Il Duemiladodici è stato un anno caratterizzato dal sorgere di numerose iniziative dirette ad attirare l'attenzione della cittadinanza e del Governo sulla questione delle aziende sequestrate e confiscate alla mafia e a sollecitare un intervento legislativo in materia di lotta alla criminalità organizzata. Molti incontri e dibattiti sono stati promossi e hanno avuto luogo sia a livello pubblico sia a livello istituzionale e molte proposte sono state avanzate in questo ultimo periodo da parte delle componenti dell'antimafia sociale, dei sindacati e dell'Associazione Nazionale Magistrati; si pensi a titolo di esempio all'incontro tenutosi a fine agosto tra le associazioni antimafia e il Ministro dell'Interno Cancellieri sulle possibili misure di implementazione dell'Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati. Da un lato questa insistenza si può ascrivere alla modificabilità solo temporanea del decreto legislativo 159/2011 - il cosiddetto Testo unico antimafia, aspramente criticato da più parti in diversi suoi articoli - e dunque alla necessità di provvedere prontamente alla sua correzione prima che i provvedimenti in esso contenuti diventino irreversibili. D'altro canto però l'urgenza di queste iniziative sembra dipendere in misura maggiore dalla consapevolezza - emersa con prepotenza di fronte all'attuale crisi economica - di come il sistema economico criminale e la corruzione incidano pesantemente sul nostro Pil e di conseguenza sui cittadini venendo a costituire una zavorra non più sostenibile né tantomeno giustificabile. Come messo in evidenza da Serena Sorrentino, segretario confederale della Cgil, il giro di affari delle mafie ammonta a oltre 170 miliardi di euro l'anno (circa il 27% del nostro Pil) e la pervasività delle attività criminali nell'economia legale è ormai un fenomeno accertato, come dimostrato dal fatto che le aziende sequestrate operano in tutti i settori produttivi (con una percentuale molto alta che investe terziario e edilizia, i settori chiave del nostro Paese) e in tutte le regioni d'Italia. Da questa consapevolezza prende le mosse la recente proposta della CGIL, presentata all'inizio di Ottobre presso la Sede della Federazione nazionale della stampa italiana a Roma e volta a favorire l'emersione alla legalità delle aziende sequestrate e confiscate e valorizzarne l'enorme patrimonio economico e allo stesso tempo tutelare i lavoratori di questo “settore“ che si trovano a pagare con il licenziamento e la disoccupazione l'inconsapevole (nella maggior parte dei casi) dipendenza da un capo criminale, in un primo momento, e l'incapacità delle istituzioni di recuperare questi beni, dopo. Lo Stato dovrebbe al contrario garantire sicurezza sociale e certezza di un vero e proprio percorso di riconversione alla legalità, perché, come affermato in occasione della presentazione da Paolo Beni, presidente nazionale dell'Arci, "il fallimento di aziende sequestrate alle mafie è un fallimento della legalità della società civile“. Società civile che deve tenere ben presente la propria responsabilità nella lotta contro le mafie. Come richiama lo stesso claim dell'iniziativa volta a presentare la legge di iniziativa popolare, “Io riattivo il lavoro“, ognuno può svolgere un ruolo attivo nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata e di restituzione della dignità al lavoro legale. Come un'altra importante legge di iniziativa popolare (l.109/96) sosteneva, restituire alla collettività i patrimoni sottratti alla mafia e porli alla base della costruzione di nuove relazioni economiche sane e legali ha un valore simbolico fondamentale, poiché afferma la legalità democratica e il potere dello Stato sul malaffare. Ciò è dimostrato nei fatti dalle tante esperienze economiche positive di riutilizzo sociale di beni confiscati. Quello che però la recente proposta vuole sottolineare è come, oltre al valore simbolico, questi beni possano costituire una concreta opportunità di lavoro, tanto più importante in un momento in cui la disoccupazione è in fortissima e costante crescita. Come affermato in apertura dei lavori da Luciano Silvestri, responsabile nazionale dell'Area Legalità e Sicurezza della Cgil: “Oggi c'è bisogno di un nuovo scatto. La legge Rognoni-La Torre non può rimanere un fiore all'occhiello; va applicata e resa operativa“ mediante la predisposizione di concreti strumenti di sostegno economico e finanziario che accompagnino la riconquista di lavoro legale. Il paradosso è che attività economiche che nelle mani della mafia sono vitali e produttive tracollano quando vengono sequestrate dallo Stato. Come i dati ufficiali dell'Anbsc mostrano, il 90% delle aziende confiscate fallisce, per una serie di motivi tra cui la grave questione del blocco del credito da parte delle banche, la lentezza delle procedure di riassegnazione e il conseguente depauperamento della posizione di mercato, l'inadeguatezza degli strumenti necessari per l'emersione dalla legalità e la valorizzazione del patrimonio confiscato e la tendenza infine a preferire la liquidazione piuttosto che a tutelare i livelli occupazionali e la continuità aziendale. La legge Da queste considerazioni la Cgil ha preso le mosse per formulare i dieci articoli di legge presentati nel corso dell'iniziativa “Io riattivo il lavoro“. In primo luogo viene posta la tutela e la dignità dei lavoratori: attraverso la proposta di reintrodurre l'accesso universale agli amortizzatori, cancellati dalla recente Riforma Fornero per i lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate; poi attraverso proposte atte a favorire l'emersione del lavoro irregolare mediante agevolazioni fiscali e investire nella sicurezza dei luoghi di lavoro e nella formazione dei lavoratori, anche in vista della possibile loro costituzione in cooperative che decidano di rilevare l'azienda. Gli altri due pilastri della legge di iniziativa popolare sono poi quello di favorire l'emersione alla legalità delle aziende sequestrate, nel momento in cui esse passano sotto la gestione dell'autorità giudiziaria, con l'obiettivo di salvaguardare la posizione sul mercato e i rapporti di lavoro in essere e quello di ristrutturare, riconvertire e rilanciare le aziende nella fase di confisca definitiva, alleviandole dai gravami cui sono afflitte dal momento della consegna. Oltre agli ammortizzatori sociali, alcuni strumenti concreti previsti dalla proposta affinché questi principi possano avere un riscontro pratico sono dunque l'istituzione di un fondo che sia in grado di consentire la continuazione dell'attività produttiva fungendo da garanzia per le linee di credito concesse dalle banche e poi interrotte nel momento del sequestro; l'istituzione di un fondo di rotazione che supporti la riconversione anche mediante la creazione di lavoro qualificato; sono previsti infine strumenti di premialità fiscale per chi decida di entrare in affari con queste aziende assegnando commissioni o investendovi direttamente e instaurando in questo modo un circolo virtuoso che sia in grado di sostenere l'azienda nel suo percorso di emersione alla legalità. L'articolazione delle proposte, che ruota attorno alla legalità e alla dignità dei lavoratori, mostra forte la convinzione che l'aggressione ai patrimoni della criminalità organizzata e la lotta alle mafie non si combattano esclusivamente sul piano repressivo ma anche e soprattutto sul piano economico e sociale. Il lavoro come risposta alla condotta mafiosa non solo è possibile, ma è la strada principale da perseguire per dare forza all'azione della magistratura e delle forze dell'ordine.
|