Lo scorso 10 dicembre ricorreva il 63° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. A Torino, in quello stesso giorno (che brutta coincidenza!) una folla inferocita e pronta a uccidere ha dato fuoco a un campo nomadi, costringendo vecchi e bambini, uomini e donne a fuggire nella notte. Solo per un caso non c’è scappato il morto, ma intanto tutto è bruciato.
Il motivo di tanto odio? La sete di vendetta per un falso stupro denunciato da una ragazzina sedicenne, che per salvaguardare la sua illibatezza e preservare la sua sacra verginità, di fronte a una famiglia rimasta legata a una mentalità del secolo scorso o prima ancora, ha inventato una violenza compiuta da due rom, attraverso i classici e poco fantasiosi luoghi comuni - erano sporchi, puzzavano e uno aveva una cicatrice sul viso.
Insomma, un semplice e naturale gesto d’amore con un coetaneo, peraltro secondo le statistiche molto comune a quell’età, si è trasformato in un’accusa infamante verso una comunità che raccoglie da sempre tante paure e troppo disprezzo.
La paura di una ragazzina alla sua prima esperienza sessuale, ma con una famiglia bacchettona e arretrata, forse pure culturalmente, ha scatenato una reazione da Mississipi burning, neanche fossimo nell’Alabama della seconda metà del 1800, quella del Ku Klux Klan, dei cappucci bianchi delle croci in fiamme e dei neri col cappio al collo.
Passano solo tre giorni e a Firenze, la città che è stata la culla della cultura italiana, la città di Dante e del Rinascimento, un uomo di 50 anni, un ragioniere con idee neonaziste, uno che scriveva su riviste fomentando l’antisemitismo e le tesi negazioniste, un bel soggetto che frequentava Casa Pound, ha preso una pistola, una 357 magnum che deteneva regolarmente, e se ne è andato in giro a sparare ai neri. In oltre due ore di follia assassina, che, attenzione, non va assolutamente confusa con un raptus, ha dapprima ucciso due senegalesi, i primi due che ha incontrato. Poi è risalito in auto, si è diretto verso il centro, ha parcheggiato con calma e li ha fatto fuoco di nuovo, ferendone gravemente altri tre. Infine vistosi braccato dalla Polizia si è suicidato, sparandosi.
Trascorrono altri due giorni e a Verona, un tredicenne cingalese sale sul bus e si sente dire da un gruppo di ragazzi poco più grandi: «Che cazzo guardi negro di merda!». Il giorno successivo, per sua sfortuna li incontra di nuovo, dapprima uno di loro gli versa il contenuto di una birra in faccia e poi in cinque, uno solo è maggiorenne, lo picchiano, infine lo spingono sulla strada tentando, fortunatamente senza riuscirci, di farlo investire da un’auto in transito. Bel risultato: il ragazzino 13enne è terrorizzato e non vuole più uscire di casa.
Un sentimento di paura che ormai vivono tanti stranieri qui in Italia. Il clima è pesante e pericoloso per loro, infatti basta fare un giro sul sito razzismoitalia.blogspot.com per leggere una rassegna stampa dei più vergognosi episodi d’intolleranza e discriminazione razziale accaduti negli ultimi anni.
Appare chiaro che certi gravi avvenimenti non hanno avuto in questi giorni l’eco che meritavano; la reazione è stata troppo tiepida, soprattutto per la strage di Firenze.
E invece la misura è colma, non si tratta infatti di episodi isolati, né di presunti gesti di qualche disadattato affetto da disturbi mentali, bensì di un virus che ha infettato buona parte della mentalità comune, un virus inoculato da alcuni membri di partiti e movimenti di destra, ormai sdoganati e legittimati, che hanno fatto leva sulle paure della gente per meri fini elettorali e dal populismo della Lega Nord che, stimolando i peggiori istinti di cittadini poco e male informati dalla tv, troppo spesso è stata considerata solo un partito con linguaggio colorito e verace, anche da parte di una certa sinistra e soprattutto, questo è ancor più grave, da gran parte dei vertici della Chiesa.
