….Educare i giovani ad un comportamento corretto e funzionale, ad una cultura del movimento più responsabile, eliminando i miti “automobile-velocità-moto”…..Dai un passaggio alla sicurezza…..Strade da amare…..Alla ricerca della sicurezza perduta…..Tutta la vita in un casco…. Sono slogan che oramai da tempo hanno impegnato i mass-media per promuovere l’educazione stradale e la sicurezza stradale che da quasi venti anni il Parlamento ne ha sancito l’obbligatorietà riformulando in tal senso i programmi scolastici ed introducendo l’art. 230 (Educazione Stradale) nel Codice della Strada; ma a prescindere dagli obblighi ministeriali l’educazione stradale deve diventare un obbligo morale e sociale non solo degli insegnanti ma anche di chi amministra la cosa pubblica.
Sono trascorsi ben trentatre anni (dal 1959 Vecchio Codice della Strada – 1992 Nuovo Codice della Strada) perché si comprendesse la necessità, evidentemente, di promuovere la Sicurezza Stradale su attori principali quali i bambini, i ragazzi, i giovani per inculcare loro, unitamente al lavoro che continuano a svolgere gli insegnanti, all’educazione impartita dai genitori, le regole più elementari di educazione stradale per tentare di trasformare sin dalla tenera età coloro che saranno i futuri utenti della strada, in piccoli comunicatori di legalità, eliminando ogni mito che raffiguri “status simbol”, sogno di forza, di coraggio, di onnipotenza, di totale libertà, facendo comprendere quale sia il corretto comportamento funzionale alle esigenze di mobilità.
Questo perché, evidentemente, nel corso di questi anni il costante mutamento della società, della sua stessa struttura, della stratificazione sociale unitamente a nuove ideologie politiche, ad un intensificarsi del conflitto generazionale, ad un nuovo rapporto tra morale e religione, ha portato a diverse e profonde riflessioni: la società sta cambiando e di conseguenza richiede anche l’adeguamento del diritto, o meglio una rivisitazione delle norme giuridiche che regolino le nuove aspettative sociali.
L’essere umano sin dalla sua nascita è coinvolto da quell’insieme di valori, di norme, di atteggiamenti, di conoscenze, di linguaggi che lo circondano, cioè egli intraprende le prime forme di socializzazione nell’ambito della famiglia prima, nell’ambito della scuola, delle amicizie, delle sue frequentazioni, dopo; pertanto, in questo percorso di vita il bambino, il ragazzo, non solo apprende il contenute delle innumerevoli norme della società di cui fa parte, ma le interiorizza, le fa proprie, le trasforma in norme morali che, in linea di massima, guideranno la sua condotta.
Ma, non sempre il comportamento previsto corrisponde a quello agito, cioè spesso tale processo di socializzazione può fallire, può configurarsi una idiosincrasia o meglio una devianza. A tal proposito vorrei accennare e riprendere uno dei concetti essenziali di un famoso studioso della sociologia (E. Durkeim – studioso francese 1858-1917 e cioè la figura dell’ “Homo Duplex: la specie umana è costituita da due componenti: una corporea, sensoriale, che soddisfa i bisogni naturali, l’altra costituita da aspettative, conoscenze, aspirazioni, valori, sentimenti, relazioni con altri individui, codici di comportamento. Per Durkheim, chiaramente, è necessario che sia la seconda componente a prevalere sulla prima, a volte anche negando e reprimendo quelle tendenze (anche spontanee) proprie della prima componente dell’Homo Duplex; ma nonostante l’uomo sia un essere intrinsecamente sociale, la sua socialità potrà affermarsi solo se gli individui, nella loro maggioranza orientano il proprio comportamento ad aspettative sorrette da codici, criteri, sentimenti che condividono con gli altri. Pertanto, nel pensiero del sociologo occupa un posto rilevante il concetto di “regola” e come controparte, in negativo quello di “anomia”; le regole, le norme, appunto, che vengono trasmesse di generazione in generazione ed adeguate alle nuove condizioni della società.
La società riveste particolare importanza nei confronti delle nuove generazioni su cui dovranno maggiormente concentrarsi i sacrifici di ognuno di noi per inculcare in loro una consapevole cultura della legalità: attraverso la famiglia, la scuola, le amicizie, le istituzioni, partendo sin dall’età pre-scolare e scolare poiché come ho accennato in precedenza è nei primi anni di vita che l’uomo (il bambino) interiorizza le varie conoscenze che gli vengono propinate.
