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Ottobre-Novembre/2012 - Articoli e Inchieste
Convegno
Causa di servizio - un modello da cambiare?
di Gastone Scarpa

Il 26 giugno, nel centro congressi Cavour, il Silp per la Cgil ha tenuto un importante convegno. «Un primo momento di approfondimento sulla delicata materia della “causa di servizio”, per cercare di aprire una riflessione sul modello in essere e sui miglioramenti ad esso possibili, nonché per valutare, in prospettiva, ipotesi diverse che vadano nella direzione di dare reale e concreto riconoscimento a favore della categoria per tutte quelle infermità che sono strettamente connesse o che possono sicuramente essere riconducibili al rischio professionale e lavorativo degli operatori delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del Soccorso Pubblico»



A discutere del delicato tema, sempre molto interessante per la categoria visto i «suoi inequivocabili riflessi indennizzatori, retributivi ma soprattutto pensionistici», sono intervenuti il dottor Paolo Cortis, la dottoressa Mariagrazia Milano e la dottoressa Ilaria Niccolini, funzionari dell’ufficio relazioni sindacali. «L’attenzione sulla materia - afferma Gianni Meuti, segretario nazionale Silp - è cresciuta nel tempo, alla luce delle diverse modifiche legislative introdotte negli anni sulla materia previdenziale, strettamente connessa con il tema del convegno, ma soprattutto in relazione alle molteplici problematiche procedurali che si sono create in merito al riconoscimento dell’infermità dipendente da causa di servizio. Problematiche che stanno fortemente intaccando il modello della causa di servizio e, conseguentemente, penalizzando il personale delle Forze di Polizia. Da ciò nasce l’idea di organizzare questo convegno e il titolo interrogativo che abbiamo voluto utilizzare vuole proprio avere lo scopo di far emergere, attraverso un approfondimento e un’analisi del sistema, le criticità del modello della causa di servizio». Il 4 novembre 2010, dopo un vivace dibattito, sono state riconosciute le specificità delle Forze di Polizia, delle forze armate e del soccorso pubblico con l’art. 19 della legge n. 83. Tale disposizione normativa riconosce, per l’appunto, «la specificità del ruolo delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad esse appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle Istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti». Specificità del comparto Il d.l. 201 del 2011, una delle prime manovre del Governo Monti, ha «difatti eliminato per tutti i dipendenti pubblici, con esclusione degli operatori dei nostri Comparti, il riconoscimento dell’infermità attraverso la causa di servizio. Nei confronti del personale di tutti gli altri comparti del pubblico impiego viene ormai applicato il modello di riconoscimento dell’infermità attraverso il procedimento Inail». Rimanendo in ambito legislativo, il d.l. 45 del 2005, art. 1/ter, prevede l’ipotesi di istituire commissioni medico-legali «specifiche per le Forze di Polizia, in aggiunta a quelle della sanità militare. Tale specifica previsione è ancora oggi non attuata, nonostante si sia provveduto nei successivi anni ai lavori preparatori da parte delle diverse Amministrazioni, senza però giungere all’istituzione delle specifiche commissioni mediche. Una previsione legislativa, quindi, rimasta senza attuazione». «La causa di servizio - continua Meuti nella sua introduzione -, legata alla materia di pensionistica privilegiata, nasce da un'esigenza etico-sociale dello Stato italiano di riparare ad un danno alla persona, derivato da infermità o lesioni riportate per aver dovuto anteporre il supremo interesse della collettività al proprio diritto individuale ed all'incolumità personale. La condizione indispensabile per il riconoscimento della causa di servizio e, quindi, per l'indennizzabilità con la pensione privilegiata è l'aver subito, per motivi di servizio o a causa di esso, una menomazione dell'integrità personale ascrivibile a categoria tabellare. La tipologia lavorativa di un operatore delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del soccorso pubblico, intendendo con ciò il tipo d'impegno, le regole del servizio che compie e i contesti in cui opera non sono riscontrabili in nessun'altra attività del pubblico impiego». «Il servizio svolto nei comparti difesa, sicurezza e soccorso pubblico ha, in sostanza, caratteristiche che lo differenziano sensibilmente da quello degli altri settori pubblici. Al riguardo sottolineo come alcuni fondamentali diritti, il cui esercizio è prerogativa indiscussa per tutti i lavoratori, siano limitati, per chi opera nel nostro Comparto, da norme restrittive, in parte giustificate dalla delicata funzione che svolgiamo. Aggiungo anche che gli appartenenti alle Forze di Polizia, alle Forze Armate e al soccorso pubblico, e anche questo credo sia un aspetto esclusivo, devono essere sempre disponibili all'impiego ed assicurare la presenza in servizio ogni volta che sia necessario, in molti casi anteponendo il compito da svolgere ad ogni altra esigenza di carattere privato e correndo continuamente, nell'assolvimento della propria funzione, gravi