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Marzo/2012 - Articoli e Inchieste
I ragazzi “né, né”
Generazione digitale tra musica e sesso
di Carlotta Rodorigo

I giovani sono sempre meno presentI nella realtà
sociale e politica del nostro Paese. La loro creatività e le loro
idee viaggiano ormai solo sui fili di rame che collegano
i loro computer. E attraverso la rete si scopre come sono


Sarebbe saggio seguire sempre le indicazioni dei “diversi”, soprattutto se poeti e scrittori. Charles Bukowski, ad esempio, scrisse: «Non mi fido molto delle statistiche, perché un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media». È quindi meglio interpretare la serie di dati che troverete in questo articolo con molta attenzione, anche perché la “categoria” scelta rischia spesso di cadere nella mera generalizzazione. I giovani, infatti, sono materia tanto citata quanto mutevole e inafferrabile. E allora come comprendere un universo che per ovvie ragioni anagrafiche ci sfugge sempre di più? In un Paese come l’Italia, in cui il mercato del lavoro ha praticamente espulso i giovani in età lavorativa, mezzi come la televisione, i giornali e la radio hanno “ghettizzato” i ragazzi nella sole nicchie pubblicitarie e nei reality per cantanti, attori e futuri opinionisti del nulla.
E allora come fare? Semplice, c’è Internet.
L’86,5% dei giovani, tra i 18 e i 24 anni, usano le e-mail, a dispetto di un 78,5% di adulti. Se questa differenza appare minima è perché le e-mail sono spesso usate per lavoro; le chat, i blog, le news-group o i forum di discussione online, invece, no. Questi ultimi li usano solo le persone in grado di capirne i meccanismi e le regole. I ragazzi, sempre tra i 18 e i 24 anni, che li utilizzano per comunicare sono il 67,3%, gli adulti sono solo il 36,7%. Quindi le nuove generazioni, secondo i dati di Centimetri per La Stampa il 75,3%, tendono a costruire e intrecciare rapporti, veri e propri Social networking; ovvero reti sociali che consistono in gruppi di persone connesse tra loro da un certo tipo di legame sociale, che può andare dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, a vincoli familiari. «Da uno studio recente - scrive Carmela La Gatta - è emerso che 8 giovani su 10 passano più di tre ore al giorno in rete. Il 30% degli intervistati anche più di 3 ore. Il tempo di fruizione dei contenuti virtuali rappresenta una buona fetta della giornata dei cosiddetti nati digitali». Secondo il Censis, la maggior parte di queste ore sono spesso passate non davanti a un semplice computer ma digitando il touch screen di un smartphone. Una grande ricerca europea - 25.142 ragazzi dai 9 ai 16 anni in 25 Paesi europei - finanziata dal Safer Internet Programme della Commissione Europea, fa emergere come in Italia l’ampia diffusione dei social network sembra sostituire l’oratorio, la piazza, la discoteca. Per il dottor Alessandro Fiocchi, presidente della Società di pediatria lombarda, il fenomeno «ha tanti aspetti positivi, ma anche qualche rischio. Per esempio il fatto che si ritrova su Internet il problema del bullismo. E c’è anche la questione che i ragazzi non sanno, e tantomeno i loro genitori, gestire i problemi di privacy e sicurezza».
