Unire le forze per evitare che «il rischio di uno sbocco
autoritario nel governo del Paese» possa
concretizzarsi. È da questa premessa che muove la Campagna
per la legalità lanciata dalla Cgil di Susanna Camusso: non uno spot
o una raccolta di firme, «piuttosto un impegno di lavoro, un progetto
politico fatto di proposte operative concrete che saranno
sostenute da un’azione rivendicativa diffusa».
Il principale sindacato dei lavoratori italiani ha illustrato
le sue linee guida in un articolato documento
presentato lo scorso 14 luglio a Palazzo Valentini, a Roma, durante
un’iniziativa pubblica che, accanto alla Camusso, ha visto intervenire
don Luigi Ciotti, presidente di Libera, il magistrato Raffaele Cantone
e il leader di Confindustria siciliana Ivan Lo Bello
«La legalità – si legge nell’introduzione del documento che illustra il progetto della Cgil – rappresenta la condizione imprescindibile per garantire al Paese tenuta democratica, convivenza civile e sviluppo economico. Senza questa condizione tutto ciò è pregiudicato» e, come i fatti e la storia insegnano, «il rischio autoritario diventa probabile». Per scongiurarlo, occorre «una forte e determinata assunzione di responsabilità» e un impegno «rigoroso e unitario». Per ottenere ciò, la Cgil si impegna a «guardare oltre i confini con i quali si definiscono tradizionalmente le diverse rappresentanze sociali ed economiche, le organizzazioni di diversa ispirazione culturale, religiosa e politica».
Economia criminale
L’analisi del sindacato muove dalla «ipoteca sulla crescita presente e futura» rappresentata dall’economia criminale nel nostro Paese, un’ipoteca che la Corte dei Conti ha stimato in 60 miliardi di euro nel 2010, prevedendo un incremento del 30% per l’anno in corso: l’equivalente di due manovre finanziarie ‘tremontiane’ all’insegna di lacrime e sangue. Il Censis, nel 2000, definiva «zavorramento» il peso delle mafie nelle regioni meridionali che un recente studio della Banca d’Italia quantifica nel 15 per cento del Prodotto interno lordo (Pil): «La criminalità organizzata – spiega Mario Draghi – può sfibrare il tessuto di una società; può mettere a repentaglio la democrazia, frenarla dove debba ancora consolidarsi». Mentre la Commissione parlamentare antimafia, lo scorso mese di maggio, sottolineava: «Ciò che più sgomenta è l’enorme impronta che l’attività mafiosa, la dilagante corruzione, il deterioramento dell’etica pubblica e della stessa morale privata continuano a scavare nella società civile e nelle istituzioni del Mezzogiorno». Ma è ormai evidente che i fenomeni – attività mafiose, corruzione dilagante e deterioramento dell’etica – siano diventate caratteristica nazionale (anche se diffuse “a macchia di leopardo”) e non solo meridionale, basti pensare alle recenti inchieste giudiziarie sulla capillare infiltrazione della ’Ndrangheta in Lombardia e delle varie mafie nei “territori non tradizionali” o alle numerose indagini in corso sulla corruzione politica.
Limitatamente alle quattro regioni meridionali a tradizionale insediamento mafioso, la Cgil ricorda che i processi «hanno evidenziato un condizionamento della pubblica amministrazione esercitato prevalentemente su: appalti pubblici, finanziamenti comunitari, smaltimento dei rifiuti e settore sanitario. Un condizionamento che spiega il nesso tra corruzione e criminalità organizzata confermando il consolidarsi del rapporto mafia-affari-politica».
Una sola strategia per battere le mafie
Contrastare e sconfiggere le mafie, oggi, sottolinea il sindacato, richiede il superamento della “teoria dei due tempi” (prima sconfiggere le mafie con le Forze di polizia e, dopo, intervenire con riforme economiche, sociali e culturali), ma intervenendo contestualmente con le Forze di polizia ed eliminando «le precondizioni che favoriscono il radicarsi della criminalità attraverso situazioni di sottosviluppo economico, sociale, civile».
Dopo avere sottolineato il «disimpegno» del governo Berlusconi per gli investimenti nel Mezzogiorno, la Cgil cita uno studio dell’università Bocconi che stima il peso dell’economia criminale del nostro Paese nel 10,9 per cento del Pil, a cui va sommato un sommerso fiscale stimato al 16,5, per un ammontare complessivo del 27,4 per cento del Pil, perlopiù concentrato nelle regioni del Centro-Nord, in virtù di un progressivo insediamento delle mafie anche nei territori non tradizionali.
