Maurizio Giglio nacque a Parigi il 20 dicembre 1920. Suo padre Armando, capitano di fanteria, fu ferito sul fronte francese durante la Grande Guerra e decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Al termine del corso per Ufficiale di complemento del Regio Esercito, frequentato ad Ancona, fu chiamato alle armi nel gennaio del 1940. Nominato sottotenente fu inviato sul fronte francese.
Una volta cessate le ostilità, chiese di essere assegnato come volontario sul fronte greco albanese, laddove si distinse per coraggio e spirito di sacrificio non comuni, rischiando più volte la vita per salvare quella dei suoi soldati esposti alle repentine sortire nemiche.
Ferito gravemente nella battaglia del Kurvalesch, a seguito della quale fu decorato con una Medaglia di Bronzo al Valor Militare, nel gennaio 1941 ritornò in Italia con la nave ospedale “Aquileia”.
Dopo alterni periodi trascorsi in luoghi di cura e in licenze di convalescenza, durante i quali si laureò in Giurisprudenza, iscrivendosi, poi, all’Albo dei Procuratori Legali di Roma, fu richiamato in servizio ed assegnato alla Commissione Italiana di Armistizio con la Francia con sede a Torino, ove rimase fino al gennaio 1943, conseguendovi la promozione a Tenente.
Chiese ed ottenne di tornare in forza ad un reggimento. Rimpatriato fu assegnato al deposito dell’81° Fanteria di Roma con sede in Via delle Milizie.
Unitamente ad altri militari collaborò attivamente alle operazioni di soccorso delle centinaia di Romani rimasti vittima dei tremendi bombardamenti del 19 luglio e 13 agosto del 1943.
Dopo l’8 settembre 1943, a Porta San Paolo prese parte alla “guerra di popolo” per la difesa di Roma dall’occupante nazista, combattendo strenuamente fianco a fianco a molti eroici cittadini e soldati, molti dei quali appartenenti al Reggimento di appartenenza.
Deciso a continuare ad oltranza la lotta ai nazifascisti a fianco delle truppe Alleate, che già risalivano la Penisola, non esitò a passare le linee nemiche e a mettersi a disposizione della Quinta Armata.
Facendo leva sull’ardimento e sulla capacità evidenziate nel viaggio pericolosissimo appena compiuto, i Servizi d’Informazione statunitensi lo convinsero a diventare un loro agente e a fare ritorno a Roma, divenuta “Città aperta”, per acquisire informazioni di vitale importanza militare ai fini dell’avanzata Alleata verso Nord.
il Ten. Giglio quindi, con altri suoi commilitoni, ritornò nella Capitale con una radiotrasmittente e i relativi cifrari, rischiando in più di un’occasione di essere scoperto e fucilato come spia.
Con l’aiuto del padre, che allora era Questore di Bologna e già Direttore della 2^ Zona della OVRA, riuscì ad arruolarsi nel Corpo degli Agenti di P.S., divenendo Tenente ausiliario del Corpo degli Agenti di P.S. presso la Divisione Speciale di Polizia di Roma,
Assegnato allo Squadrone a Cavallo di stanza a Villa Borghese, seppe tessere una fitta rete di informatori, avvalendosi della collaborazione sia dei militari del Fronte Militare Clandestino del Col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo che dei socialisti delle “Brigate Matteotti”.
La sua opera si rivelò, altresì, preziosissima nel preparare alcune basi sulla costa tirrenica (grossetano) per facilitare, con l’aiuto delle motosiluranti alleate, il passaggio nell’Italia Liberata di molti antifascisti braccati dalle SS: Gen. Accame, il Comandante Calosi, l’Ing. Morris, gli Ufficiali Paolo Poletti e Clemente Menicanti, prigionieri alleati evasi dai campi di internamento, e due delegati dei partiti del fronte antifascista per il Congresso di Bari.
Con l’arrivo a Roma nell’imminenza dello sbarco alleato ad Anzio del Ten. Hopkins, responsabile delle attività dell’OSS nella Capitale, l’attività del Ten. Giglio si fece più frenetica e rischiosa.
