«La corruzione è profondamente radicata in diverse aree della pubblica amministrazione, nella società civile così come nel settore privato. Il pagamento delle tangenti sembra pratica comune per ottenere licenze e permessi, contratti pubblici, finanziamenti, per superare gli esami universitari, esercitare la professione medica, stringere accordi nel mondo calcistico». È quanto emerge osservando i dati relativi al fenomeno della corruzione in Italia nell’ultimo decennio. Lo riporta la Commissione di studio per la lotta alla corruzione nella P.a. istituita dal ministro Patroni Griffi che, riferendo i dati del Rapporto Greco (Group of States against corruption) del 2011, traccia il quadro della diffusione del fenomeno della corruzione
La dottoressa Berlanda, nel suo saggio, riporta un evento emblematico che portò la corruzione all'attenzione della Comunità internazionale: «all'indomani del processo di decolonizzazione postbellica le ex potenze occupanti iniziarono ad avvertire il pericolo costituito dalle élite emergenti nell'emisfero sud del mondo, una minaccia per il loro solido primato commerciale, ed iniziarono così ad assicurarsi la lealtà dei partner in affari tramite l'elargizione di somme di danaro. Poi di tale pratica s’iniziò a fare un uso più ampio, diretto ad agevolare interessi di varia natura, non da ultimo politici: basti pensare agli anni della Guerra Fredda, quando la corruzione era uno dei mezzi votato al mantenimento delle proprie sfere d’influenza politica; significativamente, l'atteggiamento della Comunità internazionale nei confronti della corruzione subì la sua drastica inversione di tendenza proprio nei primi anni novanta. Quasi due decenni prima dei suddetti cambiamenti geopolitici veniva adottata dagli Stati Uniti la legge che costituisce il precedente fondamentale e punto di partenza per molte delle disposizioni internazionali a venire, pensata per porre un freno alla corruzione dilagante (quantomeno a quella commerciale) delle imprese locali: si tratta del Foreign Corrupt Practices Act (Fcpa) del 1977; tale norma prendeva le mosse dalla scoperta e divulgazione – dalla metà degli anni Settanta – dei comportamenti criminosi di diverse società americane, le quali si procacciavano affari pagando mazzette a pubblici ufficiali stranieri. Tali pratiche furono portate alla luce in particolare dallo “scandalo Lockheed”, che vide coinvolta una delle maggiori imprese belliche statunitensi e le più alte sfere politiche di numerosi Paesi (in particolare Giappone, ma anche Olanda, Germania dell'Ovest e Italia), spinte grazie al pagamento di tangenti ad acquistare i prodotti americani. Sulla scia del clamore suscitato, la Security Exchange Commission (Sec, l'ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori) propose un trattamento di favore per tutte quelle società che avessero volontariamente ammesso il pagamento di tangenti a pubblici agenti stranieri e implementato procedure anticorruzione interne. A seguito dello scalpore causato dai dati raccolti, nel 1977 fu avanzata e approvata una proposta di legge che mettesse al bando la corruzione dei pubblici ufficiali stranieri. Nessuno seguì l'esempio degli Stati Uniti: la corruzione era considerata parte del modus operandi di molti Paesi in via di sviluppo, e si riteneva opportuno tollerarla fino a che tali Paesi non avessero raggiunto obiettivi più impellenti, quali standard di democrazia accettabili; ma è ovvio che le motivazioni fossero prevalentemente di ordine economico, e che le restrizioni nei confronti delle imprese USA comportassero un potenziale vantaggio per i concorrenti stranieri». Una costante italiana Aldo Giannuli da un punto di vista storico, durante il periodo repubblicano, distingue sei principali periodi caratterizzati dalla corruzione: 1. tardi anni Quaranta-primi Cinquanta: corruzione endemica; 2. metà anni Cinquanta-metà Sessanta: corruzione diffusa; 3. fine anni Sessanta-metà Settanta: corruzione generalizzata; 4. fine Settanta-primi Novanta: corruzione sistemica; 5. prima metà anni Novanta-fine anni Novanta: disgregazione delle precedenti reti corruttive e metamorfosi del fenomeno; 6. anni Duemila: ipercorruzione finanziaria. «Nel primo periodo ci troviamo in presenza di singoli episodi malversativi, spesso strettamente riferiti alla situazione del momento». Emblematico l'aneddoto riguardante il senatore Teresio Guglielmone (Dc) e Umberto Terracini (Pci) che gli ricordava come avrebbe avuto l’obbligo di vivere con il solo stipendio parlamentare: «Senatore Terracini, se lei avesse otto figli come li ho io, non parlerebbe così». L’intramontabile Italia del «tengo famiglia!». Intorno alla metà degli anni Cinquanta con il consolidarsi del sistema politico partitico e quindi con il conseguente aumento delle spese la Dc «cercò di coprire la differenza in primo luogo attraverso iniziali forme di finanziamento surrettizio (finanziamenti ad hoc ad associazioni collaterali, forme improprie di utilizzo di beni pubblici, utilizzo di enti pubblici, spesso costituiti ad hoc, come strutture di appoggio elettorale...) espresse essenzialmente attraverso il canale degli enti a partecipazione statale, e in primo luogo l’Eni di Enrico Mattei. Altra forma di sovvenzione fu quella proveniente da