Intervista a Philip McKinney, nutrizionista
specializzato nell`analisi della food security, impegnato
a capire e redigere con il suo team corposi e dettagliati
reports che vengono studiati attentamente
dalle Nazioni Unite o dalle Ong che
richiedono la sua consulenza per operare al meglio
Abbiamo avuto la possibilità di incontrare il dott. Philip McKinney, un nutrizionista specializzato nell`analisi della food security (sicurezza alimentare), ovvero proprio uno di quei tecnici che si recano nelle regioni del pianeta continuamente in lotta contro la fame.
Il suo lavoro è capirne il perché e, insieme al suo team, redigere corposi e dettagliati reports che vengono studiati attentamente dalle Nazioni Unite o dalle Ong che richiedono la sua consulenza.
Poco prima di ripartire per una missione in Kenia, affidatagli da Save the Children, e non molto tempo dopo essere stato in Somalia, il dott. McKinney ci dà un appuntamento nel cuore di Roma, a Trastevere, e ci parla della sua attività.
Dottor McKinney, lei è uno specialista in food and nutrition security, da più di nove anni svolge il lavoro di consulente delle principali organizzazioni umanitarie internazionali che si occupano della fame nel mondo. Può introdurci il concetto di food security che è alla base delle sue indagini?
Questo concetto è fondamentale per il nostro lavoro d’analisi. Anche se è possibile trovarne delle spiegazioni differenti, generalmente si concorda sulla definizione che è stata fornita dal World Food Summit nel 1996, ovvero: si ha food security [sicurezza alimentare] quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico al cibo, il quale deve essere sufficiente, sicuro e nutriente, e soddisfare le loro esigenze dietetiche e preferenze alimentari per una vita sana e attiva. Quindi parliamo di food insecurity nell’ipotesi in cui non si verifichino queste condizioni.
Il Wfp [Programma Alimentare Mondiale] utilizza un frame work in cui sono presenti le linee guida dell’analisi di food security. Un riassunto in schema di tutto il lavoro che faccio. È piuttosto tecnico con molte parole chiave, ma si presenta così:
[Il Dott. McKinney ci mostra un diagramma (fig.1) in cui sono incasellate le principali informazioni da utilizzare nello svolgimento delle sue indagini. Le prime costituiscono una raccolta di notizie utili a delineare il contesto in cui si opera. Innanzitutto vanno individuati i principali fattori di esposizione al rischio alimentare che sono: la disponibilità di produrre, importare, vendere cibo; l’accesso ai servizi basilari e alle infrastrutture; le condizioni generali di stabilità politica, economica e istituzionale; lo studio dell’ambiente socio-culturale; le condizioni agro-ecologiche.
Avendo chiaro il contesto generale, si passerà ad analizzare i seguenti elementi: mortalità causata da errata alimentazione/denutrizione, consumo di cibo pro capite, stato generale di salute - che dipendono da come si utilizza il cibo; capacità di accesso al cibo delle famiglie, condizioni di igiene e salute pubblica, possibilità di accesso a cure - che dipendono dai risultati ottenuti dall`utilizzo dei mezzi di sussistenza; possibilità di produrre cibo ed avere accesso a beni e/o denaro, risorse naturali, umane e sociali - che dipendono da come si utilizzano i mezzi di sussistenza. N.d.R.]
Per il Wfp lei collabora a stretto contatto con i Vam officers, ovvero gli specialisti del programma Vam (vulnerabilty analysis and mapping). Può indicarci cosa si intende per vulnerability analysis? E mapping?
Non è una domanda semplice! Per rispondere a questa domanda è necessario definire vulnerability, sempre nel contesto di ciò che si intende per food security. Cercando di semplificare, la vulnerability è l’esposizione al rischio (rappresentato dalla siccità, dai conflitti, dalla perdita del raccolto ecc.) più la capacità di sopravvivere (che è influenzata dalle fonti di reddito del nucleo familiare, dalle risorse che ha a disposizione la famiglia e le eventuali possibilità di essere supportati da parenti e amici). In questo senso consideriamo più alta la vulnerabilità se ci sono problemi che non si possono affrontare perché non si dispone di un reddito sufficiente o di un sostegno alla famiglia o di beni come gli animali e gli attrezzi agricoli, che si possono usare o vendere se necessario.
