I numeri parlano chiaro: sono 72 le donne uccise
dai loro compagni, fratelli, mariti dall’inizio del 2012
Una vera strage che: “Si potrebbe fermare non solo
con la prevenzione, ma anche con il controllo dei persecutori”
Più di cinquanta donne morte per mano di un uomo dall’inizio dell’anno ad oggi. È il triste primato dell’Italia. Li chiamano delitti passionali, ma non c’è nulla di passionale nella morte di una ragazza che viene gettata in un dirupo o in quella di una donna dilaniata a colpi di forbice. Non è amore, ma femminicidio. Quasi un caso ogni due giorni: vite interrotte per aver detto no alle violenze, ai tradimenti e ai soprusi, per aver scelto una strada diversa, sperato in un futuro migliore.
Nel 2011 sono state 97 le donne uccise ed è presumibile pensare che, essendo a metà del 2012, questa cifra verrà superata. I dati resi noti dall’Istat, poi, non lasciano ben sperare: una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, nell’arco della propria vita è stata colpita da un uomo e nel 63% dei casi alla violenza hanno assistito i figli. Le donne più colpite sono quelle comprese nella fascia 16-24 anni.
Nel Rapporto tematico annuale sugli omicidi basati sul genere, l’ONU ha evidenziato come nel nostro paese “dall’inizio degli anni novanta è diminuito il numero di omicidi di uomini su uomini, mentre il numero di donne uccise da uomini è aumentato” e lo scorso 25 giugno, la commissaria Rashida Manjoo, Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne, ha apertamente condannato l’Italia poiché non contrasta a sufficienza il fenomeno del femminicidio. “In Italia – ha sottolineato - sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza” ma “questi risultati non hanno però portato a una diminuzione di femminicidi o sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine”. E aggiunge: “La violenza contro le donne rimane un problema significativo in Italia”.
Chiamiamo le cose con le giuste parole: femminicidio e non delitto passionale.
Direi di sì, il linguaggio è decisamente da modificare. Le parole sono importanti, hanno un significato profondo. Io sono stato criticato più di una volta per aver usato questo termine, soprattutto dalle donne. Mi consigliavano di usare il termine “donnicidio”. Ma non sanno che la parola “femminicidio” ha una storia profonda, che viene da Ciudad Juarez, città al confine tra Messico e Stati Uniti, dove dal 1992 quasi 5000 giovani donne sono scomparse e più di 650 stuprate, uccise e poi abbandonate ai margini del deserto. E’ una parola ancora poco usata in Italia, ma è accreditata internazionalmente, utilizzata da criminologi di tutto il mondo, dall’Onu, dall’Unione Europea e dal Consiglio Europeo.
In Italia, però, manca nel linguaggio di uso comune.
Manca anche nelle norme. C’è l’omicidio, l’omicidio per causa d’onore, l’uxoricidio, ma non il femminicidio. Bisognerebbe rivedere il linguaggio, perché le parole sono le cose. Una delle prime cose che fece Zapatero dopo la sua elezione fu proprio intervenire linguisticamente nel Codice. Nel diritto di famiglia, ad esempio, ci si riferiva unicamente alla figura genitoriale paterna. A questa è stata affiancata anche quella materna, non più un elemento ancillare e subordinato al capo famiglia.
In Italia, invece, sembra sia impossibile liberarsi di categorie del linguaggio ormai obsolete e inadeguate, come quella del delitto passionale.
Bisogna considerare che nel nostro Paese l’omicidio per causa d’onore è stato abrogato solo nel 1984. Prima si poteva ammazzare impunemente la propria moglie e la persona che aveva rapporti con lei. In questo il ruolo delle femministe è stato importante. Mi sono reso conto per la prima volta dell’entità di quel movimento quando ho fatto il processo del Circeo. Quel processo ha segnato davvero un cambiamento di tendenza, perché è stata una delle prime volte in cui è stata evidenziata l’abnormità del Codice Rocco, che relegava la violenza carnale nel capitolo dei reati contro la morale sessuale. Stuprare una ragazzina di tredici anni significava violare il pubblico decoro, non compiere una violenza terribile nei confronti di un essere umano. La cosa che mi colpiva, in quegli anni, era la totale indifferenza dei parlamentari verso questo argomento. Ci sono voluti dieci anni di battaglie per far inserire nel Codice la violenza carnale come reato contro la persona. E questo perché la politica ha sempre avuto una connotazione fortemente maschilista. E’ banale dirlo, ma è così.
