E’ dal 2004 che gli studiosi e il grande pubblico
si sono appassionati alle vicende del cosiddetto
Papiro di Artemidoro. Dimostrata l’inautenticità
del manufatto e l’autore ottocentesco del testo, oggi resta
da scoprire l’identità del secondo falsificatore
che potrebbe essere ancora vivo e in piena attività
Una storia troppo bella per essere vera. Una favola in cui, quelli in buona fede, hanno voluto credere perché si ha sempre fame di illusioni e in cui, d’altro canto, quelli in malafede, hanno agito per quell’interesse che da sempre muove il mondo: il danaro.
Il giallo, che oggi tale non è più, del Papiro di Artemidoro è uscito presto dall’interesse dell’enclave di studiosi, per approdare alle cronache e appassionare il comune cittadino, tenendolo per anni sul filo del botta e risposta tra sostenitori del falso e assertori del vero. Mano mano che le nuove acquisizioni filologiche e scientifiche andavano verso la strada dell’inoppugnabile dimostrazione della falsità del papiro, la voce degli assertori dell’autenticità si faceva sempre più flebile, ma ancora suonando la gran cassa contro chi, per invidia? per spirito di contraddizione?, per amore del vero?, si ostinava a produrre una messe tale di prove da zittire chiunque.
L’inizio dell’avventura
Tutto ha inizio nell’ottobre del 2004 quando la Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo annuncia di essersi aggiudicato (per la cifra di 2 milioni e 750mila euro) un papiro del I secolo a.C. contenente un frammento del geografo greco Artemidoro, ovvero la più antica carta geografica esistente. L’intenzione della Compagnia è di darlo in comodato gratuito alla Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino. L’operazione è stata sollecitata dall’allora Ministro dei Beni Culturali, Giuliano Urbani, e avallata scientificamente da due insigni studiosi, Salvatore Settis, all’epoca rettore della Normale di Pisa, nonché nome illustre in ambito dell’archeologia classica, e il papirologo milanese Claudio Gallazzi. A vendere il papiro è un commerciante amburghese di origini egizio-armene, Serop Simonian, che aveva già al suo “attivo” vendite poco chiare, anzi falsi accertati, al Museo tedesco di Hildescheim e il cui fratello era stato ucciso negli Stati Uniti nell’ambito di una vicenda riguardante il traffico di antichità. Si arriva così al febbraio del 2006, anno delle Olimpiadi invernali a Torino, in cui, dopo un enorme battage pubblicitario, il papiro viene esposto a palazzo Bricherasio proprio nella città della Mole. La mostra è inaugurata dall’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
Il primo colpo all’autenticità
Il professor Luciano Canfora in quei giorni doveva aggiornare la voce “papiro” dell’Enciclopedia Italiana con le acquisizioni degli ultimi 15 anni. Illustre filologo, storico, nonché editorialista del Corriere della Sera, Canfora osserva il papiro, ne trascrive il testo e lo traduce. Qualcosa non lo convince. Arriva alla conclusione che si tratti di un falso: il testo, oltre a contraddire ciò che il vero Artemidoro diceva delle colonne d’Ercole, contiene un frammento di Artemidoro che già si aveva, grazie a Costantino VII (imperatore del X secolo); il guaio è che nel papiro quel brano si presenta come emendato da studiosi moderni. Ora: come potrebbe essere autentico il papiro se contiene correzioni posteriori? C’è di più: nella quarta colonna, il papiro riproduce, peggiorandoli, brani di Marciano vissuto al più presto ai tempi di Costantino, ovvero quattro secoli dopo Artemidoro. I conti proprio non tornano…
Botta e risposta
A partire dal settembre 2006 comincia un botta e risposta giornalistico tra Luciano Canfora e Salvatore Settis sui due principali quotidiani italiani, rispettivamente Corriere della Sera e La Repubblica. Gli studiosi di tutto il mondo si appassionano al caso, così come il comune cittadino che segue le vicende del papiro come un giallo a puntate o un feuilleton d’antan. Si intensifica anche la produzione di testi scientifici e filologici volti a dimostrare l’esattezza dell’una o dell’altra tesi. Ad oggi la messe cartacea in merito è considerevole. È sufficiente cercare su un qualsiasi motore di ricerca di Internet la voce “bibliografia papiro artemidoro” per rendersene conto. Per amore di correttezza citiamo qui due volumi, il primo di Salvatore Settis, pubblicato da Einaudi nel 2008 Artemidoro. Un papiro dal I al XXI secolo; il secondo di Luciano Canfora, Sellerio, maggio 2011, La meravigliosa storia del falso Artemidoro.