Ed evidentemente a queste riflessioni lo Stato è giunto dal 1959 al 1992, anno questo in cui fu varato il nuovo Codice della Strada (contenitore di innumerevoli regole sulla circolazione stradale), dove fu introdotta all’art.230 una nuova disposizione: L’Educazione Stradale; in pratica, l’educazione stradale diviene una disciplina che al pari delle altre dovrà far parte dei programmi ministeriali di tutte le scuole di ogni ordine e grado. Nel 1992, quindi, a circa sei anni dall’entrata in vigore della legge che prescriveva l’uso del casco per i conducenti di ciclomotori e motocicli, evidentemente il Legislatore ha sentito fortemente la necessità di affidare, in modo più concreto e realistico, alle Istituzioni il compito di educare i bambini, i ragazzi, i giovani, i futuri utenti della strada al rispetto delle regole ad essere sempre più consapevoli di dover accrescere una responsabile cultura del movimento. Il Legislatore dal 1959 (anno di introduzione del primo Codice della Strada) al 1986 (anno in cui fu introdotta la nuova normativa riguardante l’uso del casco per i conducenti di ciclomotori e motocicli) ha ritenuto, attraverso l’evoluzione della società stessa dei relativi mutamenti correlati (aspetti sociali, morali, religiosi, politici, culturali, imprenditoriali), che una delle maggiori cause di morte fossero gli incidenti stradali dove venivano spesso coinvolti i veicoli a due ruote.
Si affronta un’educazione alla socialità, alla legalità che presuppone un’integrazione di saperi e di pensieri che per incidere sulle concezioni assunte dagli individui deve recuperare i valori e le forme proprie della cultura, dell’educazione e della socializzazione. La tematica, molto cara al sottoscritto, è di notevole portata in quanto è nel suo insieme molto complessa e, nella sua trattazione, è necessario confrontarsi anche con l’educazione civica, l’educazione alla legalità, l’educazione alla salute, l’educazione ambientale, l’educazione motoria, la comunicazione etc… . Forse anche per queste motivazioni e come spesso accade con l’introduzione di nuove normative, l’art. 230 (Educazione Stradale) del Codice della Strada del 1992 è stato assorbito molto lentamente, o forse anche per difficoltà oggettive, logistiche, funzionali legate agli apparati burocratici-amministrativi-finanziari degli Istituti Scolatici di ogni ordine e grado e degli Enti Locali, chiamati per primi, attraverso le Polizia Municipali ad assicurare il loro contributo.. . LA SICUREZZA STRADALE E’ UN FATTO DI COSCIENZA…non può essere trascurata…rappresenta una tematica trasversale che spazia da aspetti prettamente normativi ad aspetti etico/morali, da aspetti sociali ad aspetti psico/pedagogici e comunicativi; per promuovere una nuova cultura della sicurezza stradale è opportuno rifarsi innanzitutto a concetti più alti di Cultura e di Educazione e che puntino a ..conoscenza-riconoscimento-percezione del rischio stradale ed al rispetto dell’individuo (di se stessi e degli altri).
Evidentemente è avvertita la percezione di uno scollamento tra prescrizione e applicazione delle norme che indirettamente va a minare le stesse fondamenta di una cultura della sicurezza stradale rispetto alla quale – è bene rilevarlo – esiste una sostanziale, in termini chiari, non esplicitata, propensione favorevole che richiede, però, impegno attivo, coerenza, sistematicità. Però è necessario anche evidenziare che un difetto generale dei giovani è l’eccessiva fiducia in sé stessi, una sorta di presunzione di incolumità – “tanto a me non succede”; tale atteggiamento è molto diffuso e sano quando non sconfina nella incoscienza. E’ proprio la “misura” quella che viene a mancare in molti casi ai giovani, soprattutto ai giovanissimi, portati ad una totale sottovalutazione dei rischi e disponibili, invece, ad interagire positivamente alla pressione del gruppo che “vince” sui consigli e raccomandazioni dei genitori, ma, anche e soprattutto sulle personali convinzioni destinate ad essere messe da parte dalla “legge del gruppo”. La nostra cultura, allo stato, appare pervasa da una sorta di schizofrenia culturale legata ad una serie di fattori che caratterizzano le attuali società che con espressione semplicemente descrittiva e sintetica, chiamiamo “complesse”
Curiosamente i comportamenti trasgressivi nell’ambito del Codice della Strada costituiscono una sorta di “zona franca” nella quale tali comportamenti spesso non solo non sono socialmente stigmatizzati, ma addirittura, costituiscono, soprattutto, tra i giovani, motivo di “vanto”, indice di bravura e di coraggio. Ancora costituiscono una sorta di legittimazione implicita a comportamenti verbali e gestuali, vere e proprie manifestazioni ed espressioni di aggressività che la società non tollera in altre situazioni.
