E' uscito ‘Diaz . Don’t clean up this blood’, il film di Daniele Vicari prodotto da Domenico Procacci sui fatti di Genova durante il G8 del 2001. «Non pulite questo sangue»: lo slogan che vuole aiutare a ricordare i tragici eventi di quelle giornate. Un film che fa discutere e che crea profonde divisioni non solo fra i cittadini ma anche fra le forze dell’ordine
Non ci sono giudizi positivi o negativi da elargire di fronte alle violenze delle immagini che si susseguono. Toccante, sconvolgente, vero, sicuramente ci si trova di fronte ad un film crudo e di denuncia. Le mandibole spaccate, le ossa rotte, le persone umiliate, schernite e torturate nella caserma di Bolzaneto. In Diaz c’è tutto questo. Sono le uniche parole che si possono dire sul film di Vicari, prodotto da Domenico Procacci. Per chi c’era e per chi non c’era ma ha seguito quei giorni di “ordinaria follia”, facendosi un’opinione soggettiva dei fatti, ha potuto riconoscerle e vederle scorrere sullo schermo tali e quali a come se li era immaginati. Ci si sente fortemente coinvolti e indignati dalla ferocia delle violenze alle quali si assiste. È l’efficacia del film, da molti considerato «un pugno nello stomaco» che non si può dimenticare. Viene ricostruito nei particolari quello che non abbiamo mai visto ma sempre immaginato. Il sangue sui pavimenti e sulle pareti della scuola, il rumore sordo dei manganelli e quello delle ossa che si spezzano. E poi ancora il pianto, il terrore, la supplica, l'ignoranza, il sadismo, l'incapacità di discernimento dei poliziotti. Non ci sono sconti, né indulgenze, per un tempo che sembra infinito ci si sente come schiacciati sulla poltrona si rivive tutta la rabbia di quei giorni. È la memoria di quelle violenze che fa ancora discutere e che crea profonde divisioni non solo fra i cittadini che hanno visto il film o che hanno deciso di non vederlo, ma anche nelle forze dell’ordine. Forse non tutti sanno che, come se non bastassero le polemiche sull’uscita del film a distanza di dieci anni dall’accaduto, lo scorso 15 Marzo, il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha diramato una nota a tutte le Questure: «In concomitanza con la proiezione di numerose pellicole cinematografiche che affrontano la ricostruzione storica di eventi relativi ad attività di polizia in situazioni ordinarie e straordinarie» scrive il capo della segreteria, il prefetto Alessandro Raffaele Valeri «si ribadisce che qualsiasi intervista, partecipazione a convegni o dibattiti, va autorizzata da questo Dipartimento». Non viene menzionato il nome Diaz, ma il riferimento al film di Vicari nelle sale dal 13 Aprile è molto chiaro. Sicuramente questa nota non è sfuggita al segretario del Silp, comandante negli anni passati del Reparto Prevenzione Criminale di Roma, Claudio Giardullo, che commenta: «Questo segnale di chiusura rispetto al dibattito non è affatto utile a quell'immagine di apertura e chiarezza che la Polizia ha cercato, peraltro a mio avviso riuscendoci, di accreditare. Il rispetto delle regole viene prima di tutto ma questo atteggiamento di chiusura culturale è controproducente. Diaz è un film che non strumentalizza affatto gli eventi e punta alla ricostruzione storica sforzandosi di attenersi agli atti giudiziari. Quello che manca, in caso, è una valutazione della dimensione politica di quei giorni. Non si capisce Genova se non ci si sforza di analizzare il ruolo della politica in quella vicenda, non si capisce Genova se non si ricostruisce il tentativo del governo di centrodestra di delegittimare la piazza e terrorizzare i moderati di questo Paese».
L’assenza della politica
Per molti sarebbe proprio questa la “pecca” del film: trascura le ragioni e le motivazioni, anche politiche, che hanno portato a quella terribile pagina di storia. Effettivamente non si può non notare che in tutto il film non viene elargita neanche una parola sul ruolo dei politici coinvolti nei fatti di Genova: nulla su Fini, ne su Scajola. Viene taciuta la visita che Roberto Castelli, allora ministro della Giustizia, fece alla caserma di Bolzaneto nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001. La politica sembra non aver avuto alcuna responsabilità nei fatti. Fra l’altro non emerge nulla neanche sulla figura dell’allora capo della polizia, oggi potentissimo capo dei servizi segreti, Gianni De Gennaro. Inoltre non viene approfondito neanche il profilo criminale di chi davvero fece la storia di quella guerriglia urbana seguita dai media e dal mondo intero: i “black block”. Si critica il regista per aver decontestualizzato il film, di non aver descritto le giornate precedenti, le manganellate sui pacifisti, le 300mila persone in piazza o l’assassinio di Carlo Giuliani. Diaz mette in scena i fatti, gli atti processuali senza strumentalizzazioni, come viene sottolineato dai titoli di coda in cui si precisa che alcuni reati non sono stati puniti perché nel codice penale italiano non esiste reato per “tortura”.