Ma quindi quanto e come influisce Internet nelle vite di questi ragazzi? Una ricerca, fatta dal gruppo McCann su 7.000 giovani provenienti da diverse parti del mondo, ha analizzato l’influenza del Web sulla realtà politica, economica e sociale. «Ricerca di giustizia, verità, appartenenza, riconoscimento identitario sono i quattro elementi cardine che spingono all’uso della rete. Insomma, non ci siamo snaturati. Abbiamo ancora tutti sete degli stessi valori, degli stessi punti di riferimento, li raggiungiamo solo attraverso vie differenti». Per i ragazzi, sono quattro i punti chiave alla base della concezione di Internet. Primo: la tecnologia come il quinto senso. «È stato chiesto ai giovani se sarebbero disposti a sacrificare uno dei loro sensi pur di mantenere la tecnologia presente nelle loro vite. Il 53% dei giovani, tra i 16 e i 22 anni, e il 48% tra i 23 e i 30 anni, ha risposto che rinuncerebbe all’olfatto pur di mantenere una qualche abilità nell’interagire con la tecnologia. Internet e tutti gli strumenti a esso collegati rappresentano un’illimitata potenzialità di amicizie, sapere e intrattenimento che si muove con gli utenti e li accompagna nella vita quotidiana. La tecnologia oggi giorno permette ai giovani di sperimentare il mondo in cui vivono e di dargli un senso attraverso immagini, video, audio e testo». Secondo punto: l’economia sociale. «La necessità sempre più forte di sentirsi parte di una comunità globale e di relazionarsi con realtà diverse che vadano oltre i confini territoriali e culturali, si riflette anche nella diversa percezione dell’economia. Oggi siamo sempre più interessati al fare cose, piuttosto che al possederle. Se è vero che un’economia di massa spinge al consumo, è anche vero che grazie all’impulso della tecnologia, diviene fondamentale sperimentare il fare. Basti pensare all’esempio di Groupon, le persone acquistano “esperienze” non oggetti, anche nel caso in cui il coupon sia destinato all’acquisto di un bene fisico prima viene la fase dell’azione e poi quella del possesso: aderisco all’offerta con altre persone per poi “possedere” ciò che hanno acquistato. Altro elemento imprescindibile di questa nuova economia è la condivisione delle esperienze di acquisto e l’influenza di coloro che reputiamo “affidabili” nella valutazione di un bene che ci accingiamo a comprare».
Terzo punto: i cacciatori di verità. «Anche i brand sui social network possono diventare “amici” degli utenti, ma come tali devono rispettare alcuni presupposti: il brand deve permettere di sviluppare la propria identità, non imporre i propri valori; un marchio non può essere invasivo in uno spazio “libero” come quello dei social, dove le relazioni sono una scelta e non un’imposizione; al pari delle amicizie reali, quelle virtuali presuppongono genuinità e sincerità. Il concetto di verità esplode in una società che permette di “sbirciare” dietro le quinte quelli che sono i reali processi produttivi. L’informazione diviene dominio di tutti gli utenti che mettono a disposizione le loro esperienze a favore di altri. I brand reputati come “corretti” e sinceri sono spesso quelli più piccoli, ma quelli che vengono reputati come chiavi dello sviluppo tecnologico sono piuttosto Google, Microsoft, Apple, Facebook. Questi ultimi brand sono quelli in cui i giovani ripongono fiducia, quelli a cui affiderebbero la risoluzione di un problema e che rendono “più facile” la vita. Quarto punto: una nuova Giustizia. «Il concetto di giustizia viene vissuto su due livelli diversi. Personale: ciò che è giusto per me e sociale; ciò che è giusto per la società. Per giustizia personale la maggior parte dei giovani intende un insieme di regole di comportamento che va oltre le barriere legislative dei propri Paesi: con l’avvento di Internet i confini, siano essi politici o culturali, vengono ridotti a una mera convenzione imposta dall’alto. La legge di Internet spesso esce dai confini della legge nazionale. Un banale esempio è quello del plagio: sul web reinterpretare una creazione di altri non è reato e gli strumenti messi a disposizione degli utenti permettono di sviluppare tutte le infinite, possibili variabili di una stessa invenzione. Nella percezione di giustizia i social media hanno una funzione chiave, basti pensare alla grande mobilitazione portata avanti su Facebook per quelle campagne di sensibilizzazione che nella realtà esterna non troverebbero il giusto spazio (un esempio su tutti: il referendum sull’acqua). Grazie al web la disinformazione viene difficilmente tollerata e tutti sono chiamati a condividere, esprimere e informare».

Quanti e chi sono?
