D 1869 Gorgona, la più piccola isola dell’arcipelago toscano, ospita l’ultima colonia penale agricola del Paese ancora in attività. Con i suoi 220 ettari, l’isola offre ai suoi detenuti la possibilità di scontare la propria pena in un carcere senza sbarre dove il lavoro, la cultura e l’istruzione sono le colonne portanti del percorso rieducativo e di reinserimento nella società. Un penitenziario a cielo aperto al cui interno viene data una possibilità di riscatto attraverso la fiducia e la dignità che solo un mestiere può dare. Seguiti da esperti veterinari e agronomi, ogni giorno i reclusi sono impegnati nella produzione di numerosi alimenti destinati alla vendita e al consumo interno. Frutta e verdura, olio, carne, formaggi sono solo alcuni dei prodotti coltivati e trasformati sull’isola. Insomma, un paradiso rispetto agli istituti penitenziari “chiusi” disseminati sul territorio nazionale. Un esempio, il carcere di Gorgona, che dimostra con i fatti quanto sia importante impegnare i detenuti il più possibile durante il giorno con attività concrete e di conseguenza considerare la cella solo un luogo dove andare a dormire. Un progetto rieducativo strabiliante che vede il penitenziario toscano salire al cento per cento nelle statistiche dei detenuti che lavorano, rispetto al 13 per cento della popolazione carceraria nazionale. Un dato in controtendenza che identifica la casa circondariale dell’arcipelago toscano come un carcere propositivo dove i reclusi hanno la possibilità di trasformare le conseguenze dei propri sbagli in un’occasione di riscatto.
Ovviamente non tutte le richieste di assegnazione posso essere accettate. L’amministrazione penitenziaria ha stabilito dei criteri di selezione per l’accesso al carcere, tra i quali: non essere collegati alla criminalità organizzata, non avere problemi di tossicodipendenza, non avere una condanna superiore a dieci anni e godere di buone condizioni fisiche.
Il direttore delle case circondariali di e Massa Marittima, Carlo Mazzerbo, spiega come «il carcere di Gorgona è sempre stato gestito con un modello “aperto” di sconto della pena. Quello che sto cercando di fare negli ultimi anni è di proiettare ancora di più l’isola verso l’esterno puntando sulle attività per cui è vocata e incentivando il turismo. Il punto è che se noi non lavoriamo e interagiamo con la società – continua il dirigente – il nostro lavoro diventa inutile».
Nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con il giornalista Gregorio Catalano e intitolato Ne vale la pena, il direttore Mazzerbo racconta con dovizia di particolari come è possibile vincere la dura sfida della rieducazione e riabilitazione in carcere adottando un modello di detenzione completamente aderente all’articolo 27 della Costituzione. Tra le tante storie riportate nel libro una su tutte riassume in maniera ineccepibile lo spirito che aleggia all’interno del carcere. La vicenda è quella di un detenuto che svolgeva la mansione di ragioniere all’interno dell’istituto di pena. Giorgio – questo è il nome del protagonista – una volta ottenuta la condizionale ha chiesto di rimanere altri tre giorni in carcere per concludere il suo lavoro e non tradire la fiducia ricevuta.
Ma quanti sono i detenuti che tornano a delinquere una volta scontata la propria pena sull’isola? Il direttore Mazzerbo non ha dubbi in merito: «Non sono in possesso di dati ufficiali, ma ho la ferma convinzione che il tasso di recidiva riferito alle persone che escono da Gorgona sia nettamente più basso rispetto alla media nazionale. Noi forniamo gli strumenti necessari per far sì che la persona detenuta capisca che i primi responsabili della nostra vita siamo noi stessi. La testa non si cambia a nessuno – conclude il direttore – perché alla base di ogni cambiamento c’è sempre una scelta personal
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