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Marzo/2012 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
Va avanti chi persevera
di Carlotta Rodorigo

L’Italia, una repubblica fondata sul lavoro con le conseguenti norme che hanno per oggetto la disciplina dei rapporti inerenti al lavoro. Argomento di attualità in questo periodo di crisi di ricerca estrema di un lavoro, ma che vogliamo e che chiediamo a tempo indeterminato.
Vediamo allora di conoscere cosa tutela le nostre richieste, seguendo e studiando il Diritto del lavoro che contiene principi ai quali possiamo dare una duplice definizione: una in senso privatistico, l’altra in senso pubblicistico. Parlando della prima intendiamo il Diritto del lavoro come un insieme di norme che regolano il lavoro dell’uomo individualmente, cioè un soggetto che da la sua opera a favore di un datore di lavoro.
In senso pubblicistico contiene un complesso di norme che disciplinano il lavoro umano per il progresso della società nazionale.
Con queste norme si regola il lavoro che ha per oggetto quelle attività che tendono a migliorare l’ambiente esterno per renderlo più vivibile e più adatto alle esigenze della vita e che promuove la “produzione”. Con il diritto del lavoro, lo Stato tutela giuridicamente e regolarmente il lavoro anche in collaborazione con i sindacati e la legislazione sociale che garantisce a colui che segue il lavoro forme particolari di tutela e di protezione.
Dall’altra parte, l’impresa, il datore di lavoro chiede la protezione dello Stato e dei sindacati nei loro confronti contro assenteisti cronici e tutti gli altri che non sempre fanno il loro dovere questa richiesta ha scatenato dibattiti sull’articolo 18 perché sia riconosciuta la facoltà di poter licenziare chino fa il proprio lavoro.
E’ giusto sostenere la richiesta di un “posto fisso” a tempo indeterminato per poter vivere un’esistenza dignitosa ma per esperienza concreta e attuale, sappiamo che spesso chi riesce ad avare questa fortuna pensa di aver raggiunto il massimo e limita al minimo il lavoro per il quale l’impresa che lo ha assunto.
Troppi fannulloni che per legge non possono essere licenziati impedendo alle imprese di avanzare con i programmi stabiliti e ridotte a non poter reinvestire i guadagni derivati e aumentare posti di lavoro anche a causa di tali assenteisti cronici.
Eppure la soluzione è una e semplice: dare la facoltà di licenziare chi no fa bene il proprio lavoro.
Un capitolo questo a parte, nel campo del lavoro sono quei raccomandati, che vediamo passare avanti a tutti ma che non ci devono scoraggiare e cercare di superare queste difficoltà e i cattivi esempi.
Non pensiamo che se non abbiamo successo siano dei falliti, ma evitare facili scorciatoie e studiare. Poi affidarsi all’intraprendenza.
Si è venuto a creare un circolo vizioso quasi inspiegabile. I giovani italiani chiedono lavoro ma non sono soddisfatti di quanto loro si offre. Forse troppo acculturati per ricordarsi che hanno due mani per adoperarle non soltanto per poggiarle su di una scrivania, davanti ad un computer.
Da l’altra parte il numero dei soddisfatti di essere emigrati in Italia entrando nelle fabbriche, nel commercio, nelle imprese,con risultati positivi che gli permettono di vivere e aiutare con le loro rimesse, spedite dall’Italia, ai familiare rimasti nei paesi d’origine alzandone il tenore di vita.
Dobbiamo sperare che la situazione si risolva non con leggi mai condivise, ma con la buona volontà e la voglia di rimboccarsi le maniche.

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