Claudio Giardullo è il Segretario Generale del Silp, una delle formazioni sindacali più rappresentative della Polizia di Stato. In questo momento storico Giardullo, e tutti gli operatori di Polizia, sono chiamati ad affrontare particolari criticità. Ci sono in prima istanza da difendere i diritti legati alle pensioni, c'è poi la questione corruzione che per il sindacato è un tema centrale
Pensioni, causa di servizio, equo indennizzo, tagli sempre più incisivi. Sono tutti temi che toccano sempre più da vicino la vita e i diritti dei lavoratori del campo della sicurezza. Cosa ne pensa? Il Governo sembra ignorare sia le specificità del nostro comparto, sia la sicurezza dei cittadini e quindi gli standard di funzionalità delle amministrazioni. Se la riforma delle pensioni dovesse diventare effettiva, sicuramente avremmo dei problemi per i cittadini e per gli operatori del comparto sicurezza. La proposta, infatti, non tiene conto degli aspetti pensionistici di un settore come quello della sicurezza e della difesa che oggi, in piena crisi economica, è estremamente sensibile. Basti pensare solo al problema dell’età anagrafica in relazione al mantenimento dell’ordine pubblico. È giusto avere un’età media degli agenti così alta? La risposta è ovviamente no; si andrà sicuramente incontro ad un abbassamento delle capacità e delle funzionalità delle amministrazioni e dei singoli operatori. Tutto questo senza contare un nodo, su cui come sindacato ci battiamo da tempo, legato ai tempi d’accesso alle forze di polizia. Oggi, infatti, si entra in Polizia non prima dei 27 anni. Ciò alza molto l’età media e impedisce agli agenti e ai funzionari di ottenere una pensione dignitosa in futuro. A questo va aggiunto che il ‘Governo tecnico’, con la spending review, prevede di ridurre ancora il personale. Sono 18 mila gli operatori in meno entro il 2015: sei mila solo nella Polizia di Stato. Il Senato, per correre ai ripari, ha approvato un emendamento che prevede che il turn-over passi dal 20 al 50%, un piccolo passo in avanti. In più nel decreto della spendig review è previsto il taglio per tutto il sistema delle forze dell’ordine di altri 15mila operatori, 5mila solo nella Polizia di stato. Si va ad incidere su una carenza d'organico che ha visto già 30mila operatori in meno negli ultimi tre anni, mentre in questi giorni si promette a parole che la sicurezza non verrà toccata. Oggi, quindi, assistiamo ad una arretramento delle forze sul campo, a discapito di legalità e sicurezza. Gli uffici che attualmente hanno il personale ridotto all’osso in futuro verranno chiusi (sempre per rimanere all’insegna del risparmio). Anche per questo motivo chiediamo al Governo di cambiare rotta, magari aprendo un vero confronto con noi del Silp e con il resto delle sigle sindacali. I punti critici che devono essere affrontati in particolare sono: l’aumento di due anni dell’età pensionabile, per le fasce di base, che si innalza in base all’età e alla qualifica. Anche la parte economica ha il suo peso, già in precedenza è stato modificato il coefficiente di trasformazione delle nostre pensioni: uno è il montante contributivo, uno è il moltiplicatore. Chi va in pensione oggi prende meno di chi ci andava un anno fa. Chiedere ai poliziotti di pagare di più mi sembra difficile. C’è poi un collegamento diretto, già presente nella riforma generale, sull'aumento dell’età per andare in pensione con riferimento all’aspettativa di vita degli italiani. Questo concetto ha un fondamento generale condivisibile, ma non tiene conto della progressiva degenerazione delle capacità psico-fisiche degli operatori che superano i 60 anni e lavorano in territori sempre meno sicuri. Occorre sganciare questi due fattori: l’aumento dell’aspettativa di vita con la presunzione che anche un sessantenne possa lavorare di notte in strada, magari rincorrendo giovani spacciatori. Non dobbiamo infatti dimenticare che gli operatori di polizia, quelli delle forze armate, girano armati; le situazioni critiche come una rapina rischiano