Le Leggi sulla famiglia, ad esempio, vengono conosciute prevalentemente in caso di separazione o divorzio come il codice della strada in caso di incidenti.
Non può sfuggire quanto, invece, sarebbe utile che la conoscenza normativa fosse precedente al “guaio”. L’obbligo dell’uso del casco già dal 1986 e quello delle cinture di sicurezza che appena ad esso comincia ad emergere anche se in maniera ancora insufficiente.
Il mezzo moto, ma anche automobile, diventa l’oggetto, come si è già accennato, sul quale si scaricano tensioni, disagi, incertezze esistenziali che non trovano adeguate soluzioni nei corrispondenti ambiti di riferimento.
Il Codice della Strada, anche se parrebbe strano, ma negli studi superiori – universitari specializzati in normative giuridiche, non è considerato neanche attraverso brevi citazioni, a differenza di tutti gli altri vari codici che regolano “i fatti sociali” (E. Durkheim) e che giustamente rivestono particolare importanza ed interesse (Codice Civile, Codice di Procedura Civile, Codice Penale, Codice di Procedura Penale etc…). Ed, al contrario, sin dalla più tenere età l’individuo si deve interfacciare con le regole della strada: i pedoni devono utilizzare il marciapiedi, i bambini che vanno a scuola devono attraversare utilizzando gli attraversamenti pedonali, i monopattini non sono dei veicoli e pertanto non possono transitare lungo le carreggiate etc…..).
Evidentemente, tutto questo può e deve essere pian piano interiorizzato soprattutto dai bambini, perché da questi bisogna partire in quanto primi reali e seri destinatari di tutte quelle conoscenze che formeranno la loro personalità, la loro moralità.
Di spiccata sensibilità e coinvolgimento sono gli incontri nelle varie classi delle Scuole Materne, Elementari e Medie Inferiori e Medie Superiori, laddove soprattutto si utilizzano strumenti tecnologici per meglio evidenziare gli aspetti più pratici e concreti che contraddistinguono le regole stradali, ancorchè teoriche.
Ritengo che il momento più caratterizzante di tali esperienze non siano solo i rapporti d’aula, dove pur riuscendo a coinvolgere la maggior parte dei ragazzi, non sempre ci si può ritenere soddisfatti totalmente del lavoro svolto, ma soprattutto osservare il loro comportamento per strada: cioè come sia riuscito, attraverso un sentito bisogno della società e delle Istituzioni affinchè si realizzassero interventi in tal senso, ad inculcare ed a ravvivare una cultura della legalità e della sicurezza stradale riavvicinando i ragazzi al rispetto delle norme, delle leggi che lo Stato impone per regolare i “fatti sociali” prevedendo una sanzione (che può essere amministrativa se trattasi di illecito amministrativo o penale se trattasi di illecito penale).
Molteplici campagne di sensibilizzazione organizzate dal Comando di Polizia Locale della mia città e che mi ha visto promotore, i continui incontri assicurati presso le Scuole, ma io penso, anche e soprattutto, perché in tal senso lo Stato ha sentito l’esigenza di investire per garantire la sicurezza a 360 gradi ed adeguarsi anche alla Comunità Europea che, attraverso, diverse direttive ha invitato il nostro Paese a legiferare in diversi ambiti, primo fra questi, proprio la sicurezza stradale; ed ecco, quindi, i molteplici interventi legislativi che negli ultimi dieci anni hanno caratterizzato soprattutto i nostri mesi estivi, dedicati, per lo più alle vacanze ed al relax, ma evidentemente anche perché momento contraddistinto da particolari criticità per le strade del nostro Paese.