Durante una recente audizione in Commissione antimafia, l’ex governatore Draghi ha sottolineato come non esistano più “isole felici” ma denunciando «l’esistenza di una vastissima ramificazione di forme varie di criminalità organizzata di tipo mafioso, praticamente in tutte le regioni d’Italia», facendo venire meno, come sottolinea la Cgil «quel pregiudizio di base secondo il quale l’affermazione delle mafie sia da imputare esclusivamente a un arretramento culturale del Meridione. Il tempo ha dimostrato – sottolinea l’analitico documento sindacale – che nessun luogo può considerarsi immune dal trapianto di organizzazioni criminali o dall’espansione del fenomeno della criminalità organizzata, basta che siano presenti alcune condizioni dal lato dell’offerta e da quello della domanda. L’onda lunga di una crisi etica e morale che pervade oramai da troppo tempo molti ambiti del sistema economico e politico del nostro Paese, associata alla crisi economica del biennio 2008-2009 e all’instabilità politica degli ultimi anni, hanno concorso a favorite particolari “alleanze nell’ombra” tra imprese e criminalità organizzata. Alleanze favorite e promosse “tecnicamente” da quell’area grigia formata da professionisti, politici, imprenditori, burocrati».
Le indagini degli ultimi anni, inoltre, hanno permesso di accertare che la penetrazione delle mafie nelle economie locali non è più “unidirezionale” (imposizione del pizzo), ma “bidirezionale: «Una schiera crescente di imprenditori si muove alla ricerca di forme di adattamento attraverso accordi e accomodamenti di tipo collusivo con il potere politico e, nelle zone di mafia, con il potere mafioso».
Per quantizzare il fatturato della “Mafia Spa”, il documento cita l’ultimo rapporto di Sos Impresa, l’associazione antiracket della Confesercenti, che lo stima in 135 miliardi di euro annui (fra traffici illeciti e attività lecite), «con un utile che raggiunge i 70 miliardi di euro al netto di investimenti e accantonamenti».
Per il sindacato guidato da Susanna Camusso, quanto fin qui illustrato rappresenta «il prezzo del disonore di avere rinunciato a territori sempre più vasti ostaggio della criminalità mafiosa», che ha ormai intessuto una propria tela lungo tutta la penisola, che va tagliata senza indugio: «Occorre mobilitare tutte le componenti attive e sane della società civile garantendo nel contempo una presenza costante dello Stato al fianco dei cittadini».
Il documento
Dopo la lunga e articolata premessa, il documento passa a elencare e sviluppare «i temi della nostra iniziativa sindacale», individuandone quindici: 1) appalti; 2) lavoro sommerso; 3) caporalato; 4) credito, finanza, patrimoni illeciti-riciclaggio di denaro; 5) controllo di legalità; 6) lotta all’evasione e all’elusione fiscale; 7) sicurezza; 8) contraffazione e tracciabilità; 9) sicurezza del territorio; 10) infiltrazioni mafiose nella Pubblica amministrazione; 11) riforma della giustizia a partire da quella civile; 12) beni confiscati e sequestrati; 13) l’insicurezza come fenomeno sociale diffuso; 14) la formazione della contrattazione della legalità economica; 15) educare alla legalità. Noi ci concentreremo sulle tematiche legate alle attività mafiose.
Appalti pubblici
L’analisi della Cgil muove da alcuni dati e da una considerazione: «Il mercato italiano dei contratti pubblici ha superato nel 2008 il valore di 221 miliardi di euro, pari al 14,8% del Pil» e che «l’ammontare delle risorse che sono state mobilitate attraverso le gare d’appalto d’importo superiore a 150 mila euro è stato, nel 2009, di 79,4 miliardi, pari al 6,6% del Pil»; inoltre, «il sistema italiano è caratterizzato da un’elevata frammentazione ed esposto in misura considerevole ai rischi di collusione, corruzione e rinegoziazioni successive con gli aggiudicatari dei contratti».
Un settore, quello degli appalti, fortemente ambito dalle mafie, che attraverso tali canali stringono rapporti politici, si nascondono dietro attività legali, danno lavoro e costruiscono consenso. Per ridurre i rischi di infiltrazioni criminali, la Cgil avanza una serie di proposte che vanno dai protocolli di legalità alla riduzione dei tempi di pagamento da parte delle stazioni appaltanti; da procedure per gli appalti che contrastino i massimi ribassi (citando l’esempio della legge regionale della Toscana) alla formazione professionale di funzionari e dirigenti pubblici che si occupano di gare d’appalto; dall’istituzione di stazioni uniche appaltanti, specializzate e prive di amministratori pubblici, alla responsabilità in solido dell’appaltatore sul subappaltatore, per finire con la trasparenza e la regolarità del lavoro.
Per gli appalti nei servizi, inoltre, il principale sindacato italiano propone «una revisione organica ed intersettoriale» delle attuali normative, sottolineando come «Cgil e Filcams sono promotrici si un potenziamento delle forme di coordinamento intergategoriale» finalizzato al monitoraggio degli appalti di servizi e forniture e a una migliore tutela di lavoratrici e lavoratori.
