«Ci sono infatti tutte le condizioni affinché le infiltrazioni mafiose aumentino: il crollo del mercato legale, l’impoverimento dei crediti bancari delle famiglie romane e del tessuto civile nelle periferie romane, l’arretramento della presenza civile che rende queste aree urbane più vulnerabile. Il problema di guardare al futuro in questi termini è immenso. Tuttavia incontri come questo sono utili a capire che tutti hanno dei compiti da svolgere. Non dobbiamo fermarci a contemplare la questione e la lotta alle mafie non è solo compito della polizia e della magistratura. La lotta alle mafie parte dalla chiarezza di un’alleanza tra tutte le forze sociali. Anche la Provincia ha cercato di lavorare. Faccio l’esempio della campagna sulla “ludopatia” contro le sale da gioco, contro l'usura e l’azione mediatica sul rapporto tra silenzio e mafia, per sostenere una cooperativa giovanile. In secondo luogo occorre metterci d'accordo su cose concrete. La prima è la cultura della legalità, che oggi in Italia deve significare coerenza: i palazzi con i muri di vetro devono essere quelli della politica. La crisi non deve giustificare l'illegalità, come accade nella gestione dei cantieri dell’edilizia. In nome della crisi e dell’emergenza, per ottenere almeno un po’ di lavoro a buon prezzo, si calpestano leggi, regole e tutele. Bisogna fermare quelle pratiche di subappalto con sui si aprono le porte a piccole e medie imprese che non provengono dalla cultura della legalità. È necessario ridare allo sviluppo urbano la centralità della persona e dell'incontro, così che lo spazio pubblico sia utile ad aggregare le persone, a rigenerare comunità».
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