La faccia legale
In tribunale comunque ci sono finiti oltre 300 poliziotti di cui solo 29 sono stati effettivamente processati. Di questi, 27 sono stati poi condannati in appello per illeciti cioè per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia. Gran parte di questi reati sono finiti però in prescrizione. A causa delle violenze subite dai 93 manifestanti arrestati, che vennero in seguito trasferiti nel carcere di Bolzaneto, sono stati condannati 44 poliziotti con l’accusa di abuso di ufficio, abuso di autorità contro detenuti e violenza privata. Il film presenta molti volti che raccontano storie diverse, dato che a Genova erano giunti ragazzi da tutta Europa. Ma i singoli personaggi non sono poi così importanti. Non siamo di fronte ad un vero e proprio film, in sostanza si tratta di un “Docufilm”, un’opera cinematografica con forti propositi di denuncia sociale, che può quasi sembrare un’appendice di un telegiornale, che ha integrato al suo interno filmati amatoriali di quella notte e di quelle giornate. In molti però sostengono che il film trascura il vero “punto di non ritorno” di quel G8 e cioè la morte del giovane Carlo Giuliani. Inoltre il racconto è completamente decontestualizzato; non viene mai spiegato perché 300.000 persone quel luglio del 2001 si siano recate a Genova.
Gli autori replicano che il loro obiettivo non era raccontare la storia del movimento. Ma è pur vero che se non si spiegano le ragioni del movimento diventa impossibile spiegare le ragioni della repressione, come non viene spiegato che cosa sia stato il Genova Social Forum, che eppure è stata una delle esperienze più interessanti di organizzazione dei movimenti negli ultimi decenni. È sicuramente una pellicola importante in senso storico e documentaristico, un pezzo di storia da non dimenticare, ma non per continuare ad odiare o a portare rancore, ma che possa servire per imparare e per migliorarsi perché i fatti accaduti a Genova non si ripetano. A questo proposito, sempre il Segretario Nazionale del Silp, Claudio Giardullo, afferma: «Questi dieci anni non sono passati invano. Siamo riusciti ad affermare all’interno delle istituzioni l’idea che ci deve essere formazione costante. La formazione non è soltanto addestramento, è anche l’affermazione dei valori nei quali un operatore delle forze di Polizia si deve ispirare. Sono stati fatti enormi passi in avanti, è stata costituita la Scuola di Polizia, tutto è molto più trasparente; però non bisogna accontentarsi, perché i principi democratici anche nella Polizia, come nel resto del Paese, hanno bisogno di una “manutenzione costante” tanto più in relazione alle questioni dell’ordine pubblico. Non bisogna pensare sempre alla Polizia come alla “carta da giocare” al posto della politica. Questo vale anche in questo momento. Se chi governa fa l’errore di pensare che si possa governare in maniera indifferente rispetto alle ragioni di tutela sociale, perché tanto in piazza c’è la Polizia che può “sistemare la cosa”, fa un errore grave. Perché gli italiani se sono stanchi di una cosa è di un governo inefficace, che promette e non mantiene. In un Paese che digerisce tutto si è portati a ritenere che si possa accettare anche una politica che viene meno alle proprie responsabilità. Abbiamo bisogno, e mi riferisco alla politica e al governo, di responsabilità in mancanza della quale aumentano i rischi di tensioni sociali». Non laviamo il sangue della memoria per portare altro sangue ma per pretendere più giustizia, per non ricadere negli stessi errori, per evitare che manifestazioni pacifiche si trasformino in guerriglie urbane .
Docufilm, un’opera cinematografica con forti propositi di denuncia sociale, che può quasi sembrare un’appendice di un telegiornale,
Claudio Giardullo «Questo segnale di chiusura rispetto al dibattito non è affatto utile a quell'immagine di apertura e chiarezza che la Polizia ha cercato, peraltro a mio avviso riuscendoci, di accreditare.
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