«Dopo soli quattro mesi di lavoro posso limitarmi a spunti di riflessioni – ha dichiarato il neoprocuratore di Roma Giuseppe Pignatone -. Dal punto di vista della procura Roma è una realtà complessa e complicata. Ci sono sul tavolo problemi finanziari, microcriminalità, usura, terrorismo e mafie. Soffermiamoci sul problema mafie. Nel Sud della regione veri e propri clan sono strutturati in loco e a Roma esiste una criminalità economica. La speculazione edilizia è stata una delle cause che ha favorito il dilagare della criminalità e oggi la città vede crescere esponenzialmente la massa di denaro di dubbia origine che viene reinvestita sul territorio. Si verificano poi imponenti fenomeni di evasione fiscale, frodi e si osserva una lunga serie di grandi fallimenti che muovono quantità immense di denaro. Quel che caratterizza Roma è un accordo tacito per evitare atti di violenza tra i vari gruppi. Ciò accade perché nella Capitale c'è spazio per tutti e per i clan è meglio non attirare l'attenzione della magistratura. Prendiamo il caso noto del Caffè de Paris. Lo storico locale viene comprato da persone ritenute prestanome della ‘ndrangheta con un prezzo fuori mercato. Questo era un segnale chiaro: troppo denaro in tempo di crisi. Nelle pieghe del processo c'è però un altro fatto. Il proprietario aveva promesso a un libanese il caffè con regolare accordo, ma a un certo punto lo chiama e gli dice che non poteva più vendere. Il libanese non ci sta e fa causa civile. Alla fine il proprietario dice di non poter vendere “per colpa dei calabresi”. Questo significa che chi si presenta a comprare pone la condizione di violenza. È una violenza senza omicidi, ma è comunque un pericolo da combattere e contrastare. Cosa dobbiamo fare, allora, noi autorità delegate alla repressione? Dobbiamo innanzitutto rispettare le regole, dalla costituzione in giù. E in modo rigoroso. Se infatti cominciamo a barare perderemo la guerra. È necessario stare attenti alle infiltrazioni mafiose in base alle nostre risorse, usando lo strumento legislativo (reati per corruzione, intercettazioni telefoniche) ma anche investimenti. Le assunzioni sono ferme dal 1999 tra gli amministratori, ci sono dunque carenze di personale, ma dobbiamo non farle diventare un alibi. Facciamo piuttosto indagini che portino a sentenze di condanna».
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