rischi per la propria incolumità. Rischi insiti certamente nel nostro status giuridico, ma che costituiscono aspetti professionali non verificabili, in maniera similare, in altri settori del lavoro pubblico». «Il 22 dicembre dell’anno scorso - racconta il Dr. Fabrizio Ciprani, Primo Dirigente Medico Polizia di Stato Docente Università “Sapienza” di Roma - è stata abrogata la causa di servizio per tutti i dipendenti pubblici, tranne il nostro comparto, il comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico. In prima battuta ci siamo sentiti tutelati, dopodiché c’è stata anche una proposta di legge in cui si diceva che tutto questo sistema residuale venisse gestito dall’Inps. Ma perché quel diverso trattamento degli impiegati civili rispetto agli operatori del comparto sicurezza? Nel 1895 le guerre erano molto più frequenti e cruente, c’era tanta gente che tornava con delle mutilazioni, ed era difficile reinserirli nell’ambito lavorativo. Si pensò quindi di fare una pensionistica di privilegio che tale è rimasta nel nome anche se poco nei fatti. Diciamo che i fattori di rischio del personale di questo comparto sono dei fattori di rischio particolari. Abbiamo gli infortuni e lo stress. Son cose in cui poco si può fare in termini preventivi. Il fatto di star sempre allerta, il fatto di star sempre attenti a che non succeda nulla per la sua salute è qualcosa che ci differenzia da tutti gli altri comparti. Per il poliziotto il pericolo è un fattore constante nel suo lavoro. L’altro aspetto un po’ particolare è che questi criteri di riconoscimenti alla causa di servizio sono correlati in maniera molto intima a quelli di giudizi di idoneità». «Negli ultimi anni - spiega Meuti -, e qui possiamo già parlare di criticità, i tempi procedurali per il riconoscimento della causa di servizio hanno subito un notevole rallentamento, ma soprattutto, dopo l’introduzione del D.p.r. 461/2001 che ha modificato le procedure, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio da parte del comitato di verifica per le cause di servizio (già comitato per le pensioni privilegiate ordinarie), che ha il compito di emettere parere motivato in ordine al rapporto causale tra il servizio e l’infermità o lesione, è per le patologie non derivanti da lesioni traumatiche (mi riferisco alle artrosi, a quelle gastro-intestinali, a quelle cardiache, a quelle respiratorie) del 5%-10% circa per singola infermità, con una notevole differenza in negativo rispetto agli anni precedenti al 2001». A spiegare la questione nel dettaglio interviene Ciprani: «I tempi procedurali per il riconoscimento della causa di servizio sono così lunghi anche perché non sono previste sanzioni per i funzionari. Questo spiega perché si può tranquillamente arrivare in tempi di 3-4 anni, se non c’è contenzioso, ma questo nella migliore delle ipotesi ma poi, nella realtà, abbiamo dei tempi molto più lunghi, dovuti sia all’arretrato delle condizioni medico ospedaliere ma, ancor prima, anche alle fase istruttoria. I nostri uffici ci mettono tanto tempo proprio per istruire la pratica. Dopodiché c’è un’attesa in commissione medico ospedaliera, una al comitato di verifica, che è l’ente centrale che prende in esame il nesso dell’attività. Tutto ciò fa si che quando un dipendente fa un istanza per la dipendenza da causa di servizio, anche per un infortunio, per il riconoscimento del nesso di causalità possono passare anche 4 anni. Tempi lunghissimi dovuti anche alla correlazione con l’idoneità nel caso ci sia un provvedimento di inidoneità parziale; la commissione medico ospedaliera, con il nuovo sistema, rilascia il provvedimento senza sapere se la patologia sia o no dipendente da causa di servizio. Quindi cosa succede? Viene rilasciato un provvedimento al buio. Bisogna poi attendere il parere del comitato di verifica. Qualora il comitato di verifica dica, come succede nella maggior parte dei casi, per le patologie cardiovascolari, che sono patologie che non dipendono da cause di servizio, ai sensi del D.p.r. 339, il dipendente transita nei ruoli tecnici o negli altri ruoli dall’amministrazione civile, ma sarà costretto a tendere un’altra visita da parte della commissione medico ospedaliera, un’altra riunione e quindi in sostanza abbiamo dei soggetti che hanno delle patologie abbastanza serie che ci mettiamo anche 5-6 anni per ritornare in servizio. La cosa non va bene neanche in termini medici. La gente, soprattutto se ha avuto patologie importanti, deve riprendere a lavorare. Il lavoro, per le persone, è anche una terapia». Sintetizzando si potrebbe dire come «l’attuale sistema procedurale demandi il compito di stabilire il nesso di causalità tra l’infermità e il servizio, non alle commissioni mediche ospedaliere, che si esprimono nella prima fase del procedimento con visita collegiale del dipendente, ma ad un organismo che interviene nella seconda fase e che esprime il proprio giudizio solamente sulla base degli atti, senza alcuna osservazione diretta del caso in esame. Ciò sicuramente determina almeno una forte perplessità circa la giusta valutazione del nesso di causalità». Ad esempio, ci racconta Meuti: «Patologie quali l’ipertensione arteriosa, la