di diventare ancora più pericolose se a gestirle sono operatori che hanno superato i sessant’anni d’età. L’ultima intervista rilasciata a Polizia e Democrazia è della primavera scorsa. Il tema pensioni è ancora caldissimo, ci racconta l’evoluzione delle trattative (se ce ne sono) con il Governo? Gli incontri sono stati disastrosi, e la cosa ci ha anche notevolmente stupiti. La sostanza è che il ministro non è interessato ad un confronto vero; anche l’ordine del giorno, passato all’unanimità, votato dal Senato impegna l’esecutivo a confrontarsi con le sigle sindacali e quindi con gli operatori che operano sul campo. Per ora, però, il solo modello che sembra avere in testa la Fornero è quello di un progetto a cui noi possiamo solo fare delle semplici osservazioni. Tutto ciò mi sembra in contrasto con le priorità del Paese e dei cittadini. Come influiscono i tagli al comparto sulla tutela e difesa della legalità e sulla lotta alla criminalità? Gli Stati generali sulla legalità della Cgil, che si sono svolti a Roma nel palazzo della Provincia questa estate, hanno confermato la preoccupazione delle autorità sia sul versante della sicurezza e sia su quello della legalità a Roma e nel Lazio. E questo è un trend perfettamente coincidente con quello che sta succedendo a livello nazionale. Va aggiunto, che il fatto che il Governo non sembri cogliere la gravità della situazione ci preoccupa non poco. Le scelte di oggi inesorabilmente ricadranno sul futuro del comparto e sulla capacità di difesa del Paese. Ci troviamo di fronte a un evidente processo di crescita delle organizzazioni criminali del territorio, ad esempio: quando poi si dice ‘vendiamo i beni confiscati’ (posizione sostenuta dal ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri ndr) non si ha idea di quali siano le conseguenze in termini di fiducia dei cittadini e di efficacia di uno strumento nella lotta alla mafia. Nella legge Pio La Torre il sequestro e la confisca non sono strumenti funzionali a fare semplice cassa, sono piuttosto istituti fondamentali per rendere diffusa e partecipata la lotta alla criminalità organizzata, perché è visibile a tutti il bene che viene tolto. D’altra parte c’è un rafforzamento del radicamento economico e sociale delle mafie nel nostro Paese rispetto anche a un recente passato. Le cause? Una, per cui l’Italia ha scarsa responsabilità, è strutturale. Si tratta del dominio della finanza sull’economia. Un sistema come quello moderno, fondato tutto sugli scambi finanziari, favorisce chi ha immani disponibilità di risorse e attraverso i paradisi fiscali ha consentito all’organizzazione mafiosa di trasformarsi in holding di livello internazionale. Le altre colpe però sono tutte italiane e di chi ha governato negli ultimi anni. E attualmente il Governo, con la spending review, ha deciso la soppressione di alcune province e ciò significherà anche la chiusura di alcune prefetture e questure, con il trasferimento delle funzioni a uffici vicini. Per non parlare dell’idea, che sta trapelando da ambienti governativi, che più al posto di una questura possa sorgere un commissariato. Si fanno ipotesi di questo tipo per città come Ragusa, Enna, Vibo Valenzia, Latina o Crotone. L’idea che l'esecutivo fa passare è che una questura, una struttura con diversi uffici specializzati che fronteggia il crimine su più versanti, possa essere sostituita da un commissariato, un presidio a funzione ridotta anche mantenendo lo stesso numero di personale (eventualità peraltro improbabile visto che l’obiettivo è risparmiare). La sicurezza e la legalità, per noi del Silp, sono condizioni fondamentali per uscire dalla crisi pertanto abbiamo l’importante compito di spiegare che ci vuole un disegno organico di sicurezza e lotta all’illegalità. Con il solo termometro dello spread e la sola convinzione che si possa avere un’amministrazione più piccola (“più piccola” ha detto Grilli, non più efficiente) ci ritroveremo piuttosto a fronteggiare una situazione di ulteriore rischio, in cui i cittadini sono