La qualità del servizio è senza dubbio un argomento di cui si sente parlare molto di più rispetto a qualche anno fa. Amministrazioni, Enti pubblici, privati ed imprese in passato si organizzavano per erogare dei servizi senza preoccuparsi troppo del risultato o, meglio, senza valutare in genere il risultato finale rispetto alle aspettative dei destinatari.
Nel tempo in Italia si sono avute due spinte che hanno inciso su questo modo di agire: la prima da parte degli utenti attraverso varie iniziative di associazioni rivendicanti una maggiore trasparenza nel rapporto; la seconda indotta dal processo ri rinnovamento dell’Amministrazione pubblica iniziato con la legge 241 del 1990 e proseguito con numerosi interventi che hanno inciso profondamente sul modo di essere della Pubblica amministrazione.
La qualità del servizio si caratterizza in quanto sintesi di esigenze differenziate, attuata attraverso procedure di previsione, gestione e controllo, con ripercussioni dirette sull’organizzazione del lavoro.
Occorre evidenziare una differenza sostanziale poiché il settore privato mostra una maggiore sensibilità rispetto al pubblico per quanto attiene gli aspetti gestionali del lavoro. Le ragioni di questo approccio diversificato sono molteplici: certamente lo Stato non è mosso da ragioni di mercato nelle sue scelte, pur dovendo erogare servizi al pari di un’impresa remunerata, e questo scarto iniziale può incidere sui diversi modi di gestire l’attività.
A livello scientifico la riflessione su come migliorare il lavoro si è avviata nel secolo scorso, ma solo a partire dalla metà degli anni Ottanta nascono i primi centri di studio della materia, in Svezia e negli Stati Uniti, nel tentativo di arginare la straordinaria capacità espressa in termini di “controllo totale della qualità” da parte dell’industria giapponese.
Tratto essenziale dei primi tentativi di sistematizzazione è il forte legame con la produzione: questa impostazione è sostanzialmente ancora in essere nel senso che spesso si ritiene un “buon servizio” quello realizzato secondo i criteri della produttività.
Pur esistendo norme che valorizzano l’elemento creativo dei lavoratori (per esempio Iso 9000 in ambito europeo), ancora oggi troppo spesso la motivazione del personale non viene presa in considerazione tanto da divenire un ostacolo ai processi di cambiamento. L’efficienza, mito mai dimenticato, anche oggi miete le sue vittime: in suo nome si sviluppa l’occupazione con alta tecnologia/basso contatto, con tutte le conseguenze che ne derivano sotto il profilo della valorizzazione del fattore umano e quindi anche della motivazione.
La Pubblica amministrazione italiana dimostra una particolare rigidità verso il mutamento; vi è una tendenza piuttosto diffusa per cui chi deve realizzare il cambiamento attraverso la trasformazione dei processi di lavoro ai quali partecipa non viene coinvolto negli stessi. Eppure basta guardare in un qualsiasi ambiente di lavoro pubblico per scoprire che esistono molte persone, risorse che potrebbero fornire un apporto ben più qualificato se solo venissero coinvolte maggiormente nelle dinamiche dell’attività.
La motivazione costituisce uno degli elementi principali che determinano le scelte umane: essa dipende da due elementi fondamentali della personalità dell’individuo ovvero le competenze, che rappresentano ciò che l’individuo è in grado di fare, e i valori personali, vale a dire ciò che l’individuo vuole fare.
Molte imprese investono grandi risorse per valorizzare l’elemento motivazionale di dirigenti, quadri e dipendenti: solitamente si tratta di stages erogati da ditte specializzate dove la simulazione ed il gioco sostituiscono la classica lezione frontale, curando in particolare le dinamiche del gruppo di fronte alle problematiche.
In conclusione ci troviamo nella fase di passaggio da un’economia industriale ad un’economia dei servizi che, pur essendo irreversibile, incontra molte difficoltà come dimostra il ritardo dell’Amministrazione pubblica in materia di qualità del lavoro.
Il settore pubblico italiano deve affrontare, tra l’altro, sfide in termini di credibilità ed efficienza: una maggiore sensibilità verso l’elemento motivazionale può essere d’aiuto nella ricerca di nuovi assetti organizzativi.
Inoltre l’economia della conoscenza, intesa come rilevante fattore di produzione e di organizzazione dell’impresa, può essere uno strumento di innovazione e riforma applicabile al settore pubblico, se riesce nel miglioramento della qualità del sapere e delle competenze dei lavoratori.
Il modello di riferimento, fondato sul dialogo, la collaborazione e la cooperazione, risulta fortemente orientato verso la formazione intesa come adeguamento costante della conoscenza.
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