Spero che questo renda il senso. Quindi, l’analisi delle vulnerabilities consiste nell’utilizzare i dati raccolti per identificare quali sono esattamente le debolezze, le fragilità del contesto in cui si opera. Successivamente poi produciamo una vera e propria mappatura (mapping) di tali informazioni. Questa mappatura serve a noi e a tutti coloro i quali lavoreranno al progetto dopo di noi, a capire dove sono i problemi da affrontare, chi ha bisogno di aiuto e quanti ne hanno bisogno.
Abbiamo visto che tipo di informazioni raccoglie, ma quali metodi e strumenti utilizza per farlo?
Per quanto riguarda i tipi d’informazioni che ho bisogno di raccogliere, alcune sono relativamente facili da reperire, altre decisamente più difficili. Ricevo queste informazioni anche grazie allo scambio dei dati con il personale delle varie Ong e agenzie delle Nazioni Unite presenti sul posto. A volte anche direttamente dai governi locali. Informazioni “più tecniche”, per esempio i dati sul “natural capital”, il capitale naturale (col quale indichiamo le condizioni della vegetazione, la morfologia del territorio ecc.) possono essere raccolti in remoto, utilizzando immagini satellitari. È molto complicato e ci sono agenzie specializzate per fornire questo tipo di dati.
Altre informazioni, sono spesso raccolte intervistando le famiglie. Lo facciamo con questionari, intervistando molti nuclei familiari, sempre scelti a caso ed in un esteso raggio d`azione, per essere certi che la nostra analisi rappresenti più possibile le famiglie della zona. Solitamente le nostre indagini si svolgono intervistando da 1.000 a 3.000 famiglie. Vi assicuro che ad eseguirlo correttamente è un compito oneroso! In alcune condizioni come quella della Somalia, è incredibilmente impegnativo, ma lo facciamo, e lo facciamo al meglio delle nostre capacità. Sono molto orgoglioso del lavoro che faccio e delle persone con cui lavoro.
In base alla sua esperienza professionale, quali sono in genere, le principali cause di food insecurity? E quali i fattori che più influiscono sulla vulnerability?
Un’altra grande domanda! Non c’è una risposta semplice, ma il Wfp lo spiega abbastanza bene nel suo sito (http://www.wfp.org/hunger/causes) indicando in sintesi cinque questioni principali, ed io mi trovo assolutamente d’accordo.
Queste sono cause naturali, in particolare siccità; guerra; povertà; mancanza di infrastrutture agricole; l’eccessivo sfruttamento dell’ambiente.
In realtà è molto complicato stabilire fattori generalmente validi, e posso dirvi che il lavoro che fanno le organizzazioni come il Wfp, così come altre agenzie dell’Onu e le Ong per capire a fondo queste cause, non è facile. Ragionare col senno di poi, in relazione a disastri come quello che sta accadendo in Somalia, è sbagliato, e molte persone criticano la comunità internazionale per non aver agito in tempo ed in maniera risolutiva. Tuttavia è molto difficile prevedere la natura, cioè il rischio (infatti in Somalia la causa principale dell’emergenza umanitaria in corso è una infausta siccità come non si aveva da oltre 60 anni). Un po’ più facile è invece capire la vulnerabilità, cioè la tendenza alla povertà. Alcuni dei dati e delle informazioni che vengono utilizzati sono il risultato di altissima tecnologia, ma per prevedere le emergenze, ancora ci si basa principalmente sulla capacità dell’analista e la fiducia nelle informazioni da questo personalmente fornite. Ricordate che dichiarare una “carestia” è un passo politicamente delicato da fare e non ne era stata dichiarata ufficialmente una da quasi 20 anni.
Come il Wfp (e le altre agenzie interessate) utilizza i dati da lei raccolti?
Il Wfp utilizza i dati per individuare dei targets, identificare le persone che hanno problemi, vedere dove sono, e quanti sono. Cercando di concentrare gli sforzi soprattutto sui luoghi più colpiti. Avere molte e corrette informazioni è molto importante in termini di efficacia.