Anche la sinistra, per la quale dovrebbe essere centrale il tema delle donne, ha avuto questo atteggiamento di scarso interesse?
Assolutamente sì, è un fatto del tutto trasversale, come del resto l’indifferenza per l’emergenza ambientale, altro grande tema che dovrebbe essere caro alla sinistra. Il problema è che abbiamo una classe politica per la quale non sembra prioritario il benessere dello Stato e dei suoi cittadini. Le uniche proposte nell’ambito della violenza sulle donne sono partite da deputate donne, come se la cosa non riguardasse anche gli uomini.
Colpisce la somiglianza tra i diversi casi di femminicidio. Si tratta sempre di storie di molestie ripetute, di mesi di stalking, fino allo stesso tragico epilogo. Cosa manca nella legge che possa tutelare maggiormente le donne? Com’è possibile che donne che denunciano le persecuzioni dei propri uomini, alla fine vengano brutalmente uccise?
Io non credo che ci sia un problema di prevenzione, ma di controllo. Lo stalker non è solo un criminale, ma soprattutto uno psicopatico, una persona ossessionata da un unico oggetto del desiderio. In questo caso, se si emette un ordine restrittivo al quale non segue una seconda fase di controllo, questo serve a ben poco. La soluzione, a mio avviso, sono i braccialetti elettronici. Abbiamo speso moltissimi soldi per comprarli, ma in Italia solamente quattro persone sono sottoposte a questo tipo di sorveglianza. Eppure, questo sarebbe un metodo efficace per monitorare concretamente le intenzioni di persone denunciate per comportamenti persecutori.
Secondo lei, questa legge sullo stalking è efficace o manca qualcosa?
Nulla è efficace quando c’è un fenomeno culturale generalizzato di questo tipo. Però è qualcosa, perché può contribuire ad un’ inversione di tendenza. Ciò che deve cambiare, però, è la cultura delle donne. Devono capire che quando in un rapporto di amore, in un matrimonio, l’uomo da uno schiaffo o dice qualcosa di brutto e di violento, devono andare via. Quell’uomo non è un uomo da frequentare. E’ un criminale che ha ferito la loro onorabilità. Le donne devono avere il coraggio di denunciare, invece di aspettare, di sperare in un cambiamento. Purtroppo negli strati meno colti della società lo schiaffo viene scambiato spesso per un atto d’amore, che si consuma anche di fronte ad altri membri della famiglia. I gesti di violenza vengono sottovalutati, le donne in molti casi non riescono a percepire la pericolosità del loro compagno, non immaginano che possa arrivare ad uccidere, anche se spesso è piuttosto evidente.
La legge da sola, però, non può cambiare un fenomeno culturale. Bisognerebbe rieducare la società, ripartendo dalla scuola, dalle famiglie, dagli strati più bassi della società.
Secondo un rapporto Ocse l’Italia è al 76esimo posto per quanto riguarda il dislivello tra uomo e donna. Siamo parecchio in basso, servirebbe una rivoluzione culturale. Purtroppo viviamo in un Paese nel quale l’unica finestra sul mondo appare la televisione, dove quotidianamente assistiamo ad una banalizzazione della violenza. Salvo poi assistere a salotti all’insegna del rigorismo, del falso moralismo e del forcaiolismo.
La trasmissione “Chi l’ha visto” ha trasmesso il racconto della ragazza stuprata a l’Aquila da un militare. Una storia a dir poco agghiacciante. Si narrava di una tale violenza, in cui lo stupro sembrava un modo per distruggere, dilaniare il corpo di quella giovane donna.
Spesso c’è una forma di orgasmo da sadismo, risultato di una cultura in cui la donna è solo un oggetto erotico che deve subire il dolore e l’umiliazione. Ci sono uomini che non reggono un confronto alla pari con la donna, un suo rifiuto, la sua indipendenza, la volontà di separarsi. E’ una forma di debolezza, perché la società li propone come i dominatori, i capi famiglia, i padroni. E poi non c’è un’educazione sessuale e sentimentale. La teleisione è popolata da corpi esposti, ma quello non è sesso, è mercificazione, pornografia. Non una relazione gioiosa e paritaria tra due individui.
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Mai più complici
Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono cinquantaquattro, dall’inizio di questo 2012, le donne morte per mano di uomo. L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di una strada statale. I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di accettare la loro libertà.
E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.
Comitato promotore nazionale Senonoraquando,
Loredana Lipperini,
Lorella Zanardo-Il Corpo delle Donne
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