La storia della Guardia di P. S. Antonio Annarumma
e delle conseguenze della sua morte, oggi più che mai
rappresentano un monito importante per tutti. Punire chi sbaglia
è sacrosanto. Ma non semttiamo di comprendere
ed nalizzare entrambi i lati delle barricate
Era un mercoledì. Il 19 novembre del 1969 era un mercoledì, un giorno infrasettimanale come altri, un giorno di ennesime proteste, scioperi, agitazioni e caos del cosiddetto “autunno caldo” a cui i poliziotti erano ormai avvezzi, certo, non ci si abitua mai alle violenze, a saperle gestire, saperci stare dentro mantenendo la calma, ma loro, quelli del 3° Reparto Celere lo facevano tutti i giorni e, tra immani fatiche e sofferenze ci stavano facendo il callo.
Ma quel giorno andò diversamente. In Via Larga, nei pressi del Teatro Lirico, nel corso di violenti scontri tra Polizia e dimostranti dell’Unione dei Comunisti Italiani Marxisti-Leninisti e del Movimento Studentesco, la guardia Antonio Annarumma, autista di una jeep della Polizia, fu colpito alla base della nuca da un tubo d’acciaio lanciato come un giavellotto da un manifestante. Il ragazzo fu trapassato da parte a parte, morì sul colpo.
Secondo la testimonianza di Giovanni Magliocca, un poliziotto presente all’epoca dei fatti (il suo racconto toccante è reperibile al seguente link: http://www.poliziotti.it/public/polsmf/index.php?topic=6927.0) la manifestazione avrebbe attraversato piazza Duomo, corso Vittorio Emanuele, Piazza Festa del Perdono, Via Larga, imbocco via Pantano, ritornando poi di nuovo in Piazza Duomo. Ancora Magliocca ci descrive un copioso corteo che transitò per due volte nel percorso cittadino: nel primo giro, i dimostranti si approvvigionarono di tubolari dalle impalcature edilizie, nel secondo, i tubolari vennero usati contro la Polizia. Ecco di seguito le sue parole: “Nulla fu risparmiato contro di noi, dai tubolari del primo assalto, ai sampietrini, alle biglie di ferro, fino a stracci imbevuti d’acido ed incendiati, accompagnati dal lancio delle famigerate molotov [..] dimostranti coperti in volto, accorrevano da ogni parte, sbucavano come dal nulla, dalla zona della Università Statale, occupata col patrocinio di Mario Capanna, per lanciarsi contro di noi in Via Larga. Veri assalti di guerriglia […] In quest’orgia di violenza un tubolare colpì alla testa Annarumma che si accasciò sul volante della sua jeep, perdendone il controllo, venendo disarcionato dalla stessa jeep dal mezzo di un altro collega che lo tamponò, nel mentre si disponeva “a carosello”, secondo le istruzioni antiguerriglia per i casi in questione. Lo ricordo sul selciato di Via Larga, con la testa immersa in una chiazza di sangue e la materia cerebrale che gli fuoriusciva dal cranio. […]”
Questa fu la fine di un figlio unico di un povero bracciante di Monteforte Irpino; così il contadino, sicuramente orgoglioso di quel figlio poliziotto, se ne ritrovò invece a piangere la tragica e violenta scomparsa. E questa fu la fine di un ragazzo che guadagnava circa 65 mila lire al mese, e che non avrebbe mai potuto permettersi né gli studi, né i vestiti della maggior parte dei manifestanti che lo odiavano.
Qualche settimana prima aveva scritto al padre della fidanzata: “Caro papà, voglio da voi un cosiglio. Mi debbo congedare? Questa vita non me la fido di fare, è disastrosa a causa degli scioperi. Cosa possiamo davanti a tutta quella gente che ci odia, che ci insulta? Ma perché ci odiano?”.
Quella sera del 19 novembre il bilancio delle forze dell’ordine fu pesantissimo: una cinquantina di poliziotti e carabinieri feriti, alcuni dei quali molto gravemente. La notizia della morte di Annarumma fece da detonatore di una situazione esplosiva che da tempo covava nelle caserme di polizia. Si trattò della classica goccia che fece traboccare il vaso, tramutando la rabbia dei poliziotti in aperta ribellione.
Un centinaio di poliziotti premettero per uscire in massa dalla Caserma del Raggruppamento “Milano” di Piazza Sant’Ambrogio, volevano essere lasciati liberi di marciare sull’Università per “vendicare Annarumma”. Fu allora che arrivò il generale Giovanni Battista Aista, Ispettore della Polizia Stradale per l’alta Italia, venendo accolto con urla, fischi e insulti insieme ad altri ufficiali, che consigliarono ovviamente la calma.
Un gruppo di poliziotti fu in grado lo stesso di uscire di corsa sulla strada, nonostante il muro di colleghi che circondavano la Caserma. Qualcuno gridò: “la gente negli scioperi ci sputa addosso, ci getta monetine, ci insulta la madre, la moglie, le sorelle. E noi niente, dobbiamo stare fermi!” La situazione era tesissima.
Ma i poliziotti in borghese e gli ufficiali riuscirono comunque a fare barriera. Dopo qualche ora, la ribellione venne sedata. Fu questo però un segnale allarmante, che venne subito recepito dall’allora Ministro dell’Interno Francesco Restivo. Poco tempo dopo, infatti, seguirono alcune significative iniziative di natura economica per le forze di Polizia: aumento di indennità di alloggio, di indennità giornaliera per il servizio di Ordine Pubblico, di indennità mensile a tutti i componenti del corpo.
Era il primo doveroso riconoscimento, strappato a forza al Ministro del Tesoro Colombo, timoroso che la spirale delle rivendicazioni si dilatasse con ripercussioni sul bilancio dello Stato.
L'inchiesta della magistratura fu in grado di identificare con sufficiente precisione le cause dolose della morte di Annarumma, ma non riuscì ad individuare i responsabili di quell’omicidio. Nessuno fu perseguito per la morte dell'agente. Il delitto rimane ancora oggi impunito, un mistero.
Il 5 maggio del 2009 alla Guardia Annarumma è stata conferita la Medaglia d’Oro al Merito Civile, alla memoria. Allo sfortunato poliziotto è intitolata anche la Caserma sede dell’attuale 3° Reparto Mobile di Milano.
Foto: www.storialibera.it
|