Fino a dicembre 2010 per i gay nelle forze militari
statunitensi era in vigore la legge DADT, acronimo
per Don’t ask, don’t tell (non chiedere, non parlare) che però
dopo mesi di pressioni è stata abrogata dal Senato americano. E visto
che si teme una prossima vittoria presidenziale
repubblicana, un gruppo di gay conservatori, ha deciso di intraprendere
un’azione legale per un pronunciamento contro DADT da parte
di una Corte, rendendo così definitiva la questione
Il loro video è ormai una hit su youtube con oltre 100.00 visualizzazioni in meno di un mese e persino la CNN li ha mostrati al grande pubblico. Per Angie, John, Tobias, Davin, Brian e tutti gli altri, una decina in tutto, che compongono l’informale gruppo musicale in seno alle Forze Armate Usa è un enorme successo, oltre una soddisfazione personale e al contempo politica. Perché i militari che hanno inscenato, tra gli altri, una ottima versione di “Rolling in the deep” di Adele sono gay. E il canale di youtube che mostra le loro esibizioni e che ha come oggetto “dichiararsi gay nell’esercito” si chiama appunto Are you suprised? A prima vista ci sarebbe da essere sorpresi a vedere un gruppo di militari gay mostrare con serenità i loro volti e i nomi senza subire ritorsioni. Come è piacevolmente sorprendente il coming out registrato su una jeep in piena corsa nel deserto di un militare che, a bruciapelo, dichiara di essere gay al commilitone che, con assoluta serenità, lo rassicura “tranquillo amico, è tutto a posto”. In effetti per i militari gay è ormai tutto a posto, o quasi. Il 20 settembre ufficialmente la famigerata Don’t Ask Don’t Tell ha cessato di esistere.
La legge, conosciuta con l’acronimo di DADT, dal 1993, data in cui era stata varata dall’allora presidente Bill Clinton, è stata un autentico incubo per tutti i militari gay sia uomini che donne.
Concepita coma una sorta di compromesso tra l’idea iniziale di Clinton che avrebbe voluto consentire a coloro che sono apertamente gay di far parte delle Forze Armate e i conservatori repubblicani ma anche democratici, tra cui il senatore Sam Nunn, che consideravano una minaccia la presenza di omosessuali dichiarati nell’esercito, la DADT avrebbe permesso la presenza di militari gay a condizione che fossero anonimi e discreti. I vertici dell’esercito non avrebbero chiesto nulla riguardo all’orientamento sessuale dei militari e i diretti interessati avrebbero dovuto far calare una coltre di silenzio sulla loro vita sessuale e affettiva. Un compromesso che si potrebbe definire all’italiana. E che si è rivelato un fallimento. Come risultato circa 14.000 soldati sono stati espulsi dall’esercito, la stragrande maggioranza dei quali in maniera disonorevole. Perché il semplice fatto di essere omosessuali era considerato un disonore indipendentemente dal coraggio mostrato in battaglia, dalle abilità tecniche e scientifiche, dal comportamento esemplare, etc.
L’omosessualità come disonore quindi. Un concetto legato ad un’interpretazione conservatrice e tradizionalista dell’orientamento sessuale di vecchia data che, se nella società civile era pervasivo, nell’esercito era istituzionalizzato. Da lungo tempo. Secondo Gregory Hareck autore di Lesbians and Gay Men in the U.S. Military: Historical Background “Don’t Ask, Don’t Tell Revisited” il luogotenente Frederick Gotthold Enslin è stato nel 1778 il primo a essere espulso dall’esercito per sodomia, termine usato all’epoca per indicare l’orientamento omosessuale.
