È fissata per il 31 ottobre la scadenza sulla modifica dei requisiti di accesso al sistema pensionistico del comparto sicurezza. I poliziotti e i militari si chiedono, giustamente, cosa succederà mentre il ministro Fornero continua a difendere il suo “sì” anche a dispetto dell’ordine del giorno approvato in Senato
Il decreto ‘Salva Italia’, presentato dal Governo di Monti, propone un taglio alle pensioni che coinvolgerebbe 450mila persone, tra militari e poliziotti, la cui età pensionabile verrebbe aumentata. Queste persone infatti, vedrebbero il passaggio in anticipo dal sistema retributivo al sistema contributivo. La questione posta sul tavolo dai sindacati è soprattutto una, la particolarità del lavoro del poliziotto. La vita lavorativa in ufficio è ben diversa da quella svolta in strada a difendere la sicurezza dei cittadini. Non è immaginabile, tantomeno auspicabile, avere dei tutori della legge di 63 anni che inseguono ladri, rapinatori o spacciatori di vent’anni. Per questo motivo «bisogna considerare tutte le particolarità prima di decidere sull’applicazione di un aumento dell’età pensionistica che avrebbe conseguenze negative non solo per il personale in questione ma anche per tutta la società italiana». In un lavoro come quello del poliziotto, un fattore cruciale è la motivazione. Oggi gli appartenenti alle Forze dell’ordine vivono la loro condizione di lavoratori con forte disagio. I segnali che informalmente ci arrivano sono preoccupanti. Rischiare la vita, sobbarcarsi lavori usuranti, difendere le scelte di una classe politica di un livello bassissimo, essere pagati poco e rischiare pure la pensione sono tutti elementi che abbassano il rispetto per la dignità del personale. Il decreto della discordia L’ultimo ‘Schema di regolamento di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico del personale comparto difesa–sicurezza e comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico’ è stato presentato alle forze sindacali a fine settembre. Rispetto alla proposta precedente è stato modificato poco o nulla, «L’attuale schema - spiega una nota Silp - continua a non tener conto della specificità del nostro comparto, prevedendo l’innalzamento dell’età di pensionamento, con l’inevitabile conseguenza di una elevazione dell’età media degli operatori e, quindi, con evidenti ripercussioni sull’attività operativa. Tutto ciò in danno della tutela della salute degli operatori e della sicurezza dei cittadini». Gli esperti del Silp per la Cgil hanno individuato nell’art. 3 uno dei punti di discordia con il Governo. «Riteniamo sbagliata - scrivono - la previsione di innalzamento dell’età per la pensione di vecchiaia, prevista dall’art. 3 e di innalzamento dell’anzianità per la pensione anticipata, previsto dall’art. 4. Fermo restando l’attuale limite ordinamentale, che non viene modificato con il presente regolamento, l’eventuale innalzamento dell’età per la pensione di vecchiaia potrebbe essere introdotta in forma volontaria e non obbligatoria». Il sindacato ritiene sbagliato anche il principio indicato dall’art. 2, «in ragione del fatto che la condizione psico-fisica degli operatori, che diminuisce con l’età, è requisito fondamentale per lo svolgimento delle attività operative. Il principio che lega l’incremento della speranza di vita all’età del pensionamento non dovrebbe, quindi, trovare applicazione per il nostro Comparto». Sembra poi incomprensibile prevedere delle penalizzazioni per le pensioni anticipate, che obbligano gli operatori ad una permanenza in servizio fino a 59 anni, pur avendo già raggiunto il limite di anzianità contributiva fissato per la pensione anticipata. Il Silp, viene riportato tra le osservazioni allo schema di regolamento, ritiene «penalizzante la riduzione a 2 anni e 6 mesi della maggiorazione del periodo di servizio, prevista dall’art. 5, che, allo stato attuale in relazione all’età di accesso in servizio (26/27 anni), pone gli operatori del Comparto nell’assurda condizione di non poter raggiungere il requisito di anzianità per la pensione anticipata. Riteniamo ingiusto - continua - che vi siano discriminazioni legate all’età anagrafica tra coloro che hanno già raggiunto il requisito della massima anzianità contributiva (80%). È, pertanto, necessario il mantenimento, ampliando la specifica norma transitoria di cui all’art. 6, comma 3 dello schema di regolamento, del requisito di accesso previsto dall’art. 6, comma 2 del d. lgs. 165/1997 (53 anni e la massima anzianità contributiva), per tutti coloro che, alla data del 31.12.2011, hanno già maturato la prevista anzianità contributiva (80%), anche se il requisito anagrafico viene raggiunto dopo il 31.12.2012. Riteniamo necessario un ulteriore intervento correttivo sulle disposizioni legislative che fissano i coefficienti di trasformazione del montante contributivo, legandoli per il nostro Comparto all’età massima prevista per il pensionamento. L’attuale previsione fissa i coefficienti di trasformazione all’età massima di anni 70 (decreto Ministro Lavoro 15 maggio 2012, in vigore dall’1.1.2013), con la conseguenza che gli operatori del Comparto, che hanno la pensione di vecchiaia fissata ad un’età massima inferiore, risultano fortemente penalizzati. È indispensabile prevedere coefficienti di trasformazione specifici per gli operatori del Comparto Sicurezza e Difesa e del Soccorso Pubblico e individuati sulla base dell’età massima per il pensionamento». Reazioni Quando ci si trova di fronte a un Governo che in parte sembra accogliere le tue richieste e poi, invece, decide sempre di continuare per la propria strada è complicato cercare una via per il compromesso. I principali sindacati di Polizia e i Cocer hanno cercato sostegno anche tra i segretari di partito, nella lettera inviata il 17 settembre si chiedeva «di intervenire affinché il Governo rispetti la volontà parlamentare, e risolva anche le disfunzioni del passato che se restassero irrisolte in tema previdenziale, comporterebbero un grave e iniquo danno per il personale dei Comparti interessati, con evidenti e negative ricadute sulla funzionalità del sistema sicurezza. In questa delicata fase, per quello che sta accadendo sullo scenario internazionale e per il rigurgito di fenomeni criminali interni, anche di tipo eversivo, senza tralasciare l’acuirsi dei conflitti sociali e delle conseguenti manifestazioni di piazza, riteniamo che non possano e non debbano arrivare messaggi di questo tipo alle donne e agli uomini in uniforme che hanno scelto di servire il Paese, contribuendo con pesanti sacrifici personali per superare le difficoltà economiche attuali». La politica ha risposto con un ordine del giorno, conseguente a diverse mozioni parlamentari, approvato dal Senato della Repubblica nella seduta del 23 maggio. «L’ordine del giorno, che riprende essenzialmente il principio della specificità del ruolo delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e del Corpo Nazionale di Vigili del Fuoco, riconosciuto ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale dall’art. 19 della legge 183/2010, impegna il Governo a prevedere, nell’ambito del regolamento di armonizzazione, norme di tutela della specificità che tengano conto della condizione peculiare del personale in questione e delle loro condizioni di impiego operativo altamente rischioso e che presuppone il costante possesso di particolari idoneità psico-fisiche, in linea con la legislazione dei paesi europei in materia di norme previdenziali». In sostanza il Senato ha approvato una mozione per obbligare il Governo a rispettare la «specificità» della categoria. È questo che per ora blocca il Governo, per ora. I sindacati di polizia hanno scelto anche la strada della protesta, sono scesi in piazza anche per rivendicare un vero confronto con il Ministro del Lavoro. La cosa importante, il vero successo, sarà scongiurare l’eventualità di avere poliziotti sempre più vecchi.
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