Secondo l’Istat, in Italia risiedono 4.352.641 ragazzi tra i 18 e i 24 anni su una popolazione complessiva di 60.626.442 persone. I dati si riferiscono al 1 gennaio 2011. In soli quattro anni un milione di loro ha perso il lavoro e il 59,1% non ha nessuna intenzione, neanche per un tempo limitato, di uscire dalla propria nazione per cercarsi un’occupazione (fonte Censis).
I numeri ci dicono quindi che i giovani sono relativamente pochi e con scarse possibilità di far sentire la loro voce in una società che tende sempre più a invecchiare. Secondo Livi Bacci e De Santis l’Italia è un Paese che li penalizza, e in questo modo riduce le proprie possibilità di sviluppo: «I giovani europei, rispetto agli italiani, completano prima gli studi, escono prima da casa dei loro genitori, entrano più precocemente nel mercato del lavoro, formano famiglia in anticipo, iniziano prima a scalare le gerarchie professionali e hanno maggiore influenza nelle decisioni collettive». Questa generazione europea viene definita, da alcuni sociologi e dai media, Generazione “Millennials”. All’interno di questo insieme si trovano i ragazzi nati tra la fine degli Anni ‘80 e i primi ‘90, tre volte più numerosi rispetto ai fratelli maggiori della Generazione X, i primi a essere cresciuti in un ambiente completamente digitale. Sono 80 milioni e hanno più informazioni di ogni generazione precedente. Ciò li rende sicuramente più reattivi e percettivi, a scapito della capacità di analisi e approfondimento. Infatti hanno smesso di sognare di sovvertire il sistema, lo vogliono cambiare dall’interno: vogliono migliorare la democrazia perché offra più spazi. “Mtv - come riportato da La Stampa - ha condotto un’indagine in 15 Paesi diversi, cercando di raccontare e di capire come sono cambiati i sogni, le vite e le abitudini. Le frontiere, mentali o fisiche, non esistono più, cancellate da Facebook, twitter e youtube. Oltre 6.500 giovani sentiti tramite questionari, forum e focus group sono proiettati verso il futuro, sempre connessi, innamorati delle loro famiglie allargate o non convenzionali e pronti a mettersi in gioco. L’80% di loro non riesce a immaginarsi senza Internet, quasi uno su due preferirebbe rinunciare a un viaggio piuttosto che restare 24 ore senza i social network. È la generazione che ha smentito il preconcetto per cui la tecnologia isola dal mondo”.
All’interno di questo macro gruppo è possibile identificare un sotto gruppo tutto italiano, la Generazione “Neet”, che nelle trasmissioni televisive viene chiamata anche “Né né”. “Giovani sputati fuori dalla scuola media - scrive La Stampa - e poi da quella superiore e, in ultimo, dall’università, compaiono dappertutto, nei libri, nei film e nei reality più o meno cafoni, con la loro indole insofferente, la violenza, la noia e l’ignoranza di chi non solo non sa, ma neppure vuole sapere”. Come se avessero capito che la conoscenza porta solo all’amarezza e all’insoddisfazione. Sono senza lavoro, non studiano o frequentano corsi di formazione. L’Italia, rispetto al resto dei paesi Europei, è la prima in classifica. Nel Bel Paese, infatti, secondo dati Istat e Eurostat, sono il 24,2%. Di cui il 14,7% inattivi, il 9,5% disoccupati. In Spagna sono il 22,4%, il 6,3% inattivi e il 16,1% disoccupati. Nel Regno Unito sono il 17,7%, l‘8,9% inattivi e l‘8,8% disoccupati. In Francia sono il 16,2%, il 6% inattivi e il 10,2% disoccupati. La Germani ha i tassi percentuali più bassi, sono infatti solo 11,4%, di cui il 6,2% inattivi e il 5,2% senza lavoro.

Di cosa si parla in Rete?