Lo stesso autore che ha ricercato la storia del trattamento degli omosessuali nelle Forze Armate ricorda come, intorno alla Seconda Guerra Mondiale, l’esercito sottoponesse i reclutati a uno screening psicologico ed essendo all’epoca l’omosessualità considerata una psicopatologia dagli psichiatri, essere gay era motivo sufficiente per l’espulsione, con disonore, dall’esercito. Nei decenni successivi le cose sono rimaste grosso modo immutate. Anche se, secondo la storica Lilian Faderman, autrice di Odd Girls and Twilight Lovers: A History of Lesbian Life in Twentieth-Century America, occasionalmente e soprattutto in tempi di carenza di reclutamento o di necessità come durante la guerra del Vietnam, ci sono stati casi di militari gay a cui era stato consentito di restare nell’esercito. I lavori di ricerca degli storici e del Palm Center che da anni si occupa di studio e analisi riguardanti la presenza di persone gay, lesbiche e transsessuali nell’esercito sono stati fondamentali per portare alla luce non solo le contraddizioni della legislazione omofoba ma anche per far comprendere alla società statunitense quale spreco di risorse umane oltre che finanziarie fosse continuare a formare per poi espellere o addirittura negare l’ingresso a persone valide solo ed esclusivamente sulla base dell’orientamento sessuale. I casi di militari gay e lesbiche espulsi dall’esercito pur avendo medaglie al valore sono innumerevoli. E’ il caso di Oliver Sipple che nel 1975 ha sventato l’assassinio del presidente Ford. O di Leonard Matlovich, ferito da una mina durante la guerra in Vietnam e, divenuto, dopo la sua espulsione dall’esercito, il primo uomo gay dichiarato membro delle Forze Armate a finire, nel settembre del 1975, sulla copertina di Time Magazine. “Mi hanno dato due medaglie per aver ucciso due uomini e mi hanno espulso per amarne uno” recita l’epitaffio sulla tomba di Matlovich, morto nel 1988. Storie come quella di Matlovich e di Sipple sono state ricordate in passato anche in forma artistica. Outranks, curata da Steve Estes, professore associato di storia alla Sonoma State University, era una mostra di lettere, oggetti personali e testimonianze di military gay, creata proprio per dare voce e volto agli stessi. Anche la televisione ha tratto ispirazione da storie reali di militari gay, come in Serving in Silence: The Margarethe Cammermeyer Story, film per la tv del 1995 ed interpretato da Glen Close che racconta la storia di una colonnella lesbica. Recentemente il fotografo Jeff Sheng ha creato una mostra fotografica dal titolo Don’t Ask Don’t Tell che presenta ritratti di militari gay e lesbiche. Le immagini, solo in apparenza banali, hanno una forza evocativa fortissima. I volti nascosti o in ombra rappresentano con chiarezza l’anonimato forzato e la cancellazione di una parte importante della vita di una persona che i militari gay si trovano ad affrontare. (www.jeffsheng.com). Dagli anni 70 in avanti la lotta per porre fine al bando antigay nelle Forze Armate Usa è andata avanti senza sosta. Ricerche, libri, azioni legali, manifestazioni, campagne informative. Per il movimento gay porre fine alla discriminazione nell’Esercito era diventata una priorità se non altro perché altre rivendicazioni godevano di meno appoggi a livello politico e sociale.
L’elezione di Clinton nel 1992 aveva rappresentato per la prima volta la reale possibilità che finalmente le porte dell’esercito si aprissero ai gay dichiarati. Ma all’epoca i gruppi conservatori, legati in massima parte al partito repubblicano e alla destra cristiana conservatrice erano riusciti a organizzare una forte mobilitazione che aveva fatto fare marcia indietro a Clinton. Il risultato è stato negli anni successivi una sorta di caccia alle streghe informale. Secondo dati citati da Associated Press e dal Boston Globe alla fine degli anni 2000 e da studi del Servicemembers Legal Defense Network dall’inizio di DADT fino al 2001 il numero di militari gay espulsi era aumentato in maniera esponenziale. Solo dopo il 2001 si assiste a una graduale riduzione delle espulsioni, forse anche a causa del fatto che, essendo gli Stati Uniti sotto minaccia terroristica da parte di Al Qaeda e dei vari gruppi legati al terrorismo islamico, magari non era davvero il caso di allontanare preziose risorse umane. Come un nutrito gruppo di militari esperti nella conoscenza della lingua araba espulsi perché gay. Tra i quali Dan Choi che, nel corso dell’ultimo anno, è stato tra i più risoluti militanti per la causa dei gay nell’esercito, arrivando con alcuni commilitoni ad incatenarsi ai cancelli della Casa Bianca per protestare contro la mancanza di volontà politica da parte del Presidente Obama per arrivare alla totale eliminazione di DADT. La storica elezione di Barack Obama infatti aveva rappresentato, dopo anni, una nuova possibilità, per porre fine a DADT. E lo stesso Presidente aveva promesso in campagna elettorale che, se eletto, avrebbe fatto di tutto per