». Ed è una curiosità più che legittima se non si conosce bene la galassia, così spesso paradossale, del mondo militare italiano, ed in particolare della Guardia di Finanza.
La Costituzione della Repubblica, pur differenziando in parte i cittadini in divisa da quelli che non la portano, non ha mai classificato i militari come cittadini di serie B. Ci hanno pensato, però, nei fatti, regolamenti interni arcaici ed interpretazioni molto restrittive dei codici militari, in particolare quello di pace, visto che per fortuna il Paese non è (almeno ufficialmente) in guerra da circa 70 anni. Tutto quanto può dunque sembrare assurdo nel mondo dei civili, non lo è affatto nel mondo militare.
Sino a pochissimi anni fa per un cittadino in divisa era quindi normale chiedere un permesso al suo superiore di grado, generalmente un ufficiale, persino per recarsi all’estero con regolare passaporto o carta d’identità. Non bastava chiedere le ferie, una licenza o una giornata di riposo, perché occorreva aggiungervi la richiesta ufficiale di trascorrerle all’estero. Anche se soltanto per farvi benzina o la spesa, come accadeva nelle zone di confine. E persino per recarsi dalla moglie o dai parenti stranieri. Prassi umiliante, questa, imposta anche se a dovere chiedere il cosiddetto “permessino” era un padre di famiglia con i capelli grigi, con 45-50 anni di età anagrafica e 30 anni di servizio.
Ma anche per sposarsi era un’impresa, ed un tempo non lo si poteva fare sino ai trent’anni, anche se la Costituzione prevede solo il requisito della maggiore età, e pure con deroghe al ribasso. Poi i regolamenti interni abbassarono l’età limite a 28 anni, quindi a 26 ed infine a 24: comunque sei più del limite costituzionale legittimo.
In questo modo la Guardia di Finanza si garantiva – del tutto gratuitamente – la presenza costante, anche notturna, dei dipendenti in caserma. Ma il pernottare in caserma, così come i servizi di pulizia dei locali, che venivano eseguiti dai gradi più bassi della scala gerarchica, non erano conteggiati tra le ore di servizio retribuibili.
Sino al 1983, inoltre, per le Forze di Polizia non esistevano nemmeno le ore di straordinario: potevi lavorare anche 16 ore al giorno, ma lo stipendio era sempre lo stesso.
Questo stato di cose, anomalo rispetto ai parametri europei di settant’anni fa come di oggi, ha creato al personale dipendente grossi problemi di vita. Chi voleva sposarsi prima del termine regolamentare era costretto al cosiddetto “matrimonio di coscienza”, oppure alla convivenza, con l’assurda ipocrisia militare che non venne intaccata nemmeno quando alla società civile venne concesso il divorzio (1973) e consentito l’aborto nell’ambito della struttura pubblica (1978).
Proprio nel 1978 nasceva invece la legge sulla cosiddetta Rappresentanza Militare, sorta di pseudo sindacato interno che di fatto non conta nulla e non ha alcun potere decisionale, ed alla cui presidenza viene tuttora messo d’ufficio un appartenente alla categoria degli ufficiali, che in un’elezione democratica probabilmente non verrebbe mai eletto. E questa riforma fittizia ebbe pure l’avallo di una parte dei partiti della sinistra, che pretese la sindacalizzazione per la Polizia di Stato, ma non ebbe la forza ed il coraggio di estendere la richiesta alle Forze di Polizia ancora a struttura militare quali la Guardia di Finanza e l’Arma dei Carabinieri.
Il Corpo militare delle Guardie di Pubblica Sicurezza venne infatti disciolto e riformato nel 1981 come Polizia di Stato, smilitarizzata e sindacalizzata secondo i parametri europei. Mentre alla Guardia di Finanza, oltre a rimanere sul groppone la vergogna dello scandalo dei Petroli, che vide coinvolto l’allora comandante generale Raffaele Giudice, restarono anche le stellette e l’ingabbiamento della Rappresentanza Militare.
Fu proprio l’altezzoso generale piduista Giudice (si veda l’elenco Anselmi, ove figurano altri 36 ufficiali legati alla loggia P2 di Gelli) a prendere poi in giro, ovvero a ridicolizzare, tutti coloro che nell’ambito della Guardia di Finanza, avevano chiesto a viva voce il sindacato e la smilitarizzazione: «Ora dovete chiamarmi eccellenza», disse quasi con disprezzo ad alcuni finanzieri vicini al Movimento Democratico, durante un’ispezione ad un reparto di Roma. E aveva visto giusto, perché passato il “pericolo” della smilitarizzazione i privilegi di casta per gli ufficiali vennero quasi raddoppiati dal potere politico, e ci vorrebbe un libro a parte per illustrarli.
Ma, ritornando al titolo scelto dall’autrice del libro, per sposarsi non bastava che il marito militare avesse raggiunto l’età obbligata, perché occorreva pure che la promessa sposa avesse particolari requisiti. Quali? A valutarli ci pensava qualche maresciallo addetto alle informazioni sulla famiglia, e secondo il suo quasi insindacabile giudizio una ragazza poteva essere non idonea a sposare un finanziere se, ad esempio, aveva: parentele comuniste e socialiste o vicine ad ambienti non governativi, considerati sovversivi.
Il maresciallo attingeva di solito le informazioni utili prima in parrocchia, per verificare se la promessa sposa e la sua famiglia frequentassero con assiduità la chiesa, e se avesse avuto precedenti relazioni sentimentali, nel qual caso poteva essere ritenuta di “dubbia moralità”. Il finanziere veniva allora invitato a desistere o trasferito in altra sede per spezzare il legame. Ma se si rifiutava di interromperlo gli si apriva un inferno in terra di pratiche disciplinari, che potevano arrivare sino all’espulsione dal Corpo. E siccome i motivi risultavano solo dalle “informative riservate”, per la gente qualunque l’espulso si supponeva radiato per qualche ragione infamante, e non perché vittima di soprusi anticostituzionali, radicalmente contrari all’ordinamento stesso dello Stato.
Chi, invece, si adattava al compromesso della convivenza o del “matrimonio di coscienza” (ridefinito nel 1983 dal codice canonico “matrimonio segreto”), che si contraeva in chiesa senza però registrazione anagrafica e senza comunicazione al Comune di residenza, doveva stare ben attento a non averne figli, perché poteva subire sanzioni disciplinari per “avere procreato senza l’autorizzazione dei propri superiori gerarchici”.
È ridicolo e paradossale, ovviamente, oltre a violare i diritti umani fondamentali, della persona e della famiglia. Ma questa era, almeno sino a pochi anni fa, il paradigma della vita discriminata nella Guardia di Finanza (alcune anomalie sono purtroppo sopravvissute), su questi aspetti e moltissimi altri non meno sconcertanti.
Sotto questo titolo che ai cittadini normali potrà apparire così stravagante, il libro di Maria Tolone è dunque testimone nuovo, accurato e prezioso di angoli ed aspetti della vita italiana tanto nascosti e poco noti quanto significativi per comprendere questo Paese e chi lo serve in divisa.
*Presidente nazionale
Movimento Finanzieri Democratici
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