Come non ricordare l’ex ministro della Repubblica Bossi che definiva gli immigrati africani bingo bongo aggiungendo poi : «…fora di ball!», l’altro leghista Borghezio che si rammaricava che non si potesse sparare alle carrette del mare che trasportavano decine di profughi a Lampedusa, l’europarlamentare Salvini che proponeva vagoni della metropolitana di Milano differenziati tra italiani e stranieri immigrati, e ancora l’europarlamentare Borghezio che un giorno andava a disinfettare i sedili dei treni, a suo dire infettati dai fondoschiena delle ragazze africane che vi si sedevano e l’altro andava a dar fuoco ai poveri giacigli dei senza fissa dimora. Lo stesso Borghezio che ha detto, tre giorni dopo la strage compiuta a Oslo e sull’isola di Utoya da un neonazista norvegese: «…condivido al 100% le idee di Anders Breivik, sono buone, in qualche caso sono ottime!». Compagni di partito di quel Gentilini, ex sindaco di Treviso che voleva fare con gli immigrati il tiro a segno, anzi il tiro al coniglio.
Ecco, certe frasi rappresentano i germi di quel pericolosissimo virus razzista che sta contagiando il nostro Paese, che soffre ormai non solo di una grave crisi economica, ma pure di una decadenza morale e civile ancora più profonda. Risulta facile quindi per alcuni fare proseliti cavalcando le paure e i luoghi comuni della gente.
Le reazioni a certi commenti razzisti o proposte discriminatorie da apartheid sudafricana, quando ci sono state, sono risultate sempre troppo morbide e accomodanti e nessuno, sia a destra che a sinistra dell’arco parlamentare, ha mai denunciato in maniera ferma e seria questo linguaggio xenofobo e intollerante, anche ai livelli più alti.
Che dire invece dei vari piani nomadi a Roma? Nati con Veltroni Sindaco e poi peggiorati, al limite della deportazione, con Alemanno e le sue presunte politiche per la sicurezza.
Ma è così diffuso questo sentimento antirazzista? A leggere certi commenti su internet che inneggiano al gesto del neonazista toscano sorgono parecchi dubbi in merito. Così come forse andrebbe analizzato in maniera più approfondita il ruolo di organizzazioni di estrema destra come Casa Pound, che il killer di Firenze pare frequentasse spesso e che forniscono il brodo culturale a ragazzotti ignoranti o quantomeno confusi e con idee poco chiare.
Come affrontare allora questo presente minaccioso che ci fa intravedere un futuro ancora più cupo?
Bisogna partire dalla nostra Costituzione, una carta che contiene in sé tutti gli antidoti, proprio perché nata subito dopo una dittatura pesante e tragica come il fascismo. Ricordare quindi l’articolo XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, in cui si vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista. Da cui deriva l’ancora valida legge 545 del 20 giugno 1952 – detta legge Scelba - come bene ha rammentato la rivista Micromega con un appello a Napolitano, che prevede “la reclusione da cinque a dodici anni per chiunque in un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, o compie manifestazioni di carattere fascista”. E la più recente legge 205 del 25 maggio 1993 - detta legge Mancino - che punisce “con la reclusione fino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Basterebbe applicare queste due leggi per fare un po’ di pulizia, estirpare il cancro razzista ed evitare quella pericolosa zona d’ombra se non addirittura, in alcuni casi, quella grave saldatura e connivenza tra certi violenti comportamenti e le urla becere di determinati personaggi politici locali e nazionali.
Che le reazioni risultino troppo timide appare anche ad Amnesty International, che in un comunicato stampa dello scorso 16 dicembre prova a darci una scrollata da questo pericoloso torpore “auspicando un maggior impegno da parte delle autorità italiane per prevenire la violenza basata sull’odio etnico e razziale, affinché non si ripetano più attacchi come quelli di Torino e di Firenze….l’organizzazione per i diritti umani ritiene che alla esecrazione nei confronti degli atti di violenza debbano essere affiancate puntuali parole di ferma condanna ogni volta in cui rappresentanti delle istituzioni rilascino dichiarazioni discriminatorie, xenofobe e razziste. Piuttosto che giustificare, con l’esigenza di sicurezza, legislazioni e pratiche discriminatorie verso i migranti e le minoranze, le autorità italiane dovrebbero adottare, come richiede da anni Amnesty International, misure che garantiscano un’autentica sicurezza fondata sul rispetto dei diritti umani per tutte le persone che vivono in Italia”.
Alla luce di questa dichiarazione sembrano una tristissima, nonché vergognosa e agghiacciante previsione, le parole che aprono il sito fortresseurope.blogspot.com (Fortezza Europa), un osservatorio on line e una preziosa rassegna stampa sulle vittime dell’immigrazione verso l’Europa, curato da Gabriele Del Grande, che in merito all’obiettivo del suo lavoro lo descrive come: «Alla ricerca delle storie che fanno la storia. La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni Duemila morirono a migliaia nei mari d’Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere».
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