aprire le porte dell’esercito ai gay. La stessa promessa che, a suo tempo, aveva fatto Clinton. Per questo la preoccupazione dei vari gruppi che lottavano per la riforma era palpabile. Soprattutto perché a quasi due anni dall’elezione, nel 2010, ancora non si era mosso un granché e c’era il grosso rischio che lo status quo restasse invariato. Proprio nel 2010 la mobilitazione dei vari gruppi gay è aumentata di intensità. Già a ottobre del 2009 una marcia su Washington a cui avevano partecipato, oltre a diverse centinaia di migliaia di persone anche Lady Gaga e Cynthia Nixon, l’attrice dichiaratamente lesbica di “Sex and The City”, aveva avuto tra le rivendicazioni la fine di DADT. La stessa Lady Gaga, paladina dei diritti dei gay, aveva partecipato agli Mtv Awards del 2010, accompagnata da quattro militari gay, tre uomini e una donna, in alta uniforme al fine di sensibilizzare ulteriormente il pubblico alla causa. E, tramite Twitter, aveva contattato alcuni politici spingendoli a votare in modo da porre fine una volta per tutte a DADT. Nel gennaio del 2010, nel corso del discorso alla nazione per la prima volta Barack Obama annunciava ufficialmente di voler porre fine a DADT. Dopo mesi di pressioni, incontri ufficiali e ufficiosi, riunioni con i più alti gradi delle Forze Armate, finalmente a fine dicembre 2010 il Senato americano con un voto di 65 senatori a favore e 31 contrari ha messo finalmente la parola fine alla legislazione antigay. Un voto favorevole a maggioranza che ha sorpreso molti osservatori politici visto che 8 senatori repubblicani e 2 indipendenti si erano schierati a favore dell’inclusione dei gay. Se la Camera dei rappresentanti aveva qualche giorno prima votato in tal senso con l’ampia maggioranza di 250 a favore e 175 voti contro, il voto al Senato era più incerto, e avrebbe rischiato di compromettere seriamente l’eliminazione di DADT avvenuta quasi in fretta e furia a fine dicembre del 2010 non a caso perché dal gennaio del 2011 i componenti della Camera e del Senato sarebbero cambiati a seguito delle votazioni di medio termine svoltesi nel novembre del 2010 e i nuovi arrivati in maggioranza repubblicani e conservatori avrebbero bloccato l’iter legislativo teso a eliminare DADT o avrebbero bocciato con i voti la proposta di legge. Per Obama si è trattato di una vera prova di forza tesa inoltre a non perdere la faccia con l’elettorato gay che nel corso della campagna elettorale del 2008 lo aveva sostenuto con passione. Essendo politicamente poco conveniente un appoggio incondizionato alla causa del matrimonio gay e quasi impossibile da realizzare a livello federale, la legge contro la discriminazione sul luogo di lavoro per orientamento sessuale, eliminare DADT era praticamente l’unica cosa concreta che Obama potesse fare per dimostrare di aver mantenuto fede alle sue promesse elettorali. Negli Usa, a ogni tornata elettorale, alcune legislazioni rischiano di cambiare. Come è stato il caso della “Gag rule”, legislazione che proibisce che i fondi Usa vadano a organizzazioni umanitarie che lavorano affinché l’aborto diventi legale nei vari Paesi in cui operano o anche solo che forniscano informazioni sull’interruzione volontaria della gravidanza. La legislazione, inizialmente voluta da Bush Senior, era stata eliminata da Clinton e poi nuovamente varata da Bush Junior per essere infine nuovamente eliminata da Obama. Per DADT il rischio è lo stesso visto che un nutrito gruppo di candidati repubblicani alla presidenza per le future elezioni del 2012 si sono chiaramente espressi a favore del ripristino di DADT. Anche se il partito repubblicano e la destra conservatrice sono più mobilitate sul fronte della lotta contro le eventualità che il matrimonio gay diventi legalmente valido, la possibilità che un futuro presidente repubblicano, magari appoggiato da una cospicua maggioranza di eletti, decida di ripristinare la legislazione antigay, non è da escludere in maniera totale. Per questo i Log Cabin Republicans, gruppo di gay repubblicani, ha deciso di intraprendere un’azione legale, tuttora in corso, per fare in modo che ci sia un pronunciamento contro DADT in maniera chiara e definitiva da parte di una Corte, cosa che vanificherebbe futuri possibili sforzi da parte dei conservatori per riattivare DADT. C’è da dire che una volta mostrato con chiarezza, come in effetti è, che la presenza di militari gay e lesbiche non pregiudica in alcun modo la coesione e l’efficienza dei vari reparti dell’esercito, rivotare DADT significherebbe solo agire nel nome della discriminazione. A tale proposito c’è da dire, proprio per mostrare l’inutilità e la stupidità di DADT in passato i vari gruppi gay avevano invitato negli Usa e fatto ricerche su vari eserciti che assolutamente sono inclusivi nei confronti del personale gay: Canada, Israele, Olanda, Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia, Daninarca, Spagna, Sudafrica, Uruguay, Belgio, Argentina, Irlanda, Perù, Filippine, Svizzera, Francia . Non che in queste nazioni la non discriminazione sia arrivata senza lotte e senza fatica. Anzi. In diversi casi solo di recente è stato permesso a gay e lesbiche di far parte dell’esercito. L’Australia ha eliminato il bando antigay nel 1992 e ora esiste la Defence Force Gay and Lesbian Information Service, gruppo informale di riferimento per militari gay. Sempre nel 1992 anche il Canada, a seguito di una lunga battaglia giudiziaria, ha aperto le porte ai militari gay e da allora le cose sono migliorate. Secondo lo studio Effects of the 1992 Lifting of Restrictions on Gay and Lesbian Service in the Canadian Forces: Appraising the Evidence, pubblicato dal Palm Center nell’aprile del 2000, non solo la coesione dei battaglioni non è stata minacciata dalla presenza di gay e lesbiche dichiarati ma le performances dei vari reparti non ne hanno minimamente risentito. Il giornalista John Tatrie ha dichiarato in un articolo pubblicato su Metro Ottawa nell’agosto del 2010 che “nel corso di 20 anni le Forze Armate canadesi sono passate da essere un’organizzazione omofobica che attivamente espelleva i propri membri gay e lesbiche ,fino a diventare uno dei migliori esempi al mondo di integrazione”. Anche Israele, nazione fortemente militarizzata per ragioni di sicurezza, è un esempio di integrazione. E anche in questo caso l’inclusione dei militari gay non è avvenuta senza lotte. Se fino al 1980 i gay venivano espulsi dall’esercito, gradualmente a partire dal 1983 Tzahal, acronimo ebraico per Israel Defence Forces ha aperto le porte ai militari gay. In un’intervista al San Petersburg Times David Saranga, console israeliano a New York ha dichiarato nell’ottobre del 2010 “Si tratta di un non-problema. Puoi essere un ottimo ufficiale, creativo e coraggioso e essere gay allo stesso tempo.” Nel 2009 Bamahane la rivista ufficiale dell’esercito ha anche dedicato un numero speciale con ritratti di militari gay. E soldati israeliani partecipano, seppur a titolo personale, al Gay Pride di Tel Aviv. Sempre nel 2009 James Wharton è stato il primo militare gay ad apparire sulla copertina della rivista Soldier, organo ufficiale delle Forze Armate Britanniche. James è un esempio vivente di integrazione gay tra i militari. Ma anche in Gran Bretagna l’inclusione è arrivata non senza fatica. Solo nel 2000, a seguito di un’azione giudiziaria promossa da quattro militari gay espulsi dall’esercito e arrivata fino alla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo il Ministry of Defence ha eliminato il bando antigay. Dopo 10 anni Proud to Serve è un network ufficiale per militari gay che, tra l’altro, possono marciare in uniforme alle manifestazioni per il Gay Pride, giornata in cui vengono effettuate anche campagne di reclutamento; la Royal Air Force ha di recente ottenuto il massimo punteggio nel Workplace Equality Index, monitoraggio sul trattamento di lavoratori gay effettuato ogni anno da Stonewall, organizzazione nazionale che si batte per i diritti degli omosessuali. Da questi esempi si deduce che anche negli Usa, seppur con grande ritardo, la strada va verso l’accettazione e la non discriminazione di gay e lesbiche nelle Forze Armate come appunto accade nella grande maggioranza dei Paesi occidentali. Una maggiore apertura che tra l’altro sembra esserci anche nei confronti delle donne solo di recente ammesse a far parte dei team dei sottomarini anche se ancora escluse dalle unità di combattimento malgrado sia in Iraq che in Afghanistan diverse soldatesse si siano distinte in operazioni sul campo. A settembre 2011 è scaduto il periodo di attesa teso a preparare i vari reparti dell’esercito statunitense alla nuova situazione di integrazione dei militari gay e avendo tutti i reparti terminato con successo il training, il 20 settembre DADT è definitivamente stato abrogato in termini pratici. Nel periodo di attesa infatti le varie associazioni che si sono battute per eliminare il bando antigay tra cui Human Rights Campaign e American Veterans for Equal Rights avevano chiaramente suggerito ai militari gay in servizio di non dichiararsi ancora e di essere cauti in attesa che la nuova legislazione entrasse finalmente in vigore. Col passare dei mesi la cautela ha ceduto il passo all’entusiasmo che si è visto nella gioia dei primi militari gay che hanno marciato a San Diego al Gay Pride e nella spensieratezza del gruppo musicale che si esibisce su Youtube e che ormai non dovrà più “rotolarsi nel profondo” come recita la canzone di Adele avendo acquisito parità e dignità. Con la fine di DADT vari coming out si stanno susseguendo e i militari gay potranno, se lo vogliono, non nascondersi più senza timore di ripercussioni. Queste positive prospettive sono testimoniate dal primo Armed Forces Leadership Summit organizzato da Out Serve, network di militari gay a Las Vegas, in ottobre. Un raduno con tanto di sponsor e organizzato alla luce del sole.
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