«Affrontiamo il tema delle infiltrazioni mafiose nel comune di Roma. Se la finanza è globale, è stato detto, anche la mafia è globale. Mi pare un argomento un tantino originale, un’affermazione che forse andrebbe sostanziata un po’ di più. Altrimenti, come diceva Giardullo, pare tesa a giustificare il fatto che qualcuno si è reso conto un po’ tardi che l’ineluttabilità delle infiltrazioni mafiose sul territorio nazionale non è un dato di cui capacitarsi solo davanti alle evidenze giudiziarie. Sarebbe stato meglio ammettere di aver sbagliato l’analisi e le politiche sociali messe in campo. In tempo di crisi la destrutturazione di un sistema di regole, norme e diritti non è inevitabile. Di fatto, a differenza di quanto era stato chiesto dalla Cgil, la deregolamentazione è stato scaricata sulle responsabilità sociali, che sono costrette a ricontrattare tra di loro uno spazio dei diritti sempre più ridotto. Noi invece avevamo provato a dire che ridare senso e contenuto alla parola legalità, declinandola in particolare nei suoi aspetti economici, poteva essere un modello per uscire dalla crisi e ricostruire il Paese. Mentre il Paese “legale” è andato in crisi, in termini sociali e in termini economici, c’è una parte del Paese che ha vissuto dei proventi dell’economia illegale, che ha continuato a prosperare e a crescere. Per la Cgil è questo il primo elemento di disuguaglianza. E allora ci siamo detti: proviamo a ripartire da qui. Siccome siamo un’organizzazione sindacale le prime norme che vorremmo ricostruire sono quelle che mettono insieme regolarità nel lavoro».
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