sudditi e non cittadini di serie A. Corruzione, come vede il disegno di legge presentato? Nel nostro Paese c’è stato un aumento della corruzione tale da farlo diventare un fenomeno sistemico. Nel sentire comune la corruzione non solleva sufficiente riprovazione, quasi fosse un fenomeno a cui bisogna rassegnarsi. L’altro fattore nostrano è l’aumento dell’area “grigia”, quella in cui gli imprenditori tengono un piede da una parte e uno dall’altra. Poi, soprattutto a livello normativo, c’è la mancata risoluzione dell’annoso problema dei controlli. In Italia ci si esercita molto nella bontà dell’elemento normativo, ma quando una legge va applicata si scopre che non ci sono le strutture, le capacità e molto spesso la volontà per farlo. Sondate le cause, gli effetti del potenziamento delle mafie nel Paese derivano innanzitutto dalla diffusione dell’attività criminosa oltre i confini delle Regioni a tradizionale radicamento mafioso. Il radicamento al Nord è sicuramente un campanello d’allarme per il Governo. Invece l’usura, il gioco d’azzardo (che in periodo di crisi viene secondo me sottovalutato) e l’investimento della criminalità mafiosa nelle attività commerciali e edilizie sono le preoccupazioni che abbiamo per la città di Roma. La criminalità si esprime nel potere che viene dal denaro, che si può usare al di fuori di qualsiasi regola. È questo il centro della questione e ciò da cui bisogna guardarsi. Per quanto riguarda la legge proposta dal Governo tecnico si può parlare solo di un buon inizio. La corruzione in Italia è endemica, i dati ormai sono chiari e incontrovertibili, le stime parlano di un fenomeno che a differenza degli anni '90 attraversa quasi tutta la società. Non sono solo i politici a corrompere o a essere corrotti, molti funzionari di alto e medio livello permettono che tutto ciò continui ad avvenire. Il Paese ha bisogno di reagire, per ora abbiamo ottenuto una legge che specificamente tratta la corruzione. Mancano però alcune cose: i tempi di prescrizione dovrebbero essere allungati, si dovrebbe aggiungere il falso in bilancio e delle norme per contrastare l'auto riciclaggio. Altro elemento, che per ora sarà difficile da inserire, è la creazione di un'autorità indipendente (con poteri reali) che controlli la pubblica amministrazione. ‘Cause di servizio’. Ci spiega quanto influisce la “salute” sulla qualità nel servizio del corpo di Polizia? Noi del Silp ci siamo adoperati con attenzione ed impegno per stimolare una maggiore attenzione verso le “cause di servizio”. Il convegno che si è svolto lo scorso giugno ne è la prova. Lo Stato dimostra ingratitudine nei confronti degli agenti già in servizio e nei confronti di quelli che devono ancora entrare. Le nuove tutele, infatti, rischiano di produrre una 'crisi delle vocazioni'. Con l'esecutivo, durante l'incontro per la manovra finanziaria, ci sono stati alcuni evidenti contrasti. Ad esempio il ministro Fornero vede nelle specificità dei poliziotti dei privilegi. Non si può però pensare di abbattere il debito pubblico del nostro Paese partendo dagli stipendi, dalle pensioni e dal riconoscimento delle 'cause di servizio' del nostro settore. Possiamo, invece, ipotizzare un modello medico specifico per la categoria: chiedere ai nostri esperti altri ulteriori contributi; per conto nostro spingeremo, magari con un Governo politico, affinché questo modello possa vedere la luce. Come dare visibilità a questi temi? Quale è la linea d’azione del Silp per rendere ogni lavoratore di Polizia e ogni cittadino informato sulle questioni della sicurezza? Come sindacato ci muoviamo all'interno e in stretta relazione con la Cgil. Siamo stati in prima fila in tutte le iniziative proposte e fatte in difesa della legalità. L'idea che in Italia prevalga l'economia grigia, la criminalità - piccola o organizzata che sia - e l'idea che solo con la corruzione si possa fare business spinge noi del Silp a lottare con iniziative, dibattiti e vertenze a fianco della Cgil.
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