gastroduodenite, le osteoartropatie o altre ancora, da sempre correlate al servizio di Polizia e non solo all’evento traumatico, hanno subito una drastica riduzione nel riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, con evidenti danni economici per il personale sia durante il periodo lavorativo che, soprattutto, in quello successivo pensionistico». Un esempio A illustrare una delle storture del meccanismo è il Dr. Fabrizio Ciprani: «Si tratta di un soggetto che ha avuto un primo incidente; ha riportato un trauma distorsivo del cervicale, l’infrazione di una costola, la distorsione del legamento anteriore del ginocchio destro e gli è stato quindi riconosciuto come indennizzo una tabella B, cioè una percentuale dall’11 al 20%. Rientrando nella tabella B e avendo meno di 40 anni, l’agente non ha subito fortunatamente una decurtazione dell’equo indennizzo e ha ricevuto 526,60 euro. Sempre questo soggetto particolarmente sfortunato, qualche anno dopo ha avuto un incidente ben più importante. Ha riportato 6 fratture costali con riversamento pleurico, che ha dato anche qualche versamento a livello polmonare, una frattura bifocale della clavicola e gli è stata riconosciuta, anche in questa occasione, la tabella B. Due tabelle B non vengono cumulate, sicché all’agente non viene riconosciuto nulla il secondo infortunio. Quello che succede è veramente scandaloso. Se le stesse menomazioni fossero state contratte da una vittima del terrorismo; le stesse identiche menomazioni quel soggetto le avesse avute perché colpito da terroristi o colpito perché in azioni per cui aveva la verifica di diritto del dovere, avrebbe avuto un indennizzo da 24.200 a 44.000 euro, a seconda che la tabella da 11 a 20 punti venisse valutata a 11 minimo a 20 massimo. Questo sistema tabellare per le vittime del terrorismo è un sistema assurdo, esageratamente generoso, così come ingeneroso il sistema dell’equo indennizzo, bisognerebbe quantomeno armonizzare questi settori. Io credo che un poliziotto, un vigile del fuoco, un militare che subisca una lesione per qualsiasi causa debba essere risarcito, a parità di menomazione, con lo stesso tipo di indennizzo». Il non riconoscimento Come precedentemente sottolineato, «il non riconoscimento produce evidenti riflessi di tipo economico, con ripercussioni sia sulla retribuzione che sulla pensione. Ne cito solo alcuni - afferma Meuti -, che sono poi quelli più significativi, per rendere chiara l’importanza che tale tema ha per i lavoratori della Polizia di Stato e per tutti gli operatori dei comparti della sicurezza e difesa e del soccorso pubblico, sia nella fase lavorativa che in quella pensionistica». nEquo indennizzo, ovvero indennità una tantum corrisposta al lavoratore in relazione alla qualifica posseduta e in ragione del grado di infermità tabellare riconosciuta; nFruizione delle cure termali, per determinate infermità; nIncremento stipendiale previsto dalla legge 539/50 (2,50% o 1,50%); nPensione privilegiata. Sui citati benefici e, più in generale, su tutti quelli correlati al riconoscimento dell’infermità dipendente da causa di servizio ha presentato una sua relazione il Dr. Luigi Lista, Colonnello Medico dell’Ufficio Generale Sanità Militare e docente presso l’Università “Tor Vergata” di Roma e presso l’Università Cattolica “Sacro Cuore” di Roma. «Un poliziotto che subisce una lesione traumatica e vuole un indennizzo sanitario, deve per forza di cose passare prima in un ospedale civile per farsi medicare, e poi - anche per un solo giorno - andare presso un ospedale militare, un centro ospedaliero, un dipartimento militare di medicina legale per farsi assegnare la convalescenza. Questo almeno nei casi più semplici. Se ipotizziamo una situazione in cui un agente diventa paraplegico o che ha bisogno di cure all’estero, in Svizzera o in Russia magari, le cose si complicano di molto». Conclusioni Le criticità, quindi, «riguardano il procedimento di riconoscimento nel suo insieme, intendendo con ciò sia l’aspetto medico che quello dei tempi procedurali, ormai divenuti molto lunghi, con evidenti penalizzazioni per il personale». Per i tempi del procedimento ormai ci vogliono anni, nonostante i limiti fissati dalla legge. «La discussione in atto relativa al regolamento per le misure di armonizzazione del sistema pensionistico per gli operatori delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del soccorso pubblico - conclude Meuti -, ha portato il Governo ad ipotizzare, nella prima stesura dello schema di regolamento, una modifica sostanziale anche al trattamento di pensione privilegiata, legandola al riconoscimento della causa di servizio per infermità che abbiano reso inabile l’operatore di Polizia. Seppur nel nuovo schema che il Governo ci ha consegnato in questi ultimi giorni, non si fa più cenno alla pensione privilegiata, frutto sicuramente delle nostre azioni sindacali portate avanti negli ultimi mesi, che hanno evidenziato che la materia era fuori delega, ciò non vuol dire che abbiamo eliminato l’idea nella compagine governativa, motivo per il quale dobbiamo tenere alta l’attenzione sulla specifica questione».

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