Per farvi un esempio: se una scorretta (o assente) irrigazione è identificata come un fattore chiave della mancanza di produzione locale, ma i contadini sono troppo poveri e affamati per avviare corrette tecniche irrigatorie, il Wfp può cercare di fornire programmi denominati Food for Assets “Cibo per i Beni”. Ciò significa che agli agricoltori è distribuito del cibo (quindi non devono preoccuparsi di spendere tutti i loro soldi e concentrare tutti i loro sforzi per ottenere da mangiare), ed è fornita anche la competenza e le attrezzature per la costruzione di sistemi di irrigazione. Ciò si traduce in una maggiore produttività delle colture e la riduzione del food insecurity per il futuro. Questo è solo uno di molti programmi attuati.
In quali circostanze è richiesta la sua professionalità? Inoltre lei opera anche in momenti di relativa tranquillità o solo durante una catastrofe dovuta a cause geologiche, siccità e guerre civili ?
Il personale del Wfp, ma anche quello delle altre agenzie umanitarie e Ong, ha una capacità molto elevata di agire ed essere presente a livello globale. Tuttavia ci sono occasioni in cui quest’ultimi o sono troppo impegnati a gestire le emergenze in corso o non hanno localmente il tempo e/o la competenza per fare tutto il lavoro richiesto.
Normalmente il problema principale è quello del tempo. In queste circostanze (mancanza di tempo e/o competenze) viene richiesto il mio intervento, per aiutarli nel loro lavoro. Ci vogliono circa 3-4 mesi di intensa attività per svolgere anche le valutazioni più brevi, e non sempre il personale dipendente delle varie agenzie può impegnarsi in simili imprese.
Inoltre ho anche alcune abilità specifiche come analista che non è detto siano disponibili a livello locale. Quindi sono in grado di poter fornire tipologie di statistiche più complicate e reports più dettagliati. Il mio lavoro è spesso infrequente, perché il personale locale svolge la maggior parte delle valutazioni rapide. Quando vengo chiamato, di solito ho circa un mese di preavviso. Il tipo di ambiente di lavoro varia, ma io personalmente lavoro in ambienti prevalentemente definiti “stabili”. Altre persone lavorano in quelli meno stabili.
Che tipo si supporto, logistico, tecnico, umano, l’UN è in grado di fornire a voi analisti per svolgere il vostro delicato lavoro?
Di solito abbiamo tutto il necessario e l’Un si prende cura di noi! Il Wfp si occupa di tutti i miei spostamenti intorno al mondo e, negli ambienti più insicuri, io alloggio all’interno dei loro compounds e non in alberghi! Questo per la mia sicurezza. Inoltre, in previsioni di missioni in ambienti instabili, l’Un ci fornisce un training sulla sicurezza con diversi corsi di formazione. Mi procurano anche un’assicurazione, in quanto molte compagnie di assicurazioni private non ci pensano nemmeno ad assicurarmi per posti come la Somalia! In particolare per la voce “atti di guerra”. Provvedono anche alla profilassi sanitaria.
Fondamentalmente io lavoro per loro (l’Un), e utilizzo tutte le loro infrastrutture e contatti per svolgere la mia attività e devo dire che l`organizzazione funziona molto bene.
Riuscite a collaborare con i governi nazionali? E come si coordina il lavoro tra le varie agenzie delle UN? (1)
L’Onu ha l’autorizzazione di lavorare con il governo locale (ove esistente), e le Nazioni Unite nella maggior parte dei casi si muovono solo nei paesi che ne hanno richiesto l’intervento. Quindi facciamo tutto il nostro lavoro in stretta collaborazione con il governo nazionale (in Somalia lavoriamo con i leader locali). Questo è molto importante e garantisce che il governo capisca quello che facciamo e che lo facciamo per il bene della popolazione. In definitiva aiutiamo i governi locali ad aiutare se stessi!
Le varie agenzie delle Nazioni Unite e le varie Ong, sono tutte parte integrante del lavoro che faccio. C’è una collaborazione proficua e costante. Questo comprende molti incontri, riunioni prima di partire e sul posto, e la condivisione anche di mezzi e responsabilità di lavoro. Compreso il personale utilizzato per la raccolta dei dati. Infatti stessi analisti, come nel mio caso, possono lavorare ora con un’agenzia, ora con un’altra.
