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Gennaio-Febbraio/2012 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
Sicurezza in mare
di Carlotta Rodorigo

Tutto il mondo ne parla. Una nave da crociera, la Costa Concordia nel mese di gennaio u.s. si è incagliata in uno scoglio adiacente all’Isola del Giglio, isola italiana nota per il suo richiamo turistico e la vicinanza a Porto Santo Stefano, meta di turismo internazionale.
Favoriti da prezzi accessibili praticati dalla compagnia nella bassa stagione, i turisti raggiungevano la cifra di circa 3.000 più 1.000 persone di equipaggio. Non si ha ancora il numero esatto delle persone decedute e la causa di questa tremenda collisione.
La magistratura indaga su questo incidente inverosimile.
Che cosa può contribuire ad aumentare il numero di collisioni e affondamenti nei mari di tutto il mondo?
Il 12 ottobre 1978 la petroliera Christos Bitas in viaggio da Rotterdam a Belfast carica di petrolio greggio si imbatté in un denso buco di nebbia. Radar difettosi non segnalarono il fondale troppo basso e la nave si scagliò sulla scogliera riversando in mare 35.000 tonnellate di petrolio inquinando le coste Gallesi.
Ed ancora l’8 gennaio 1979 la petroliera francese Bételgeuse s’incendiò nella Baia di Bantry, in Irlanda. In 20 minuti la nave era avvolta dalle fiamme, 50 morti. La causa era un errato sistema di carico.
Il 19 luglio 1979, la petroliera greca Atlantic Empress di 292.000 tonnellate affondò al largo di Tobago, nelle Indie occidentali per essere entrata in collisione con un’altra nave, la liberiana Aegean Captain.
Nonostante i grandi progressi dei sistemi di sicurezza e della tecnologia marina la perdita di navi e di vite umane è ancora molto alta.
Molte le navi distrutte dalle intemperie nel Mare del Nord, nella Manica, lungo le coste britanniche che sono fra le acque più congestionate del mondo.
Per giunta le nuove navi cono adibite al trasporto di gas e prodotti chimici che risultano più pericolose per l’esplosività e la tossicità.
Sono evitabili questi disastri?
In massima parte sono imputabili ad errori umani. L’errore più comune è l’uso errato del radar. Gli ufficiali di marina mercantile non risultano addestrati ad utilizzarlo,
la collisione della nave greca Atlantic Empress sotto una pioggia battente non rallentò la velocità e il comandante salì in plancia pochi istanti prima dello scontro sostituendo un radio operatore non qualificato alla navigazione.
Nel maggio del 1981 la Pacific Charger s’incagliò durante il viaggio inaugurale in Nuova Zelanda. Il comandante ammise di non aver mai seguito un corso regolare di radar.
La crescita rapida e la mancanza di tecnologia applicata si riscontra nella quantità degli incidenti.
E’ uso comune che alcuni paesi facciano affari permettendo a navi di proprietà straniera, di farsi immatricolare sotto la loro bandiera.
Dopo la seconda guerra mondiale, Panama e Liberia hanno offerto bandiera di copertura ed armatori giapponesi, americani, greci e altri Paesi europei si sono messi al riparo di comode coperture ingaggiando ufficiali con precarie qualificazioni professionali.
Da tempo gli Stati Uniti hanno preso l’iniziativa di proteggere le proprie coste contro le navi poco sicure.
Da quando la Argo Merchant, nave liberiana, naufragò sulle secche al largo del Massachussetts riversando in mare 28 milioni di litri di petrolio, gli ufficiali della Guardia Costiera americana sale da bordo per controllare tute le imbarcazioni in arrivo.
Spesso gli interessi commerciali fanno insabbiare le inchieste, essendo in gioco somme enormi per assicurazioni e indennizzi.
Gli armatori e amministratori non tengono conto dei rischi, non istruiscono gli equipaggi sull’uso delle misure di sicurezza e non usano per le funzioni adeguate uomini in modo opportuno.
Se si intende porre fine ai pericoli in mare occorre imporre rigorosi criteri di sicurezza e competenza specialmente per navi da crociera, e navi che trasportano carichi dannosi.
Ogni nave, con il suo carico vale miliardi di lire e vite umane, non affidiamole ad incompetenti.

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