In realtà non ci sono molto differenze tra la vita “reale” e quella “virtuale”, ormai i due universi collimano e a volte coincidono. Un’indagine ha «suddiviso in 40 categorie diverse i siti più rappresentativi del web a livello mondiale, ed attraverso questa classificazione sono stati in grado di analizzare, parola per parola, più di 200 milioni di conversazioni». A sorpresa i principali 10 argomenti non hanno niente a che vedere con quelli che sembrano emergere, almeno in Italia, attraverso i mass media tradizionali. Agli ultimi posti ci sono temi legati alla società e all’economia, ai primi posti, invece, troviamo la salute (14%), i giochi (13%), le auto e le moto (10%), Internet e tecnologia (9%), amore e famiglia (3%) e le donne (3%).
Se però analizziamo i 10 tweet più importanti del 2011 possiamo notare che oltre a chi twitta solo i fatti propri, c’è anche chi usa il servizio di micro-blogging per dividere con gli altri informazioni di interesse generale. I responsabili di Twitter hanno compilato la Top Ten dei tweet più importanti dell’anno. Al primo posto c’è la rivoluzione in Egitto, al secondo il raid americano che avrebbe portato all’uccisione di Osama Bin Laden; al terzo c’è la storia di Daniel Morales, un senza tetto che ha postato la foto della figlia che non vedeva da oltre dieci anni e il giorno dopo la ragazza lo ha chiamato. Al quarto posto c’è un po’ di sport. Stufo del lockout Nba, il 31 ottobre Kevin Durant, ala degli Oklahoma City Thunder, ha postato una richiesta affinché qualcuno lo invitasse a fare una partita a football. Detto fatto, uno studente universitario ha letto il tweet e lo ha convocato. Al quinto posto c’è il grido «scopiamo Londra!», l’attore Andrew Hayden Smith chiamò a raccolta i londinesi dopo i disordini di agosto per organizzare una massiccia operazione di pulizia delle strade, con tanto di scope agitate in aria in segno di protesta. Al sesto posto c’è una foto dello shuttle Endeavour scattata dal sedile di un aereo da Stefanie Gordon. Al settimo posto c’è un tweet che racconta il devastante terremoto, di magnitudo 8,9, che mise in ginocchio il Giappone. All’ottavo posto c’è Julia Probs, esperta nella lettura delle labbra nonché tifosa di calcio, che posta le frasi dette da giocatori e allenatori sul campo, per aiutare le persone affette da sordità. Al penultimo posto c’è il terremoto in Turchia del 23 ottobre, l’anchorman della tv locale, Okan Bayulgen, postava messaggi di soccorso sul suo account e quando uno dei suoi follower gli ha spedito l’indirizzo di una moschea dove potevano esserci alcuni fedeli intrappolati all’interno, il giornalista ha girato l’informazione alle autorità, salvando così due persone. All’ultimo posto c’è il messaggio postato dal consulente finanziario Peter Shankman lo scorso 17 agosto quando, di ritorno a New York, chiese al suo ristorante di fiducia di portargli una bistecca in aeroporto. Richiesta esaudita, con tanto di cameriere in livrea ad attenderlo con la succulenta cena.
Secondo i dati raccolti da Centimetri, per La Stampa, oltre a praticare sport, lo fanno oltre la metà dei ventenni, ai ragazzi della Generazione “Millennials” piace ancora andare al cinema (85,8%), andare in discoteca (69,6%) e andare ai concerti (45,6%). Sulla rete, invece, passano il loro tempo libero a giocare o a scaricare giochi, immagini, musica (63,2%); oppure a cercare informazioni su merci e servizi (61,5%); o condividono testi, immagini, fotografie (60,7%); oppure inviano Istant messaging (50,9%).
Ma cosa si scrivono e cosa condividono questi giovani? Con la mente sempre fissa sulla citazione iniziale di Bukowski, cerchiamo di semplificare (forse troppo). Per il professore Stefano Pallanti, psichiatra, le nuove generazioni si rivolgono a Internet per colmare le proprie lacune, tralasciando i normali punti di riferimento come scuola e famiglia. Il motivo? «Una maggiore sfrontatezza che in Rete sembra scaturire dalle diverse e più disparate personalità, come anche il poter abbandonare timidezza e tabù senza doversene vergognare con le relazioni faccia a faccia».