Come ci si approccia alle popolazioni locali per conquistarne la fiducia? Riuscite a trasmettere il messaggio che le indagini che fate hanno lo scopo di migliorare le loro condizioni di vita?
Ancora una volta, una domande difficile. Questo è un aspetto molto importante. Noi offriamo una formazione ai membri del nostro staff incaricati di raccogliere le informazioni e/o dati in queste comunità. Ci sono diversi livelli del problema, il fondamentale sta al livello delle comunità e delle famiglie. Comunichiamo molto chiaramente che siamo lì solo per raccogliere informazioni e che devono rispondere onestamente. Noi chiarifichiamo che il motivo per il quale sono intervistate non è per ricevere assistenza direttamente (cioè non è detto che tutte le famiglie intervistate riceveranno poi aiuti diretti). Hanno il diritto di rifiutare di parlare con noi, e in alcuni casi infatti rifiutano, a volte interi villaggi, a volte singole famiglie.
Dobbiamo essere rispettosi dei pensieri e delle opinioni di tutte le persone. Può capitare che insistere sullo svolgimento della nostra indagine diventi pericoloso visto che alcune comunità credono che non riceveranno nessun tipo di beneficio da queste interviste. Abbiamo dovuto affrontare diverse di queste situazioni piuttosto difficili in passato.
Come l’Un garantisce la vostra sicurezza nelle aree di maggior tensione socio - politica?
Non ci sono garanzie in questo mondo! Fanno del loro meglio per addestrarci, ed essere preparati per il peggio e ci informano della situazione in cui opereremo. Forniscono anche la sicurezza personale quando viaggiamo in zone pericolose, e procurano alloggi più possibili sicuri. Per esempio, abbiamo viaggiato con scorte armate e veicoli blindati quando mi trovavo in Somalia centrale. A Mogadiscio alcuni uomini delle Nazioni Unite sono stati a disposizione per la nostra sicurezza in qualsiasi momento.
Il personale in genere ha degli spostamenti limitati e controllati, e quando deve viaggiare, lo fa in convogli militari e mezzi blindati. Il Wfp ha un’intera unità di persone dedicate alla sicurezza del personale e dei beni e ti assicuro che prendono il loro lavoro molto sul serio.
In definitiva sta a me decidere se vale la pena correre il rischio. Ci sono alcuni paesi in cui rifiuto di andare, ma questa è solo la mia scelta. Nel caso di rapimento ci sono squadre specializzate nella negoziazione, rapidamente disponibili.
Come è possibile operare in presenza di un contesto politico ostile o che poco gradisce l’ingerenza della Comunità Internazionale?
In molti casi non è affatto possibile! Ma l’Onu cerca di negoziare almeno l’accesso alle persone più bisognose. La Somalia è un buon esempio di questo e molto lavoro è stato fatto per ottenere l’accesso alle persone più colpite. E’ pericoloso e porta spesso poca ricompensa o ringraziamenti. Le persone che personalmente portano il cibo e altre forme di assistenza ai più bisognosi lo fanno davvero correndo un grande rischio. Di tanto in tanto purtroppo qualcuno perde la vita.
In che zone del mondo ha lavorato?
Ho lavorato principalmente in Africa orientale (Uganda, Sudan, Somalia, Kenya, Tanzania), ma anche in Malawi, Sierra Leone e il Tagikistan.
La sua ultima missione è stata, fino al marzo del 2011, in Somalia. Da alcuni mesi quella terra è martoriata da una infausta carestia che sta decimando la popolazione civile (con la complicazione del gruppo di miliziani islamici Al-Shabaab, classificato come organizzazione terroristica, che controlla la maggior parte delle zone più gravemente colpite). Potrebbe descriverci come lei ha trovato quel paese durante la sua permanenza? Quali sono le maggiori criticità che minacciano la popolazione? Quali le aree del paese più colpite dalla carestia e perché?
