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Giugno-Luglio/2012 - Analisi
Domande che attendono risposte
di Ennio Di Francesco

Il primo aprile 2012 è stato il 31° anniversario della 121/81. La controriforma, alimentata negli anni dal deleterio mix di insipienza politica, cinismo burocratico, frammentazione sindacale, sta vincendo! Il meccanismo finale sembra lo stesso: compromesso verticistico dirigenziale/sindacale. Non fu così nel 2000 inserendo nella legge 78 gli enigmatici articoli che portarono da un lato allo stipendio del Direttore Generale della P.S. (ora evidenziato per direttiva del Governo Monti in 620.000 euro, unitamente a quello degli altri Capi di forze di polizia che più o meno non si discostano dai 400.000) e dall’altro alla “promozione di massa” che distrusse la categoria degli “ispettori” introdotta nella riforma? Ciò a danno della base dei tutori dell’ordine e soprattutto dei valori civili, professionali e democratici della riforma. Ha senso parlare ancora della 121/81? Sanno i cittadini che per entrare nella base delle Forze di polizia (carabinieri, polizia di stato, guardia di finanza.. .) occorre avere fatto il militare in ferma volontaria di uno o più anni? Che con tale sistema è stato interrotto l’accesso in polizia dalla società civile privilegiando una formazione militare contro il nemico, che con tutto il rispetto, si differenzia un po’ dalla “formazione di sicurezza pubblica” verso le persone? Che è stato sacrificato “sistematicamente” il concetto essenziale di “funzionario di pubblica sicurezza” con il pensionamento anticipato ex lege per il parificato fittizio grado militare rivestito, disperdendo così esperienze preziose e contraddicendo l’allungamento lavorativo che si impone nel mondo del lavoro? Che intanto i “vertici” percepiscono incredibili trattamenti di pensione (un ministro della difesa, già ammiraglio, sembra percepisca 25mila euro al mese.) mentre i poliziotti, carabinieri, finanzieri, forestali e penitenziari, fanno conti risicati con le difficoltà quotidiane lavorando in strutture con mezzi inadeguati? E’ ragionevole che in questo Paese dove le fabbriche chiudono e la conflittualità sociale aumenta ci debba essere il tasso più alto in Europa, forse nel mondo, di “Forze di polizia” (circa 500.000 tra carabinieri, poliziotti, finanzieri, guardie forestali e penitenziarie sempre più con formazione militarizzata), per non parlare delle polizie locali, provinciali, e di quella regionale (prevista dalla modifica costituzionale sul decentramento) a cui non pochi si stanno preparando? E che ciononostante si annaspi nel coordinamento reale e si assista ad anacronistiche competizioni mentre la criminalità organizzata inquina con la corruzione e il riciclaggio gli assetti economici e sociali, e quella predatoria allarma la sicurezza dei cittadini? Si può in tali condizioni sperare nei “politici politicanti”, nei burocrati-dirigenti da essi condizionati, nei sindacalisti, anche di polizia, sensibili a tessere, rimborsi, congedi?
L’unica speranza, in un sistema così involuto, è che questo Governo tecnico, congiunturalmente avulso da condizionamenti “politichesi”, possa mettere mano all’arcipelago sicurezza con razionalità e determinazione, sapendo che c’è una maggioranza di bravissimi “tutori dell’ordine”, al di là di appartenenze e divise, che vogliono fare solo meglio il proprio lavoro.
Sarà possibile una sorta di unificazione? I Carabinieri assorbiranno la Polizia di Stato? Forse proprio perché strumentalmente qualcuno lascia strumentalmente paventare? Ci sarà un Segretario Generale della Sicurezza? Da chi diretto? Ha ancora valore distinguere tra civile e militare? In ogni caso, come si regolerà in maniera “effettiva” la dipendenza da Ministero Difesa e/o Interno? e per la Guardia di Finanza e per il Corpo Penitenziario e per a Forestale? e per la sicurezza locale, si attuerà il federalismo sussidiario, in che limiti, con quali organismi e poteri? Insomma c’è di che riflettere e lavorare. Ma con competenza. In senso diverso basta un esempio: sembra in avanzata costituzione la Gendarmeria Europea (tra le polizie a statuto militare di soli 6 Paesi): ma possibile che ai vertici nessuno ricordi che con CEPOL proprio a Roma si svolse nel 2003 durante la Presidenza Italiana dell’UE in parte presso l’Istituto Superiore di Polizia e in parte presso la Scuola Ufficiali dell’Arma, un corso di formazione europeo a cui parteciparono funzionari di 16 Paesi europei, per le missioni di peace keeping (lo coordinai io stesso con il generale dei Carabinieri Siazzu) a cui diedero contributo didattico colonnelli dell’Arma, della Guardia di Finanza e funzionari di polizia, che poi andarono in missione in Afganistan, Kossovo…? Comunque vada, resta questa verità inconfutabile: il “percorso democratico che i “poliziotti” di base seppero iniziare in anni tremendi verso i valori di dignità e professionalità per tutti i “tutori dell’ordine”, al di là di ogni appartenenza, è ancora essenziale per la sicurezza e democrazia del Paese. Lo confermano le recenti frasi del Capo dello Stato: “Con la legge 121/81 di riforma della pubblica sicurezza sono state compiute scelte fondamentali per coniugare l’esigenza di salvaguardare lo straordinario patrimonio di professionalità e di tradizione delle diverse forze di Polizia con l’altra non meno avvertita ed imprescindibile di ricondurre tutte le risorse ad un più efficace impegno comune per accrescere le capacità di risposta alle esigenze di sicurezza dei cittadini”, nonché la coraggiosa affermazione del Prefetto Antonio Manganelli: “.. a trent'anni dalla riforma, nel ribadire che si trattò di una legge di straordinaria lungimiranza, ricca di contenuti e di lucida visione delle forze in campo, è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche per continuare l'opera avviata trent'anni fa e portarla a termine”.

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