La mostra di Berlino
Nel 2008 all’Altesmuseum di Berlino si inaugura una mostra che dovrebbe consacrare il papiro sulla scena internazionale, finanziata dalla Compagnia di San Paolo, coprendo le spese assicurative e il trasferimento di oggetti d’arte esposti a contorno del papiro. Si realizza anche un maxi cofanetto dell’edizione critica messo in vendita a 480 euro. Il mattino stesso della presentazione, Luciano Canfora spedisce via posta elettronica ai partecipanti un libello bilingue (italiano e tedesco) scritto con Luciano Bossina, dal titolo Ma come fa a essere un Papiro di Artemidoro? Già nei mesi precedenti il professor Canfora aveva pubblicato un’edizione critica, condotta sul catalogo della mostra torinese, tesa a dimostrare l’inautenticità del papiro. Nei mesi precedenti si susseguono le ricerche a cui partecipa anche Silio Bozzi, vice questore aggiunto della Polizia di Stato, il quale dimostra in modo inoppugnabile che la foto fornita da Simonian sul “Konvolut” (presunta matrice archeologica del famigerato papiro) è un fotomontaggio. Il “Konvolut” sarebbe stato un ammasso di papier-maché che di solito costituiva un’imbottitura per una cavità, come poteva essere la bocca di un coccodrillo imbalsamato. Se infatti in un primo momento si era detto che il papiro sarebbe stato ritrovato in una maschera funeraria, al momento della mostra berlinese e relativa pubblicazione di edizione critica (quella da quasi 500 euro, per intenderci), fu cambiata versione e diffusa la notizia che si trattava invece di un “riempitivo di oggetto sconosciuto”. Per il papiro era stata poi fornita la storia nota come “Teoria delle tre vite”: secondo gli autenticisti, la singolare e straordinaria compresenza di testo e disegni sul Papiro si spiegherebbe con una travagliata vicenda. Il papiro, destinato ad essere una copia di lusso dei Geographoumena, doveva contenere il testo dell’opera geografica intervallato da mappe (una modalità di costruzione dei manoscritti geografici di cui non possediamo alcun altro esempio da un’antichità così remota); un errore nella realizzazione della prima mappa, che avrebbe dovuto essere – secondo questa ipotesi poi accantonata – una raffigurazione dell’intera Spagna, avrebbe causato l’interruzione della copiatura. Il papiro prodotto fino a quel momento, invece di essere distrutto, sarebbe stato riutilizzato come album per schizzi e bozzetti (cahier d’artiste) per pittori che intendessero mostrare anticipatamente ai propri committenti i motivi iconografici da realizzare. Di qui le raffigurazioni di animali sul verso. Infine, esaurito lo spazio sul verso, il papiro fu ancora impiegato negli spazi rimasti liberi sul recto, per contenere le esercitazioni grafiche dei giovani apprendisti pittori di bottega. Dopo più di un secolo di reimpieghi, il papiro sarebbe divenuto infine carta da macero. Con l’abbandono, da parte di Settis, della teoria delle Tre vite, questo castello è crollato.
Il primo e il secondo falsario
Ma chi è, o sono, i falsificatori del papiro? Il professor Canfora sul primo falsario non ha dubbi. Si tratta di un intraprendente greco, Simonidis il suo nome, che si beffò di molti studiosi e riuscì a manipolare persino la propria data di morte. Dato per morto nel 1867 per un’epidemia, ricomparve in un convento armeno dove pare sia morto nel 1878, ma la vera dipartita fu in Albania nel 1890, come ha svelato lo stesso Canfora sulla base di un necrologio apparso sul Times di Londra. Sarebbero tre i papiri fatti da Simonidis che con tutta probabilità sono rimasti a lungo conservati nel fondo Simonidis presso il Museo di Liverpool, descritti anche da James Farrer all’inizio del ‘900 e definiti tre grossi sigari scomparsi in epoca recente, cioè negli anni ’70. I tre pezzi, accorpati tra loro e arricchiti di nuovi elementi (larga parte dei disegni di animali del verso) sono quindi ricomparsi come un unicum a formare il falso Papiro di Artemidoro. Questo significa, come raccontato in un convegno a Torino lo scorso 15 novembre, che esiste un secondo falsario. A margine della giornata di studi, il professor Canfora ha dichiarato: «È una soddisfazione poter dire che dopo aver scoperto negli anni precedenti la firma del primo falsario, abbiamo identificato la persona che ha messo insieme i tre pezzi, cioè colui che potremmo chiamare il secondo falsario. Un signore che oggi è ancora forse vivente».
Un falsario del ‘900 quindi che avrebbe recuperato i tre frammenti simonidiani e disegnato una serie di animali sul lato B che si susseguono in modo coerente, al contrario di quanto invece avviene sul lato A del papiro (o dei papiri).
Un uomo di cui non si conosce il nome dunque ma di cui «abbiamo l’identikit – ha rivelato il professor Canfora, aggiungendo – Esistono certamente degli ambienti nei quali si contribuisce alla diffusione di pezzi che danno l’apparenza dell’autenticità e che si lanciano nel mercato». Come ha ipotizzato Silvia Ronchey sulle pagine di La Stampa, lo scorso novembre, quest’uomo “deve aver avuto il manufatto tra le mani per un congruo lasso di tempo. Se Ludwig Koenen, principe della papirologia mondiale, ha riferito di aver visto immagini del reperto che contenevano dettagli differenti da quelli della versione attuale, il cosiddetto papiro era noto agli egittologi Shelton e Grimm – come rivelano gli stessi editori critici – fin dal 1981: ben prima che uno di loro, Claudio Gallazzi, cominciasse a perorarne appassionatamente l’acquisto”. Silvia Ronchey si chiede poi: chi mai può essere quest’uomo, di chi è stato “uomo di paglia” il commerciante Simonian?
A questo punto se pare certa la conclusione sul giallo dell’autenticità del papiro, si apre un altro fronte, estremamente appassionante: scoprire chi ha emulato il lavoro, in sé formidabile come sostiene lo stesso Canfora, di Simonidis. Dare un volto al falsario che si aggira tra noi.
Non è superfluo aggiungere che né Simonidis, né il suo protettore e mentore Charles Mayer, commercializzarono quei tre pezzi (forse per l’incidente della scrittura andata a macchiare il lato B), dunque non ne cavarono alcun utile; è il secondo falsario che ha potuto trarre, dalla vendita, un lucro immenso.
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