È molto difficile descrivere brevemente questo a qualcuno che non ha mai conosciuto la povertà davvero a fondo. Se avete viaggiato in un paese africano allora, forse, potreste averne una vaga idea. La gente ha ben poco, molti hanno perso tutto ciò che possedevano. Ma sapete, anche in questa circostanza si trovano dei sorrisi! Ho paura che se comincio non sarò in grado di fermarmi, cercando di dipingere un quadro più dettagliato. I somali che conosco sono persone straordinarie, veri e propri sopravvissuti, a guerra, fame, povertà. Tuttavia, le circostanze attuali abbasseranno la loro capacità di reagire e anche di rispondere alle nostre indagini, probabilmente molti non lo faranno.
Questa è di gran lunga la peggiore siccità (la causa principale della carestia) in questa regione da lungo tempo. La situazione è stata aggravata dal combattimento che è in corso in Somalia centrale e meridionale (cioè, proprio le aree più colpite). Ricordate che anche le regioni limitrofe del Kenya orientale e parti dell’Etiopia devono affrontare una grande quantità di avversità. In sintesi posso dirvi che in Somalia ci sono state piogge scarse negli ultimi quattro anni e questo ha portato a ricorrenti cattivi raccolti e una perdita progressiva del numero dei capi di bestiame.
Nelle parti più colpite della Somalia il bestiame è fondamentale per la vita delle persone. Quando perdono gli animali, perdono il risparmio, perdono una fonte di cibo e regrediscono nello stato sociale. Le famiglie prive di bestiame prendono in prestito denaro per sopravvivere e ottenere beni di prima necessità, come l’acqua, presa a credito, che non possono ottenere se non hanno nulla a fungere da capitale, cioè una sorta di certezza che un giorno pagheranno il debito. Quando le persone perdono tutto ciò che hanno non mangiano e sono povere, e perdono anche la capacità di recuperare, per esempio, qualora la situazione ambientale dovesse tornare più favorevole, magari con l’arrivo delle piogge. Non ci saranno animali da far riprodurre, ne semi per seminare quando il terreno sarà più fertile. La situazione è ciclica, ma ora ha assunto aspetti catastrofici per le persone che ci abitano. Non hanno più cibo, stanno diventando malnutriti e stanno morendo di fame.
Può raccontarci un aneddoto relativo ad una delle sue varie missioni?
Vi racconterò una storia individuale e poi una che dimostra i vantaggi del lavoro che faccio.
Lavorando in Sierra Leone ho conosciuto una ragazzina di circa 13 anni. Venne al centro dove stavamo trattando la malnutrizione acuta grave (soprattutto bambini, quelli che sono troppo magri per la loro altezza). Era la sua seconda volta nel centro: era venuta la prima volta a causa di una malattia, successivamente aveva partorito e poi aveva perso gran parte del suo peso corporeo. Nonostante tutto questo, continuava a sorridere, quel sorriso mi rimase impresso. Con il trattamento, entro un mese riuscì a tornare a condizioni normali tanto che fu in grado di tornare a casa e stare con la sua famiglia completamente recuperata. È difficile sapere dove sia ora. Ciò che conta però è che abbiamo potuto salvare la sua vita in quel periodo (vedi foto Aminata nella pagina successiva).
Nel 2008, stavo lavorando col mio team nel Somaliland (la parte nord ovest della Somalia) per effettuare una valutazione della Food Security. In quel periodo, molte delle organizzazioni umanitarie erano preoccupate per la parte orientale del paese e dei problemi che esistevano lì. Dopo aver raccolto e analizzato attentamente l’ingente mole di dati da noi raccolti, ci siamo accorti che invece c’erano problemi ben più grandi nella parte occidentale del paese! Successivamente ad alcune nostre richieste di verifica alla comunità internazionale, le agenzie umanitarie si sono rese conto che effettivamente c’era da preoccuparsi molto delle grandi problematiche da noi scoperte all’ovest. Fornirono quindi, su nostra richiesta, un ulteriore sostegno a quella regione. Credo che il lavoro che abbiamo fatto all’epoca, abbia salvato molte vite.
Ci può accenare dove andrà e che cosa farà per la sua prossima missione?