Ed, infatti, le continue modifiche ed integrazione del Codice della Strada hanno riguardato principalmente le norme di comportamento e, nel particolare, ricordo alcuni aspetti su tutti: CIG (patentino per i conducenti di ciclomotori), Patente a punti (istituto del tutto nuovo del nostro Codice della Stradea), Velocità, uso di alcool e di sostanze psicotrope durante la guida.
Una sterzata di notevole portata ha caratterizzato l’introduzione di tali nuove disposizioni a partire, in particolare, dal 2003 ad oggi, e che di conseguenza ha costituito un naturale viatico non solo per “celebrare” a pieno titolo LA SICUREZZA STRDALE anche utilizzando slogan di ogni tipo ma, soprattutto, per sostenere altre disposizioni normative già note da tempo, ma spesso disattese (vedi: l’utilizzo del CASCO protettivo e l’utilizzo delle cinture di sicurezza).
Pertanto, sempre più costante ed incrementata è stata la presenza nelle scuole della Polizia Locale della mia città ed i risultati si sono rilevati: sono dovuti trascorrere diversi anni, comprendere i diversi cambiamenti sociali, politici, morali, per poter riscontrare che l’80% dei giovani indossa il casco durante la guida dei ciclomotori e motocicli (le violazioni rilevate in tal senso sono sempre più diminuite anche in rapporto alle città viciniori), i bambini delle scuole elementari ed i ragazzi delle scuole medie inferiori hanno sempre notato con piacere e ricercato, al termine delle lezioni, il “Vigile”, per il quale agli orari predeterminati (entrata e uscita) i “Suoi” ragazzi divenivano protagonisti della scena sia in positivo che in negativo; infatti, essi desiderano la presenza del Vigile, attento osservatore dei loro movimenti “da pedone” e del comportamento dei loro genitori “da automobilisti” e, pronti a divenire attenti “mini-vigili”, attenti a “riprendere” i loro genitori, attenti ad essere “autocritici”.
Unitamente alle più molteplici iniziative lodevoli e perfettamente coinvolgenti sotto ogni aspetto, ritengo sia di vitale importanza la presenza del Vigile davanti alle scuole di ogni ordine e grado (laddove sia possibile, considerandone l’organico spesso ridotto di ogni Comando di Polizia Locale), e comunque ogni tipo di sacrificio, in tal senso, debba essere garantito in quanto i più giovani devono apprendere l’Esempio più significativo ed appropriato, quali potenziali fruitori ed utenti della strada, pronti e liberi di assimilare quei comportamenti responsabili del movimento, in quanto ancora scevri da ogni forma di maliziosa e latente illegalità, mantenendo continuo e costante quel desiderio di educare alla legalità non facendo mai mancare quella necessaria percezione di controllo e della conseguente sicurezza che ne deriva.
Le tematiche di Sicurezza ed Educazione Stradale, al pari di altri problemi sociali quali l’ambiente, l’interculturalità, la pace, la droga, etc.., tendono ad un fine ultimo che tocca la dimensione complessiva di vita del bambino, la dimensione formativa dell’individuo e, per questa ragione, non son affrontabili settorialmente ma necessitano di una progettualità basata su una puntuale collaborazione di tutte quelle forze, istituzionali e non, che scendono in campo per raggiungere questo obiettivo.
Andando, infine, oltre gli studi, le ricerche, le statistiche effettuate al riguardo, ritengo che per migliorare sensibilmente il rispetto delle norme da parte di tutti gli utenti della strada, è necessario garantire una continuità educativa (famiglia, scuola, istituzioni), un approccio globale che combini da un lato l’educazione e la sensibilizzazione degli utenti e dall’altro i controlli di Polizia e l’intervento dello Stato che dovrà essere impegnato nel creare anche nuove strutture ed infrastrutture che migliorino la nostra rete stradale e viaria e non solo, ma anche, nel contempo, promuovere mobilità sicura per gli utenti vulnerabili (bambini, anziani, disabili) e, poi, ma non per ultima una proposta – provocazione: perché non introdurre il Codice della Strada fra le discipline degli Atenei Universitari da sostenere, eventualmente, come esame complementare?
Grazie.
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