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Aprile-Maggio 2012/2012 - Articoli e Inchieste
Roma violenta
Roma in crisi: l’insicurezza dei nuovi quartieri
di Enrico Pugliese

Dalla storia recente della Capitale è possibile trarre degli insegnamenti per il futuro. La costruzione recente di quartieri dormitorio, isolati e a volte con una sola via d’accesso, è il primo passo per generare pericolose sacche di criminalità



È il febbraio del 2008 quando il consiglio comunale di Roma approva il nuovo Piano Regolatore. Il sindaco Walter Veltroni rivendica tra le polemiche della destra il risultato. È convinto di aver scritto una pagina storica per Roma. E guardando i numeri non gli si può dare torto. Un Prg come quello del 2008 nella capitale non si era mai visto. Edificazioni per 70 milioni di metri cubi (una città come Napoli e anche di più se si calcolano i piani di edilizia pubblica non compresi nel computo), 18 nuove «centralità», quartieri dormitorio destinati a riempire la vastità dell’Agro romano. Tor Pagnotta, Bufalotta, Malafede, Magliana, Casal Boccone, Castellaccio, Murate cingono il raccordo anulare in un abbraccio di cemento. In quei luoghi vanno a vivere tanti romani spodestati dalla cintura urbana. In quei luoghi si ritrovano gli ex abitanti dei quartieri popolari della città, uomini e donne, giovani coppie e nuove famiglie spinte fuori porta dalla crisi e dal caro prezzi. “Fuori”, parola che denota un esodo, una lunga fila di persone, circa 700 mila, che dalla vecchia città muovono verso la nuova, verso spazi resi disponibili dalle amministrazioni cittadine ad uso e consumo dei costruttori romani.

L’amministrazione Alemanno
La crisi sopraggiunge in questo contesto, nel 2009, a evidenziare gli effetti nefasti del nuovo “sacco di Roma”. Chiudono una molteplicità di attività economiche (nella capitale e nell’hinterland) e aumenta la disoccupazione, viene intaccata la spesa sociale e si riaffacciano gli spettri di una criminalità dimenticata. Nonostante ciò l’amministrazione cittadina appare più intenta a ratificare una struttura di fatto della città che a organizzare un sistema coerente capace di contenere i costi della crisi. E così mentre si impone il dogma della riduzione del debito, da ottenere attraverso il contenimento degli esborsi economici, si realizzano nuovi accordi con i costruttori e si finanziano i grandi investimenti per Roma capitale (come la metropolitana C e D necessarie a ridurre il traffico esplosivo). E non si ferma neanche la speculazione edilizia che, se nel Prg della giunta Veltroni aveva trovato la propria legittimazione, nell’amministrazione di Alemanno trova una controparte quantomeno accondiscendente. Di case perciò se ne continuano a costruire anche dopo la crisi e i prezzi delle abitazioni non diminuiscono tanto quanto sarebbe necessario (tante pubblicità ripetono che i prezzi sono fermi all’autunno del 2007, prima della crisi). Si resta in attesa del crollo del mercato, semmai arriverà. Ma intanto, tra imprese in crisi e piano regolatore «sfortunato», si è consumato territorio, in buona parte divenuto sterile e improduttivo, e si sono gonfiate e riempite a dismisura le piccole località alle porte di Roma (Mentana, Pomezia, Genzano, Aprilia, Tivoli, Ardea, Riano). Ad acuire questi elementi di criticità poi è venuta alla luce la mancanza di infrastrutture e di reti di collegamento previste per accompagnare i nuovi insediamenti con conseguenze sul traffico che oggi ogni cittadino può constatare (ogni qualvolta vi è pioggia, neve o grandine).
Questi segni definiscono con chiarezza una politica di corto respiro che, incapace di mettere in campo per tempo delle efficaci contromisure al declino economico, non ha che amplificato i costi della crisi. Si fa fatica a ricordare in tempi recenti progetti di interazione proficua tra gli espulsi dalla città e le nuove frontiere urbane che si sono aperte di fronte ad essi ma è facile invece vedere nelle nuove edificazioni il ripetersi di errori del passato, sia pure mitigati dalle asprezze dei vecchi schemi di insediamento. Si continuano cioè a costruire quartieri dormitorio, privi di servizi e poco collegati con quanto li circonda, si perpetra in alcuni casi un antico vizio che vuole prima la costruzione degli edifici e poi quella delle infrastrutture. Ma aldilà di questi problemi culturali e politici, ciò che è stato più evidente negli anni di crisi che ci hanno preceduto è stata la scarsa organizzazione sociale, la superficialità con la quale si è consentito che interi pezzi di città si trasferissero oltre confine senza mettere in conto il costo sociale di questi spostamenti. L’abbandono di una rete di supporto, di solidarietà e di socialità stratificata in decenni di esistenze e di eventi condivisi (le piazze, i circoli, le associazioni, i centri sociali), la privazione di riferimenti certi, ha prodotto un ulteriore smembramento delle comunità lacerando il senso di appartenenza dei suoi abitanti e spingendoli a introiettare un modello uniforme di vivere, teso a formare delle monadi automunite e adattabili il più possibile al mondo del lavoro precario. Questi aspetti della questione-città sono sfuggiti all’amministrazione comunale alla quale è mancato soprattutto un pensiero lucido dello sviluppo della capitale nella sua fase di crisi. La perdita dei posti di lavoro, la situazione di crescente difficoltà del tessuto vivo della città ha così impattato con una sorta di stagnazione della politica urbana. Si è provato a riempire questo buco con eventi clou come “gli Stati generali della città” (un’assemblea fatta di esperti costruttori e di famosi architetti convocata all’Eur nel febbraio del 2011) che, tuttavia, aldilà di qualche proposta, hanno disatteso le aspettative. Nell’assise romana fortemente voluta dal sindaco non si sono affermati che dei principi di facciata, spot pubblicitari senza seguito. Tra questi l’idea di mettere la città in rete formando tanti centri urbani quante le aree urbanizzate di Roma o la proposta di destinare parte del territorio suburbano a insediamenti residenziali e commerciali a prevalente sviluppo verticale (grattacieli simili a quelli appena costruiti nel complesso “Eurosky”). Idee ben lontane dal risollevare l’economia cittadina e soprattutto anni luce distanti dalla risoluzione degli endemici problemi di coloro i quali vedono svanire la prospettiva concreta di una casa e di un lavoro.