Sto andando in Kenya per collaborare con la Ong britannica Save the Children. Lì aiuterò l’organizzazione a studiare come stanno procedendo le operazioni di un loro programma di nutrizione, attualmente in corso in Kenya orientale. Sulla base di ciò che troveremo, faremo una revisione del programma, e forniremo eventuali raccomandazioni ed indicazioni atte all’ottimizzazione di risorse e sforzi. Il programma alimenta fondamentalmente bambini malnutriti in questa parte del mondo e sicuramente si sta occupando anche di somali che arrivano oltre il confine come rifugiati. Ma di questo, se vorrete, ne parleremo al mio ritorno.
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NOTE:
1) In generale per coordinare le azioni di emergenza tra le varie agenzie dell’ONU, e` stata istituita l’unita` UN-DMT ovvero Disaster Management delle Nazioni Unite, che opera a seguito di calamita` naturali e conflitti.
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Un’esperienza decennale su nutrizione e sicurezza alimentare
Philip McKinney è nato a Belfast il 5 marzo del 1974. Dopo una laurea in Parassitologia all’Università di Glasgow nel 1997 ed un Master in Scienze della Nutrizione e della Salute Pubblica presso lo stesso Ateneo nel 2001, ha indirizzato i sui studi nella ricerca di modelli di nutrizione delle popolazioni emarginate. Oggi è un nutrizionista con un’esperienza decennale nei sistemi informativi, analisi delle informazioni, metodologie di ricerca, sviluppo di materiale di riferimento e linee guida dell`indagine nutrizionale. La sua esperienza comprende sia il campo nutrizionale vero e proprio, sia lo studio della sicurezza alimentare, in particolare con una approfondita conoscenza delle comunità pastorali.
Ha lavorato con diverse Ong internazionali, per le Nazioni Unite, e direttamente per governi nazionali, come consulente-analista delle situazioni alimentari dei paesi poveri ed in via di sviluppo. Per queste organizzazioni ha anche collaborato nello sviluppo di sistemi di valutazione e revisione di strategie di sorveglianza, di raccolta dati e di elaborazione delle informazioni.
Il dott. McKinney è in continuo aggiornamento ed ampliamento delle sue competenze in questioni di nutrizione e valutazioni della vulnerabilità alimentare, tanto da aver raggiunto un altissimo livello professionale ed essere continuamente contattato da organismi di tutto il mondo.
La sua specialità è l’analisi dei dati, la metodologia dell’indagine e della sorveglianza alimentare e l’analisi della food-security e vulnerability. Inoltre il dott. McKinney sviluppa modelli di nutrizione delle popolazioni emarginate.
Philip McKinney è anche un’abile fotoreporter, sue le immagini di questo servizio.
On-line è possibile reperire molti dei reports realizzati dal dott. McKinney.
Per averne un’idea, ai seguenti link ne troverete alcuni:
http://documents.wfp.org/stellent/groups/public/documents/ena/wfp085651.pdf
http://documents.wfp.org/stellent/groups/public/documents/ena/wfp202495.pdf
http://documents.wfp.org/stellent/groups/public/documents/ena/wfp144576.pdf
Per foto realizzate da McKinney:
http://www.flickr.com/photos/chasingphil
http://chasingphil.smugmug.com
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FONTI ED APPROFONDIMENTI:
http://it.wfp.org/ - http://it.wfp.org/content/la-mappa-della-fame-2011 -
http://www.unicef.it/cornodafrica?gclid=CL2_85vC5qoCFVBlfAodMFIJ7g
http://www.fao.org/ -
http://www.unhcr.it/?gclid=CMKi073E5qoCFQYK3wodBkxH_Q
http://epmaps.wfp.org/maps/04903_20110711_GBW_A2_GLCSC_Horn_of_Africa,_General_Logistics_Planning_Map,_07_July_2011.pdf
http://www.avsi.org/ - http://www.fews.net/Pages/default.aspx - http://www.medicisenzafrontiere.it/default.asp
http://www.savethechildren.in/index.php - http://www.amnesty.it/index.html -
http://www.economist.com/node/18200618
http://www.corriere.it/ambiente/11_agosto_22/settimana-mondiale-acqua_8c1895e0-ccc2-11e0-8c25-58bcec909287.shtml
Corriere della Sera: tutti i servizi video dalla Somalia di Massimo A. Alberizzi.
Per la sua fondamentale attività di interprete, si ringrazia la dott.ssa Tiffany Marie Parks, giornalista e scrittrice.
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