Non una ma tre radiotrasmittenti erano affidate alla sua responsabilità e da lui personalmente spostate frequentemente in varie parti della Capitale per evitarne l’individuazione da parte della Gestapo e dei reparti Speciali del Questore Caruso.
L’abilità negli spostamenti da lui messa in campo e la sua prudenza fecero si che per cinque lunghi mesi neanche i suoi più stretti collaboratori sospettassero minimamente l’importanza e complessità della sua missione.
Le informazioni sui movimenti e i concentramenti di truppe naziste nella Capitale e dintorni, da lui filtrate e fatte trasmettere in particolare da “Radio Vittoria”, risultarono così dettagliate da consentire agli Alleati di bombardare gli obiettivi segnalati con relativa facilità e precisione, disarticolando l’apparato bellico nemico e facendo risparmiare molte perdite umane ai contingenti impegnati duramente sui fronti di Anzio e di Cassino.
La sorte cominciò ad essergli avversa allorquando fu sorpreso dall’autista del Segretario federale del PFR Pizzirani mentre fotografava con un apparecchio miniaturizzato, marca Minox, le fasi di caricamento sui torpedoni di alcuni antifascisti da lungo tempo ricercati, catturati all’interno della Basilica di San Paolo fuori le mura, tra cui i generali Monti e Fortunato del Regio Esercito.
Per questo Maurizio Giglio venne sottoposto ad un provvedimento disciplinare che si concluse con la comminazione di un richiamo orale.
Decisivo anche in questo caso fu l’intervento del padre sul Questore Caruso.
Ciò non valse, però, a distogliere sul suo conto i sospetti della SS che presero a pedinarlo con assiduità per sospettata connivenza con gli antifascisti.
Si legò a sincera amicizia con Mons. Didier Nobels, parroco di San Giuseppe all’Arco di Travertino, anch’egli organizzatore di una rete di informatori denominata “banda dell’Arco di Travertino” .
La formazione partigiana era costituita da civili e militari, in prevalenza marinai, che dopo l’8 settembre operava in clandestinità nei pressi della Chiesa di campagna di San Giuseppe
Avendo appreso dell’arresto del suo collaboratore Enzo Buonocore, addetto all’apparato “Radio Vittoria”, che era stato avvicinato da Walter Di Franco, una spia di Koch e poi arrestato dai componenti della stessa banda, riuscì ad avvisare in tempo i compagni ma fu arrestato dagli uomini della Banda capeggiata da Pietro Koch, mentre tentava di recuperare una delle radiotrasmittenti a lui assegnate.
Nell’insospettabile Pensione “Oltremare” di Via Principe Amedeo, 2, adibita a luogo di tortura dagli scherani di Koch, Giglio per sei giorni subì torture inaudite, senza mai avere un istante di cedimento, accollandosi tutte le responsabilità pur di non rivelare i nomi e i nascondigli degli amici patrioti.
Intanto, il nome di Maurizio Giglio era stato aggiunto alla lista delle 330 persone che dovevano essere eliminate per rappresaglia dopo l’attentato di Via Rasella, ove perirono 33 soldati tedeschi appartenenti all’undicesima compagnia del 3° Battaglione del Reggimento di polizia SS Bozen (l’ultimo di essi perirà la mattina del 24).
Uno dei primi ad essere trucidato fu il giovanissimo Maurizio Giglio (aveva appena ventitrè anni)
Il 26 marzo 1944 fu il Capo del Corpo di Polizia della RSI Eugenio Cerruti a dare l’annunzio della morte di Maurizio Giglio al genitore Armando.
Al Ten. Maurizio Giglio sono stati intitolati: la sede del Reparto Volanti della Questura di Roma, un’aula alla Scuola Superiore di Polizia, una via in zona Trionfale a Roma e un’altra a Santa Marinella, un monumento e una via a Patrignone di Montalto (AP).
Numerose sono, altresì, le lapidi che lo ricordano nella Capitale: in Piazza Navona (nelle adiacenze della Chiesa di Sant’Agnese al Circo Agonale), in Largo della Gancia, 1.
A Maurizio Giglio è stata conferita una Medaglia d’Oro al Valor Militare, alla memoria.
FOTO: Maurizio Giglio (WIikipedia)
|