Camminando per le vie capitoline, senza affanni e con spirito di osservazione, ancora oggi, nell’era dell’iPhone, è possibile imbattersi in antiche botteghe ove sapienti artigiani con maestria ed ingegno danno luogo a miscellanee attività tramandate di generazione in generazione da secoli.
In tali caratteristici posti, non è infrequente imbattersi in officine o laboratori di: impagliatori di sedie, fabbri, falegnamerie, tappezzieri, forni con annessa pasticceria e via discorrendo. Tutto ciò non può che riportare la mente ad antiche, affievolite, e mai sopite sensazioni.
Dette occupazioni, sono comunque sempre più rare nel centro delle grandi città essendo state, nella pluralità dei casi, assorbite e rimodellate dalla grande distribuzione che le ha delocalizzate in diverse e (più convenienti) realtà geografiche. Ma laddove sopravvivano, rappresentano certamente un beneficio per l’economia locale, un’interessante attrattiva turistica e, soprattutto, un ultimo baluardo a difesa della tradizione romana.
Oggi nel centro storico di Roma si respira un’aria internazionale, i lastricati di sanpietrini pullulano di turisti da tutto il mondo, pur tuttavia non è impossibile incontrarvi qualche “indigeno”, quelli che amano definirsi i “romani de’ Roma”! In particolare nei Rioni Monti, Borgo e Trastevere.
In questi casi vale davvero la pena fermarsi, approfittare della rara opportunità, per discorrere serenamente con chi ci sciorinerà ricordi e vissuti, con le immancabili considerazioni sul presente.
E’ indubbio, per il sottoscritto, che il quartiere dove più si respirino le narrate peculiarità sia quello di Trastevere. Proprio in questa polifonica realtà romanesca, la casualità mi ha fatto imbattere nell’amico Marcello Pizzuto, trasteverino verace, che accompagnandomi per mano mi ha condotto in alcuni angoli noti o meno di quei luoghi che l’hanno visto nascere e crescere.
L’amico Marcello, con una punta di nostalgia pur senza sfociare nella retorica, inizia il racconto dalla sua infanzia, rimarcandone la dolce quotidianità che veniva scandita dal vociare gioioso dei ragazzi del quartiere, quando ancora si poteva eleggere la strada a luogo deputato ai più disparati e innocui giochi, e dalle stridule grida dei venditori ambulanti.
Il viaggio che ci conduce alla Roma dimenticata passa poi dalla suggestiva e storica parrocchia di Santa Dorotea; oggi retta dal padre Umberto Fanfarillo, che non lesinando tempo ed energie, riesce ad amalgamare le diversità dei suoi parrocchiani coinvolgendoli in molteplici attività, da percorsi di fede ad iniziative caritatevoli.
In questa chiesa, nel lontano 1953, Marcello ha fatto la prima comunione e, rievocandone i tempi, rappresenta come in quegli anni ancora segnati dalle asprezze e privazioni dell’ultimo conflitto bellico molti, di cui taluni non proprio adolescenti, potessero assaporare la gioia di tale sacramento solo grazie alla generosità di una nobildonna del quartiere, la quale si faceva carico di tutte le spese necessarie che spaziavano dai vestiti, tutti rigorosamente uguali e diversificarti solo per sesso, ai dolciumi, fiori ed altro.
In quegli anni, prosegue il racconto, la parrocchia era retta da un frate, affettuosamente chiamato dai suoi fedeli: “panunto”. L’appellativo era dovuto alla semplicità dell’abito talare, spesso contrassegnato da vistose macchie d’unto dovute alla scarsa considerazione dell’apparire, bilanciata dalla granitica volontà di essere al servizio del prossimo. Infatti, l’ancora amato “panunto” anche privandosi del necessario e, con l’aiuto di tanti volenterosi commercianti ed abitanti del rione, riusciva a donare dei piccoli pacchi viveri alle famiglie più bisognose allietate da nugoli di “mocciosi”, essendo di norma, all’epoca, la famiglia numerosa.
La passeggiata in compagnia del mio cicerone continua lungo la confinante via Garibaldi, nella quale insiste un conosciuto ed apprezzato ristorante, tappa obbligata di esigenti e buongustai turisti ed abitanti del quartiere, dove tuttora si possono gustare ampie specialità romane.
Verso la fine di via Garibaldi, proveniente da via Santa Dorotea, la nostra attenzione viene attratta dalla struttura alberghiera “Donna Camilla Savelli”, a ridosso delle scale che adducono a San Pietro in Montorio.
Si tratta di un vero gioiello architettonico sito nel cuore di Roma, ricavato da un monastero del seicento, fondato dalla “Serva di Dio” Donna Camilla Virginia Savelli Farnese, Duchessa di Latera, e affidato, nel 1642, alla progettazione dell’architetto Francesco Borromini.
Lungo questa via Marcello sospira: “qui abitava mia moglie, qui è nata, cresciuta, e sposata,” e mi indica uno stabile che all’epoca non ospitava appartamenti dotati delle attuali comodità. Mi porge poi una foto effigiante la sua amata in compagnia di un bambino sulla balconata che serviva l’ingresso del suo appartamento.
A dire il vero, i ricordi della giovinezza di Marcello, sollecitano pensieri non sempre gai, ripensando anche alle privazioni del tempo, come alloggiare in due minuscole stanze famiglie anche di 10 persone, con i consequenziali, immaginabili problemi di spazio e convivenza.
Un’epoca, la narrata, ove dopo un’estenuante giornata di lavoro gli adulti solevano riunirsi nelle numerose osterie, allietandosi con un vinello non sempre sincero, nei fumi del quale taluni si lasciavano andare a comportamenti eufemisticamente definiti bizzarri o, per fortuna non nella pluralità delle volte, ad un’aneddotica spesso estemporanea ed in alcuni casi sfociante in imprevisti ed imprevedibili eventi..
Uno di detti eventi ebbe come protagonista il papà di Marcello, il quale con la mente annebbiata da una generosa mescita di vino, raccontò di una inesistente e significativa vincita al totocalcio, atta a cambiare le sorti delle sue non rosee finanze, che gli valse la notturna, quanto infruttuosa visita di soggetti felici di poter condividere l’inaspettata provvidenza!
Avrei voglia di parlare per ore con questo gentile signore che è Marcello, ma i suoi impegni lo chiamano, ed io, ancora una volta, torno a vedere la Trastevere dei nostri anni, invasa da turisti e personaggi pittoreschi, ma pur sempre il cuore pulsante di Roma.
Foto: Comunione di ragazzi trasteverini tra cui Marcello Pizzuto.
per gentile concessione del sig. Marcello Pizzuto
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