massicce pratiche malversative di enti come la Federconsorzi, che contribuirono ad alimentare la vita di organizzazioni collaterali di particolare importanza come la Coldiretti. Ma il canale principale per la Dc fu quello proveniente dalle banche di raccolta (in particolare le Casse di risparmio), i cui vertici erano spesso di nomina pubblica». «Con l’affermarsi del centrosinistra - continua Giannuli -, il Pci restava praticamente senza possibili alleati (salvo il piccolo Psiup) e condannato a crescere su se stesso per guadagnare la prospettiva di possibile partito di Governo. Ne conseguiva un deciso sforzo organizzativo affiancato dalla ricerca di alleanze a livello periferico (negli enti locali) o in ambiti settoriali (come il sindacato)». Il canale più redditizio di raccolta dei consensi elettorali si dimostrò quello del voto di preferenza (che subiva una rapida impennata), con conseguente espansione delle pratiche clientelari in particolare nel Sud. Semplificando in modo estremo si arriva sino alla metà degli anni Settanta, dove i partiti «conobbero una costante espansione occupando sempre nuovi spazi di vita sociale: gli enti di Stato, i sindacati, le cooperative, l’associazionismo, i mass media, la pubblica amministrazione, l’università, gli ospedali, tutto venne assoggettato a una brutale spartizione partitica prima e di corrente dopo». Tutto ciò non poteva essere realizzato che a queste condizioni: nla piena fusione fra la corruzione del ceto politico e quella della dirigenza amministrativa; nun’estesa connivenza del ceto politico tanto di Governo quanto di opposizione nuna sostanziale acquiescenza tanto degli organi di controllo contabile (ragioneria dello Stato, Corte dei conti, organismi probivirali e di revisione delle società pubbliche...) quanto della magistratura ordinaria; nla tacita accettazione del sistema delle tangenti da parte del ceto imprenditoriale che, lungi dall’avvertirlo come un’estorsione (e, infatti, non di concussione si trattava, ma di corruzione, appunto), lo accettava come garanzia i ottimi affari e di tutela da sgraditi concorrenti; nla partecipazione di un nutrito gruppo di professionisti (ingegneri, avvocati, commercialisti...) chiamati a progettare singole opere o a gestire l’aspetto giuridico di molti affari. «Nella seconda metà degli anni Ottanta il sistema iniziò ad andare in crisi. L’eccessiva frammentazione correntizia dei partiti, la falsa democrazia della loro vita interna, la produttività sempre più scarsa del sistema politico, l’incomprensibilità dei suoi riti (in particolare in occasione delle crisi di Governo), iniziarono a produrre un forte rigetto». La prospettiva della moneta unica, poi, rendeva non più sostenibile la situazione del debito pubblico che minacciava di andare fuori controllo. «I ceti imprenditoriali - continua Giannuli - iniziarono a considerare non più accettabile la prassi tangentizia che sino a quel punto era stata regola costante. A determinare il crollo fu la convergenza fra le inchieste giudiziarie e il referendum sulle leggi elettorali e il passaggio dal proporzionale al maggioritario. Il sistema dei partiti si disintegrò nel giro di pochi mesi e con esso entrò in crisi anche quello della corruzione che vi si era sovrapposto. Molti pensarono a una sorta di catarsi nazionale che avrebbe messo fine alla piaga eterna della corruzione. Ma non fu questo: si trattò solo di una sua metamorfosi, per quanto profonda. Ci fu una reale battuta d’arresto nella corruzione per qualche anno, ma essa fu prodotta da un lato dal blocco delle opere pubbliche per oltre un lustro, dall’altro dal contraddittorio e lento processo di riorganizzazione del sistema politico». Con l’arrivo della globalizzazione, delle campagne elettorali mediatiche e la fine della «militanza», i costi dei partiti salirono vertiginosamente: «Infatti, la propaganda elettorale ha introdotto modalità assai costose: dagli spot televisivi e radiofonici ai manifesti 3×6 e il tutto è curato da agenzie pubblicitarie che vengono pagate molto profumatamente. D’altra parte, il crollo dei tassi di militanza ha indotto i partiti a servirsi di personale avventizio pagato per attività prima svolte a titolo gratuito da iscritti ed attivisti: dalle feste di partito al semplice volantinaggio, dall’affissione dei manifesti alla raccolta delle firme per referendum e presentazione di liste per le quali si fa sempre più ricorso alle agenzie interinali. Ed è anche emerso che, in qualche occasione, anche i partecipanti a grandi manifestazioni di partito (in particolare grandi appuntamenti nazionali) ricevono qualche piccolo “gettone di presenza”. Nello stesso tempo, a latere del personale politico funzionariale e di quello elettivo, è comparsa una terza figura professionale del ceto politico: quello dei consulenti (sondaggisti di opinione, pr, ghost writer, commercialisti, avvocati, psicologi incaricati di “motivare la squadra” di una qualche giunta, esperti di organizzazione del lavoro o di urbanistica ecc.) pagati a prestazione dal singolo partito o, indirettamente, da una qualche pubblica amministrazione ma su input politico. Spesso sono questi i compensi più rilevanti che spesso nascondono qualche tangente».
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