Lavoro sommerso
«Il peso dell’economia irregolare, censita dall’Istat al 2007, è stabilmente attorno al 17% del Pil e riguarda circa il 12-14% dell’occupazione, dai 2,5 ai 3 milioni di lavoratori». Cifre che fanno dell’Italia l’unico Paese della Ue in cui l’economia criminale ha un peso strutturale «rispetto al quale è indispensabile mettere in campo una strategia complessiva, non semplici misure una tantum». Per la Cgil si rende necessario: tornare ai contratti di emersione, intensificare l’azione dell’attività di vigilanza delle istituzioni pubbliche, potenziare e valorizzare il coordinamento dei servizi ispettivi, costituire in province e regioni commissioni sulle irregolarità contributive e il lavoro sommerso, intensificare i controlli sugli appalti, orientare i controlli verso la falsa cooperazione e le imprese che fanno ampio ricorso a lavoratori precari.
Pubblica amministrazione e infiltrazioni mafiose
Più il servizio pubblico è inefficiente, più si creano spazi per le mafie, che perseguono interessi economico e sociali. Ed è in questo ambito che si hanno «le connessioni tra politica e mafia».
In questo campo, la Cgil sottolinea la necessità di una riforma strutturale della Pa, in controtendenza rispetto alla «ventilata controriforma Brunetta, oramai fallita», finalizzata alla razionalizzazione delle pubbliche funzioni, al coinvolgimento, alla valorizzazione e alla responsabilizzazione di lavoratrici e lavoratori, «e ponga al centro della riforma i servizi alle persone per la tutela dei diritti individuali di cittadinanza».
A ciò bisogna affiancare «una battaglia per la trasparenza degli atti nella Pubblica amministrazione, requisito fondamentale per far sì che essa sia capace di essere allo stesso tempo garante dei diritti individuali e di cittadinanza e baluardo contro l’illegalità».
La trasparenza, inoltre, deve riguardare anche la composizione societaria delle imprese che si aggiudicano appalti e servizi pubblici. E qui c’è un punto che discende dal recente risultato referendario, ché, a proposito del «rapporto pubblico/privato» la Cgil si schiera contro le privatizzazioni di beni e servizi pubblici. Chiedendo che, nel campo sanitario, ci sia una «centralizzazione regionale degli acquisti di tutti i prodotti e materiali sanitari e la centralizzazione nazionale di tutta la strumentistica», per avere maggiore trasparenza e contenimento dei costi.
Il documento, inoltre sottolinea che «soprattutto per quanto riguarda il campo della salute, il privato ha un’incidenza tale da determinare in maniera considerevole il deficit sanitario che si registra in molte regioni» e che «è proprio in questo rapporto anomalo che sono cresciuti fenomeni di corruzione diffusi». E la corruzione, lo dice la Corte dei Conti, produce un costo annuo fra i 50 e i 60 miliardi di euro.
Beni sequestrati e confiscati
Anche qui l’azione del governo si è rivelata «insufficiente». Nel caso delle aziende bisogna affrontare il problema del blocco dei finanziamenti da parte delle banche, la rarefazione delle commesse, la tutela del rapporto di lavoro e il sostegno al reddito dei lavoratori. Poi c’è da affrontare il problema dei tempi che trascorrono dal sequestro alla confisca dei beni, e fra questi e l’assegnazione, col rischio continuo del deterioramento del bene. Non ultimo, il problema degli amministratori giudiziari che, spesso, operano da liquidatori.
Legalità economica
«Contrattare la legalità nei processi economici e di sviluppo, questo è l’obiettivo centrale di questa Campagna nazionale» spiega il documento sindacale che in questa parte si sofferma sulla formazione «degli attori contrattuali che operano nelle categorie e nei territori». A tale scopo Cgil e Isf si fanno promotrici di un progetto formativo rivolto a 100 delegate/i sindacali con l’obiettivo di «costituire un nucleo di esperti su norme, procedure e regolamentazioni in tema di legalità». In un secondo momento, questo nucleo iniziale dovrà trasferire le proprie conoscenze e competenze alle varie articolazioni territoriali sindacali, in modo da creare partecipazione e protagonismo di tutta l’organizzazione.
Educare alla legalità
«La scarsa cultura della legalità è all’origine dei comportamenti devianti» e, dunque, bisogna attuare «comportamenti virtuosi che promuovano il bello della legalità come scelta di convivenza sociale e democratica ispirata al benessere e al progresso di tutti e di ciascuno». In questo percorso occorre promuovere «l’incontro fra generazioni, il senso etico condiviso sui valori democratici, la valorizzazione del lavoro e dei diritti come fondamento di cittadinanza collettiva».
Per la Cgil, in conclusione, «la legalità è l’unica risposta per il lavoro e per il futuro».
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