Il sistema di pena e di riabilitazione nasce da idee lontane, oggi è forse necessario rivedere le nostre prospettive, ricordandoci sempre che «il grado di civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle sue carceri»
L a pena detentiva si è affermata definitivamente sugli altri tipi di pena, ammende pecuniarie e pene corporali, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Ma come e perché ciò è avvenuto? Senza dubbio la nascita dei codici civili moderni in Europa, sulla scia del codice napoleonico, contribuì a razionalizzare i sistemi penali e aprendo la strada allʼistituzione carceraria. Ma alla base delle grandi trasformazioni storiche cʼè sempre lʼopera dei pensatori: filosofi e scienziati ma anche giuristi e funzionari plasmarono il concetto di carcere moderno. Nomi illustri come Cesare Beccaria e Carlo Cattaneo diedero il loro fondamentale contributo con i loro scritti.
Ma quali sono le caratteristiche di questʼistituzione? A ben vedere la prigione si fonda prima di tutto sulla privazione di libertà, come potrebbe la prigione quindi non essere la pena per eccellenza in una società in cui la libertà è un bene che appartiene a tutti e al quale ciascuno è legato da un sentimento universale? La sua perdita ha dunque lo stesso prezzo per tutti, in più essa permette di quantificare esattamente la pena secondo la variabile del tempo. I castighi dunque sono monetizzati in giorni, mesi, anni; vi èunʼequivalenza quantitativa delitto – durata della pena. Ma la prigione si fonda anche sul suo ruolo di apparato per trasformare gli individui, riformarli, correggerli e infine reinserirli nella società civile. Questo suo doppio statuto – da una parte economico - quantitativo e dallʼaltra disciplinare – correttivo – ha fatto apparire la prigione come la più civilizzata di tutte le pene.
Si può forse comprendere meglio, dopo questa breve introduzione, la celebre frase di Dostoevskij: «il grado di civiltà di un paese si misura dalle condizioni delle sue carceri», frase citata dal ministro della giustizia Paola Severino allʼinaugurazione dellʼanno giudiziario il 28 Gennaio. Ma se in queste parole cʼè del vero, allora il nostro sistema penitenziario è lʼideale cartina al tornasole del sistema Italia, un sistema in crisi.
Il decreto svuota carceri
Il VII rapporto Antigone sullo stato delle carceri ci mostra un panorama desolante: 63 mila detenuti per una capienza di 43 mila, carceri sovraffollate, carceri completate ma mai aperte, carceri aperte ma senza detenuti, carceri che non possono aprire perché non ci sono gli agenti penitenziari, carceri con la pianta organica apparentemente perfetta, ma nella pratica senza agenti a causa dellʼuso distorto e dellʼabuso dei distaccamenti. Agenti che figurano in un carcere ma che poi svolgono le loro mansioni in altri luoghi, perfino a fare la scorta a qualche ministro o ministero.
Secondo Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio, «il trend dei detenuti presenti nelle carceri del Lazio è allarmante e ormai anche le altre componenti del pianeta carcere cominciano a denunciare con forza una situazione sempre più grave. Non è un caso che, da settimane, gli agenti di Polizia Penitenziaria in diversi istituti della regione hanno iniziato a manifestare contro le condizioni di vita e di lavoro. È palese la violazione della norma Costituzionale secondo cui la pena deve punire ma anche rieducare. Lo ho già detto più volte: prima che il sistema arrivi al punto di non ritorno occorre avere il coraggio di cambiare un sistema legislativo che, oggi, non fa altro che produrre carcere».
Lʼurgenza e la drammaticità di questa situazione ha spinto il governo ad agire: il decreto svuota carceri è diventato legge il 14 Febbraio con 385 voti a favore 105 contrari e molti astenuti da entrambi gli schieramenti, un minimo “storico” per il governo Monti. A lasciare lʼaula è perfino Alfonso Papa, reduce da tre mesi di carcere. Il decreto prevede una riduzione dellʼaffollamento carcerario, celle di sicurezza per gli arrestati in flagranza di reato ma colpevoli di reati non violenti, possibilità di arresti domiciliari quando vi sia un residuo di pena fino a 18 mesi e la chiusura regolamentata dei manicomi criminali.
Ad uno sguardo critico non può non apparire chiaro che una riforma del genere non può risolvere il problema ma serve a tamponare lo stato disastroso in cui versa il sistema carcerario italiano. Un palliativo insomma e non una cura. In ultima analisi gli aspetti criticabili di questa riforma si possono riassumere in tre punti che spero possano servire da spunto per una riflessione più generale. Il primo è la legiferazione a “colpi di emergenze” che in Italia ha prodotto leggi criminogene e riempi carceri (vedi la Bossi – Fini) o ha impedito “riforme liberali” del sistema penitenziario: pene alternative, depenalizzazioni, etc.. Il secondo punto riguarda lʼisolamento delle forze politiche che tentano di affrontare in modo non demagogico questo argomento, come i Radicali, e dimostra lʼarretratezza del sistema democratico italiano. Il terzo ed ultimo punto ci permette di capire meglio il macro fenomeno dalle caratteristiche del micro o, per tornare a termini medicali, diagnosticare una patologia in base ai sintomi. Ovvero: osservare il declino del sistema penitenziario italiano nel più ampio quadro dello “svuotamento” e della distruzione della pubblica amministrazione gestita ormai non per perseguire obiettivi di interesse generale ma per rispondere a perniciose esigenze di bilancio o per portare a termine vere e proprie opere di demolizione della cosa pubblica.
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