Agli inizi di maggio alla presenza di Mario Monti si sono incontrati i ministri Elsa Fornero, Annamaria Cancellieri (Interno), Giampaolo Di Paola (Difesa) e Paola Severino (Giustizia), il tema affrontato è particolare e delicato. Le pensioni di chi lavora nelle forze armate e di polizia. Donne e uomini che per via del tipo di lavoro svolto vanno in pensione mediamente cinque anni prima del resto dei dipendenti pubblici. Con la riforma, quasi 450 mila dipendenti in divisa dovrebbero andare in quiescenza molto più tardi
Prima di parlare della sostanza della proposta di riforma, cosa ci può dire del metodo con cui il Governo "tecnico" ha affrontato la questione?
La formula normativa individuata, in particolare dal ministro Fornero, per definire l'armonizzazione delle pensioni delle forze di polizia è una formula particolare e non adatta. Il Governo, infatti, ha previsto la formula del 'regolamento'; un atto normativo che nella gerarchia delle fonti è definito “minore”. Viene infatti definito sulla base della legge, che ne fissa i principi generali, ma non prevede un passaggio successivo della conoscenza del “testo” da parte del Parlamento. Quindi l’unico intervento degli organismi parlamentari sarà una doppia lettura, Camera e Senato, della I Commissione Affari Costituzionali, che si limiterà però a verificare la coerenze e la corrispondenza tra la legge e il ‘regolamento’. Ciò significa che al Parlamento verrebbe sottratta l’analisi di merito sulle scelte del Governo. In generale, io trovo scorretto un metodo di questo tipo per qualunque riforma, a maggior ragione in questo caso dove la riforma coinvolge un settore che ha un’influenza diretta sull’assetto di alcune istituzioni primarie, come le forze dell’ordine. Per esempio, anche solo la questione dell’età può cambiare profondamente il livello di efficienza complessivo di un’istituzione. Alzare troppo l’età media degli operatori di polizia può compromettere alcuni servizi. Il lavoro delle forze dell’ordine si svolge sul campo, pensiamo solo all’ordine pubblico o alle scorte. Già oggi l’età media è abbondantemente superiore ai 40 anni; lo scorso 15 ottobre abbiamo assistito a immagini da non sottovalutare. Volenterosi poliziotti di 47 anni che rincorrevano diciottenni in uno scenario di guerriglia; non penso che questo debba essere il modello di riferimento del futuro.
Questo scenario potrebbe essere il risultato di una decisione unilaterale del Governo, a tal proposito chiediamo, visto la difficoltà di modificare la norma che prevede la scelta del ‘regolamento’, una scelta politica chiara che prevede come procedura un confronto vero con le organizzazioni sindacali.
Cosa ritiene sia necessario cambiare dell'attuale proposta di riforma?
Al momento il Governo non ha ancora proposto un testo alle organizzazioni sindacali o al mondo politico. Siamo a conoscenza di proposte informali e indiscrezioni, l’insieme di questi elementi ci preoccupa e ci trova assolutamente contrari. Si vorrebbero annullare o ridurre fortemente, svuotandoli di valore, alcuni istituti che sono fondamentali. Per esempio, la contribuzione figurativa, il moltiplicatore dell’ultimo anno di contribuzione e l’istituto della pensione privilegiata: annullato totalmente nel pubblico impiego e fortemente ridimensionato per le forze di polizia. Se la proposta si dimostrerà concreta, la pensione privilegiata verrebbe riconosciuta soltanto se la patologia, il trauma, l’incidente e l’infortunio determinasse l’inabilità completa dell’operatore. È evidente che questa è una proposta quantomeno ingenerosa.
Sul tema sicurezza e legalità l'eredità del governo Berlusconi è molto pesante: quali linee sostanziali sono uscite dall'incontro con il Governo?
L’eredità che ci ha lasciato il governo Berlusconi è assolutamente negativa. La politica e l’azione del Governo ha creato dei danni alla sicurezza del nostro Paese, ha reso più difficile il lavoro delle forze di polizia e non ha previsto investimenti nel settore ma solo tagli. Sommando le varie finanziarie si arriva a 3 miliardi. Noi ci saremmo aspettati, e lo abbiamo detto nell’incontro con il ministro dell’Interno che si è tenuto a gennaio, un progetto da parte del governo Monti di riduzione di questi danni. Noi del Silp pensiamo che, partendo magari dalla riqualificazione della spesa, si possa mettere in campo un progetto di potenziamento e d’investimento del comparto sicurezza.
Tutto questo non si è ancora concretizzato; dopo quell’incontro non c’è stata, da parte del Governo, nessuna proposta d’investimento. Anzi, il progetto di “spending review” prevede un accorpamento del 20-25% delle prefetture nelle regioni meno popolose e un declassamento di alcune questure in commissariati. Tutto questo ci sembra approssimativo e pericoloso; non si può non fare distinzione tra le varie regioni d’Italia. Pensiamo solo a quelle del sud, strette nella morsa delle mafie, lì dovrebbe prevalere un’analisi selettiva che favorisca la lotta alle organizzazioni mafiose.
Inoltre, la lotta per la legalità è strettamente intrecciata alla crisi del debito, che nel nostro Paese è formato dalla corruzione, il danno erariale, la spesa pubblica gonfiata e indirettamente dall’evasione fiscale. Non è quindi possibile ottenere rigore senza legalità, si rischia di assistere a drammatiche e inutili sofferenze da parte dei ceti meno abbienti. Il Governo, anche solo per uscire dalla crisi, dovrebbe contemporaneamente attuare le misure di natura finanziaria e intervenire sulle diffuse illegalità presenti in Italia; magari con misure all’altezza dei problemi.
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Già oggi l’età media è abbondantemente superiore ai 40 anni; lo scorso 15 ottobre abbiamo assistito a immagini da non sottovalutare. Volenterosi poliziotti di 47 anni che rincorrevano diciottenni in uno scenario di guerriglia;
non penso che questo debba essere il modello di riferimento del futuro
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