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Gennaio-Febbraio/2012 - Articoli e Inchieste
Il personaggio
Un "Maigret siciliano" ma non la Ferrari
di Alberto Bordi*

“Giovane poliziotto siracusano opera centinaia di arresti”, “il pugile-ladro inseguito a 180 Km. all’ora”, “colluttazione al Tiburtino tra un brigadiere e un ladro”, “drammatico inseguimento all’alba da Piazza del Popolo a San Lorenzo”; questi solo alcuni tra i tanti titoli di stampa che la cronaca degli anni Sessanta e Settanta dedicava al maresciallo Armando Spatafora. Erano i tempi in cui se avevi talento calcistico nelle borgate romane ti dicevano “mi sembri Pelè” e se eri invece un asso al volante, la battuta immancabile era “ma chi sei, Spatafora?”. Ebbene a oltre venti anni dalla sua scomparsa, Armando Spatafora torna sui giornali grazie a “Il poliziotto con la Ferrari”, un libro sulla sua figura di poliziotto indomito scritto dalla figlia Carmen, intenso come intensa è stata tutta l’esistenza di questo siracusano autentico, entrato giovane in Polizia, destinato a Roma e diventato per le sue gesta il nemico numero uno della malavita della Capitale negli anni della “Dolce vita”.
E che il mito del pilota con la Ferrari sia ancora integro e vivo, si è avuta riprova nel novembre 2009, allorché in Campidoglio, davanti alla Sala della Protomoteca gremita, in occasione della presentazione del libro edito da Rubbettino, i vertici della Polizia di Stato, i rappresentanti dell’amministrazione capitolina ed i migliori cronisti della “nera” romana, hanno reso omaggio a quest’uomo “che aveva la Polizia nel sangue” e che ha rappresentato per la popolazione della città eterna un rassicurante esempio di tutore dell’ordine, in grado di dare certezze ai cittadini onesti e di frenare le cattive intenzioni dei malviventi. Il giudice Margherita Gerunda, intervenuta alla presentazione del libro e in passato magistrato della Procura di Roma, oltre a ricordare l’affidabilità totale di cui l’allora brigadiere godeva in tutti gli ambiti, ne ha sottolineato la tenacia straordinaria, una virtù professionale che gli consentiva di “non mollare la preda” fino a che il criminale di turno non fosse messo alle corde. Claudio Vitalone, sostituto procuratore presso la procura generale della Capitale negli anni Sessanta, lo considerava un operativo puro, con una spiccata sensibilità nel capire le situazioni al limite, nel prevenirle, nel contrastarle anche con un sincero sprezzo del pericolo: “era sempre davanti a tutti”. Chi ha conosciuto “Armandino” lo descrive come un uomo vero, un uomo pieno di passione e di grandissimo rispetto per il prossimo, anche per il delinquente più accanito. Altro connotato della sua personalità era quella costante prontezza a intervenire, abbinata a una generosa disponibilità a sostituire qualunque collega fosse in difficoltà; non c’è stato mai un momento in cui abbia “marcato visita”. E come nasce l’incontro con la Ferrari, da sempre gloria automobilistica del nostro Paese? In molti raccontano di quella giornata di tanti anni fa nella Questura, con il capo della Polizia di allora, Angelo Vicari, che chiedeva agli agenti della Mobile schierati nel cortile “cosa servisse per acchiappare i rapinatori”. “Una Ferrari, Eccellenza” rispose ad alta voce l’allora vice brigadiere Spatafora, già noto per i suoi rocamboleschi inseguimenti a bordo delle Alfa Romeo 1900 super, le “pantere” in dotazione alla Polizia. Il silenzio imbarazzante che seguì a quella battuta fu prontamente interrotto da Vicari che, lapidario e concreto, replicò con due sole parole: “Sarai accontentato”. E di Ferrari 250 GTE, per la cronaca, ne arrivarono addirittura due. Nel 1977 l’attore Maurizio Merli interpreta “Il poliziotto sprint”, un film che ripropone proprio le gesta del maresciallo Spatafora con tanto di rivisitazione del memorabile inseguimento a bordo della Ferrari sulla scalinata di Trinità dei Monti. E pare che Enzo Ferrari in persona abbia chiesto a lui, il terrore dei ladri d’auto, di entrare nella scuderia del cavallino rampante. Questo era dunque l’impavido super poliziotto degli anni Sessanta sulla strada, a contatto con la malavita, ma come era Armando Spatafora uomo, senza la divisa, tra le mura domestiche?
Qui le pagine del libro scritto dalla figlia Carmen, che offrono uno spaccato della vita romana degli anni Sessanta di grande interesse, si caricano di palpabile affetto, quando descrivono lo sguardo espressivo del padre: “ti comunicava tutto con i suoi grandi occhi, l’approvazione o il disappunto, la gioia o la tristezza e non potevi sfuggire; ti folgorava con lo sguardo soprattutto se facevi qualcosa che non gli era gradita”; e il ricordo diventa lirica malinconica nel richiamare “i pochi e rari momenti in cui mostrava nei confronti della famiglia tenerezze e gesti amorevoli, pur rimanendo sempre un padre intensamente protettivo e accorto. Un padre che però era soprattutto un poliziotto”. E l’attaccamento alla sua Sicilia? Nonostante le sue foto a bordo della mitica Ferrari nera, ora esposta al Museo della Polizia in via dell’Arcadia a Roma, avessero già fatto il giro del mondo nella metà degli anni Sessanta e fossero state pubblicate anche su periodici di prestigio come Time e Life, non poteva esistere qualcosa al mondo in grado di scalfire il legame e l’amore profondo per la sua terra, per Siracusa, per Ortigia e per la casa di via Maniace dove era nato. L’ultima cosa che egli desiderava prima di addormentarsi per sempre – racconta ancora sua figlia Carmen con parole commosse – era di tornare lì dove nacque per “distendersi e riposare, quale ultimo atto, sotto una macchia di carrubi, nella propria terra”. E la sua terra può essere orgogliosa del “poliziotto con la Ferrari”, un uomo che ancora oggi è ricordato per le sue gesta e per il suo talento investigativo, posti incondizionatamente al servizio della Polizia, dello Stato, dell’intera comunità.


*Viceprefetto Aggiunto presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione


FOTO: Giovanni Spatafora con la famosa Ferrari

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