Una riqualificazione è possibile
Eppure, nonostante tutto, è possibile ispirarsi a qualche caso di esperimento di riqualificazione e di riempimento della città riuscito, progetti realizzati nei quali si è tradotta un’idea ben determinata dello sviluppo urbano (e non solo l’istanza di una capitalizzazione a breve termine degli investimenti privati). A Helsinki, ad esempio, tra il 2000 e il 2010 ha avuto luogo un’importante opera di riqualificazione di un distretto ex industriale chiamato Arabianranta, una vasta area sorta intorno alla fabbrica di porcellana Arabia. Il contratto stipulato tra l’amministrazione e i costruttori ha previsto un alto standard di qualità delle nuove abitazioni, il calmieramento dei prezzi, e un rapporto tra numero di case da adibire ad affitto sociale e numero di uffici a prezzo di mercato fortemente in equilibrio (40% contro 60%). Inoltre i costruttori si sono impegnati a rispettare per ogni lotto due fondamentali criteri, la predisposizione di una banda larga di ultima generazione e l’acquisto e la cura di una quantità di opere artistiche e di forte interesse pubblico da impiantare in quello spazio urbano. La realizzazione di questi punti ha consentito al nuovo quartiere di avere una sua vocazione e una sua identità, di cambiare volto progressivamente all’area senza stravolgerne la natura popolare. Oggi il quartiere Arabianranta è ben noto per l’ottima qualità della vita che assicura, per l’unicità che esso rappresenta grazie alle opere d'arte che vivono al suo interno. Ma non solo, lì ha sede un grande campus per l'arte, il design e l'educazione ai media, lì vivono circa 10.000 residenti, di cui 6.000 studenti (tutti in appartamenti nuovi automaticamente forniti di una connessione a 10 Mbps senza costi aggiuntivi), e vi lavorano 7.000 persone.

Conclusioni
Ma le ridestinazioni realizzate ad Helsinki hanno avuto anche qualche corrispettivo romano. La differenza è stata più che altro negli esiti che a tutt’oggi ogni cittadino può constatare aprendo un qualsiasi giornale di annunci immobiliari. Basti guardare a quelle aree subcentrali come Garbatella e Testaccio, un tempo rifugio di operai e lavoratori delle uniche aree industriali di Roma e attualmente equiparate per normative e prezzi al centro della città. In assenza di una precisa indicazione sulla destinazione delle nuove aree e sul calmieramento dei prezzi, sulla realizzazione di alloggi per studenti dell’Università che in quel territorio hanno pure sede, le zone destinatarie delle attenzioni delle amministrazioni cittadine sono state preda di una speculazione feroce, di una convergenza di affari e interessi immobiliari che ha fatto lievitare i prezzi delle abitazioni a livelli astronomici lasciando di fatto ai nuovi ricchi acquirenti il compito di ristrutturare i vecchie edifici popolari, man a mano venduti dall’ente pubblico. Intanto la ristrutturazione della vasta area degli ex mercati generali (decisa circa 15 anni fa), motore originario della speculazione su quel territorio, ha subito pesanti rallentamenti dovuti principalmente a una contesa politica che ha causato incertezze e fraintendimenti. Il risultato di questo processo è stata una maggiore opportunità per il mercato e per gli speculatori, l’apertura di una finestra temporale che ha consentito di realizzare profitti provocando un forte abbandono dei territori d’appartenenza da parte dei suoi abitanti storici. In questo assurdo vortice, si è inserita l’ultima scelta di destinazione dell’area, una decisone presa ormai a ridosso della crisi. Si è pensato di cambiare il progetto originario costruendo in luogo della “città dei giovani”, o a suo completamento, un complesso di cinema, bar, alberghi e ristoranti. La nuova area degli ex mercati generali così intesa non potrà certamente rispettare il vecchio impianto popolare e produttivo della zona, né dotarla di una sua identità riconoscibile. Anche in questa abiura del pensiero originale sembra correre la differenza tra una politica pensata per risolvere la crisi in modo strutturale e un consenso di breve periodo votato alla soluzione momentanea dei problemi, in attesa forse di una nuova riqualificazione.


La crisi sopraggiunge in questo contesto, nel 2009, a evidenziare gli effetti nefasti del nuovo “sacco di Roma”.


Viviamo in un periodo storico dove la politica
è di corto respiro, è incapace di mettere
in campo per tempo delle efficaci
contromisure al declino economico

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