E le lacune principali sono legate al sesso e al futuro, in fondo questa è una generazione che ha sì la capacità di seguire il continuo fluire dei dati, ma ha anche forti limiti di analisi e ragionamento a lungo termine. Internet è per loro anche uno strumento per ragionare e approfondire tematiche sottovalutate dai media tradizionali.

Sesso e lacrimogeni
Internet è ormai, almeno in Italia, l’unico strumento utile per colmare le lacune in campo sessuale, visto che la crisi e i tagli hanno colpito duramente sia la scuola che i consultori, la Rete è quindi diventata il posto principe per l’educazione sessuale. Ad avvalorare questa ipotesi c’è la Top Ten delle ricerche effettuate sul più usato motore di ricerca, Google. Al primo posto tra i vari “Come si fa” c’è proprio la domanda sui rapporti sessuali e su come si fa l’amore per la prima volta con 10 milioni e 800 mila risultati.
Sì perché i nostri giovani fanno sesso, il 17% dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni dice di aver avuto più di dieci partner sessuali. Il 70% dice di aver avuto più di un partner, un quarto va da 2 a 3, il 30% da 4 a 10. Il 40% è la percentuale dei ragazzi che considera attraente l’idea di un’avventura sessuale con uno sconosciuto, anche se solo il 22% dichiara di averla realmente vissuta. Tutti loro, magari per una sola volta, hanno chiesto aiuto alla Rete e a Google, che ha risposto con i più disparati argomenti trattati da esperti come anche da coetanei. E Internet non è solo usata per discutere o chiedere informazioni, una percentuale non trascurabile di ragazzi dichiara di inviare proprie immagini nude: 4% tra coloro che hanno 12-14 anni, 8% tra i 15-17 anni. Molto frequente è anche l’invio di messaggi con riferimento al sesso (43%), trasmettere dati personali a qualcuno conosciuto in Internet (43%), guardare video o immagini a sfondo sessuale (41%), ricevere messaggi con riferimento al sesso (41%). Il 40% dei giovani ha ammesso di aver dato il proprio numero di telefono a uno sconosciuto “incontrato” su qualche social network, e due su dieci hanno avuto con questa persona addirittura rapporti intimi.
«Questi dati dicono in modo eloquente come i ragazzi e le ragazze utilizzino la rete per esprimere e sperimentare a 360° la loro sessualità. Non solo si espongono alla visione di immagini, foto, messaggi a sfondo sessuale ma espongono loro stessi, in prima persona, fino ad arrivare al contatto offline cioè all’incontro intimo vero e proprio con persone conosciute via web», commenta Valerio Neri, direttore generale Save the Children Italia.
«È fondamentale - continua Neri - che i ragazzi e le ragazze capiscano che non esistono mondi virtuali perché quello che si fa su Internet o con il cellulare ha un impatto diretto e concreto sulle loro vite, quindi ogni azione deve essere ponderata e valutata nelle sue possibili conseguenze positive o negative perché stiamo tirando in ballo la nostra vita, i nostri sentimenti, la nostra sfera più personale e intima». «Ogni contenuto che noi postiamo online, lo rendiamo accessibile a tutti - fa eco Pietro Giordano, segretario Nazionale di Adiconsum. - La vita che i ragazzi giocano in internet è reale».
Quanto poi al perché una ragazza o un ragazzo inviano o pubblicano in Internet messaggi, immagini o video di se stessi con riferimenti sessuali o in atteggiamenti provocanti, gli intervistati indicano come motivazione prevalente nei propri coetanei il farsi notare da qualcuno o il sentirsi sexy (rispettivamente danno queste ragioni il 55% e il 43% di intervistati con riferimento alle ragazze, il 52% e il 27% degli intervistati con riferimento ai ragazzi). Non mancano però anche motivazioni più utilitaristiche: secondo il 29% le ragazze o i ragazzi fanno tutto ciò per ricevere regali o ricompense. «Tra le principali ragioni - spiega Neri - alla base del loro intenso scambio di materiali a sfondo sessuale mettono in testa il divertimento (per il 44% degli intervistati) o riuscire a vincere la propria timidezza (40%) e più in generale la voglia e il bisogno di esibizione e di mostrarsi competenti in materia sessuale».
