Non permette di identificare l’autore dei delitti
seriali, ma dà indicazioni sul tipo di persona
che ha il maggior numero di possibilità di aver commesso il crimine
L’analisi del profilo psicologico del criminale originariamente era il completamento del programma VICAP (Violent Criminal Apprehension Program). Esso trovava, e continua a trovare, applicazione non solo con gli assassini seriali, gli omicidi a sfondo sessuale, i crimini rituali, ma anche in caso di sequestro di ostaggi, di rapimenti di minori, di piromania, di stupro seriale, di molestie su minori.
La caratteristica comune a tutti i crimini analizzati con le tecniche di profiling quindi, è la serialità e il fatto che l’offender sia motivato da una spinta psicopatologica. Premessa fondamentale del profiling è che il comportamento riflette la personalità del criminale non diversamente da come l’osservazione di un’opera d’arte possa indurci a comprendere il profilo dell’artista.
Ad occuparsi inizialmente di criminal profiling fu una squadra di agenti speciali, denominata “The Dirty Doze”, capeggiata dal leggendario John Douglas, autore dei notissimi Mindhunter e Journey into the darkness. Il profilo psicologico consiste nel procedimento di sviluppo delle ipotesi riguardanti le caratteristiche e le motivazioni dell’autore di un’aggressione e si basa anche sulle attuali conoscenze maturate in campo psicologico.
Questo identikit di nuova maniera non permette di identificare l’autore dei delitti seriali ma dà indicazioni sul tipo di persona che ha il maggior numero di possibilità di aver commesso il crimine, che comporta un numero di caratteristiche definite. E’ basato su modelli caratteristici o “fattori di unicità” che differenziano certi individui dalla maggior parte degli altri. Tale strumento di analisi di Polizia è nato per esigenze connesse alla ricerca di autori di reati dai quali non emerge alcun movente convenzionale.
Non sostituisce pertanto l’indagine tradizionalmente intesa ma viene concepito come uno strumento supplementare, una tecnica di sostegno quando ci si trova di fronte ad omicidi apparentemente irrisolvibili con i protocolli canonici d’investigazione.
Si presenta come un processo dinamico che consente agli inquirenti di limitare l’elenco dei sospetti ad un numero definito, permettendo di impiegare al meglio le risorse investigative. George Palermo, psichiatra e studioso del fenomeno dei serial killer, considera il profiling come un’ipotesi di lavoro e non come una soluzione. “Si tratta di un metodo evolutivo che va perfezionato in continuazione grazie a programmi sistematici di interviste fatte a differenti categorie di criminali: serial killer, stupratori seriali, terroristi, dirottatori e piromani. I risultati vengono in seguito integrati dalle applicazioni pratiche di tal tecnica.
Parecchi omicidi, aggressioni sessuali, incendi dolosi che non sono stati risolti sulla scorta delle tradizionali tecniche investigative, si prestano ad essere analizzati diversamente se contengono elementi di prova o informazioni significative sotto il profilo psicologico. Elemento fondamentale del profiling è il cosiddetto Case linkage, vale a dire il procedimento attraverso il quale è possibile stabilire i legami tra casi in precedenza non correlati.
Una categoria di casi che comunemente contiene questi criteri è costituita nell’ipotesi di lust murder, nel quale la vittima apparentemente mostra di aver sofferto, dopo la morte, ferite, oltraggi, manipolazioni, attività esplorative, mutilazioni, eviscerazioni etc.
Gli psicologi e gli autori di profili psicologici qualche volta vengono consultati in merito a questi accadimenti delittuosi nella speranza che la loro preparazione nel campo della scienza comportamentale, possa fornire ipotesi circa l’aggressore che vadano oltre quelle derivate dalle metodologie investigative convenzionali. L’FBI riconosce un tasso di insuccesso del criminal profiling pari al 23%. Gli specialisti del profilo psicologico hanno suddiviso i serial killer in due categorie:
• Il criminale organizzato asociale (intelligente, astuto, che pianifica i propri omicidi e cerca di lasciare meno tracce possibili)
• Il criminale disorganizzato asociale (quasi sempre uno psicotico, meno esperto ed intelligente del criminale organizzato) disordinato anche sulla scena del crimine
La definizione del profilo psicologico richiede convenzionalmente cinque fasi distinte:
• Esame minuzioso della scena del crimine attraverso la raccolta delle informazioni desunte dal sopralluogo tecnico di polizia e/o nel corso delle indagini;
• Classificazione delle informazioni raccolte per poi pervenire alla tipizzazione del crimine, all’individuazione del movente, alla graduazione dei rischi corsi dalla vittima e dall’assassino, alla determinazione dei fattori tempo e spazio;
• Ricostruzione cronologica del delitto e dei comportamenti dell’assassino e della vittima;
• Messa a punto del profilo dell’indiziato le cui componenti dovranno coincidere con gli elementi dell’inchiesta;
• Utilizzazione del profilo sul campo.
Delle parecchie centinaia di serial killer processati all’inizio del XX sec., meno di venti sono stati dichiarati per legge incapaci di intendere e di volere, sebbene molti di essi abbiano tentato, ma inutilmente, di dichiararsi folli, adducendo le più svariate motivazioni.
Ciò è dovuto al fatto che negli USA la definizione legale di follia non solo è differente dalla sua diagnosi medica, ma varia a seconda degli stati. Dalle ricerche effettuate dallo studioso Michael Newton risulta che i due terzi dei serial killer comparsi in giudizio dall’inizio del secolo scorso sono stati condannati a pene detentive variabili; un quarto è stato condannato a morte e di questi il 40% circa è stato giustiziato.
Il profilo psicologico, che resta comunque un’arte deduttiva ed intuitiva, si sta sviluppando su basi statistiche in vista di diventare uno strumento scientifico determinante per la lotta contro i serial killer.
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