Come abbiamo letto dai tweet più popolari del 2011 anche gli argomenti di stretta attualità e “politici” sembrano interessare molto i ragazzi. In particolare sono due i “movimenti” che si sono diffusi tra i più giovani in questi ultimi mesi. Quello nato in Spagna e definito per semplicità giornalistica los indignados, gli indignati, e quello che i media anglosassoni chiamano Occupy Wall Street. Il primo, che ha subito trovato un forte eco anche in Italia, protesta contro i tagli all’università, alle politiche di tutela sociale e per una democrazia partecipativa, insomma per imporre un cambiamento.
Il secondo movimento è nato sulla scia della crisi economica globale. A Zuccotti Park, ribattezzata Liberty Plaza, si sono radunati centinaia di ragazzi e hanno “occupato” Wall Street. Da lì questi giovani attivisti, accomunati solo da un generico anticapitalismo, «gestiscono un sito web - scrive Marco Codebò (???) - che funziona alla perfezione, molto meglio di quello di molte università italiane, si coordinano con un sito-ombrello, Occupy Together, a cui fanno riferimento più di 1.000 occupazioni in tutti gli Stati Uniti, vanno su Twitter, gestiscono una pagina Facebook, filmano tutti gli eventi per sbatterli subito su Youtube e infine fanno funzionare una webTv dove in stream si possono vedere dal vivo cortei, arresti e maltrattamenti. Dire quale delle due facce sia virtuale e quale reale è ozioso, in realtà vivono una dentro l’altra come in un circolo».
Questa estate, poi, alla ribalta dei media internazionali sono apparsi anche i ragazzi inglesi che hanno messo a ferro e fuoco Londra. «Giovani dei quartieri periferici - scrive Marco Belpoliti -, ma anche adolescenti arrabbiati, appartenenti alle classi medie, si sono avventati su supermercati, mediastore, negozi di moda, dedicandosi a un saccheggio violento e improvviso. Non si tratta di violenza luddista, che distrugge gli strumenti dell’odiato progresso, come accadde nel passaggio dalla società rurale a quella industriale nel corso della prima rivoluzione tecnologica a fine Settecento in Inghilterra, bensì il tentativo, spesso riuscito, di impadronirsi dei simboli della nuova ricchezza: cellulari, smartphone, computer, console video, oppure capi d’abbigliamento alla moda. Tutti oggetti dell’attuale società affluente, simboli prima ancora che beni materiali».
Quella della rivolta giovanile è una tendenza che sembra essere nata da «Clichy-sous-Bois, nella banlieue parigina, nel 2005, ad Atene nel 2008, all’assalto degli studenti londinesi nel 2010, o alla discesa in piazza a Roma del corteo degli studenti (a dicembre 2010 e a ottobre 2011 ndr), la rivolta sembra aver preso il posto delle forze rivoluzionarie. La rivolta non ha progetto, non si proietta nel tempo futuro».
E nel rapporto tra giovani e Internet il futuro gioca un ruolo importante. A dimostralo ci sono le parole di Eric Schmidt, amministratore delegato di Google. «Ci sarà un giorno in cui ogni giovane al compimento dei 18 anni, acquisterà automaticamente il diritto di cambiare il nome per cancellare le bravate memorizzate sui social network da ragazzino». Schmidt ammette pure che «le informazioni, anche quelle pubblicate per gioco, senza badar troppo alle conseguenze, possono compromettere un’eventuale carriera lavorativa, una futura relazione sentimentale, la vita in generale».
Magari i nostri nipoti cresceranno con questa nuova consapevolezza, per ora è meglio sperare che un’altra profezia si avveri, quella dell’economista Jeffrey Sachs: «Solo quando questa generazione si affaccerà alla politica le cose cambieranno».

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