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Settembre-Ottobre/2011 - Articoli e Inchieste
Sanità
Consultorio e legge Tarzia: rinnovamento o morte di un servizio?
di Eleonora Fedeli

Incontri pubblici, dibattiti e tantissime firme: i no
alla proposta di legge regionale dell’onorevole
aumentano di giorno in giorno. La riforma di queste strutture
sembra voler piegare un’importante organo pubblico
e da sempre laico a norme etiche partigiane
e a interessi di natura squisitamente privati



La proposta di legge per la riforma dei consultori presentata dall’on. Olimpia Tarzia e sottoscritta da 38 consiglieri regionali del Lazio è in discussione ormai da più di un anno. Scopo della proposta è quello di ridefinire il «ruolo dei Consultori Familiari, non più strutture prioritariamente deputate a fornire, in modo asettico, una serie di servizi sanitari o para-sanitari alle famiglie, bensì istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia ed i valori etici di cui essa è portatrice». Saltando da un capoverso all’altro dell’introduzione, leggiamo che il provvedimento è volto a tutelare la vita e il figlio concepito e a «vigilare sulla famiglia», quella fondata sul matrimonio, «primaria ed infungibile società e istituzione prioritariamente votata al servizio della vita». Il soggetto “famiglia” è centrale a tal punto che le Istituzioni pubbliche dovrebbero retrocedere a una posizione sussidiaria «nei confronti del consorzio familiare e delle associazioni e organizzazioni senza scopo di lucro che promuovono i valori familiari».
In realtà, tutto questo interesse per le questioni legate alla natalità e alla famiglia da parte dell’On. Tarzia, nota antiabortista promotrice del Movimento per la Vita e del Family Day, non stupisce affatto. Quello che colpisce è lo spropositato passo indietro che costituirebbe una simile riforma: con un colpo di spugna verrebbe cancellata una stagione di lotte, quella che insieme alla nascita del consultorio portò altre importanti conquiste come la depenalizzazione dell’aborto e l’istituzione del divorzio. Nonostante, infatti, i consultori venissero definiti “familiari”, la legge nazionale 405 affermava per la prima volta nel diritto del nostro Stato la separazione fra riproduzione e sessualità femminile, principio che troverà attuazione nella legge 194 del 1978. Inoltre, mentre la legge 405 parla di un servizio rivolto alla famiglia, alla coppia e al singolo individuo, la Tarzia riconosce l’accesso ad un unico soggetto sociale, la famiglia, in particolare quella fondata sul matrimonio. E se la sacra famiglia sancita dal matrimonio è dedita, come suo ruolo naturale, alla procreazione (ruolo da tutelare e vigilare), lo sguardo successivo della legislatrice si posa immediatamente sulla maternità e sul concepimento: il concepito diventa immediatamente “vita nascente” e “membro di una famiglia”.
Essendo il ruolo del consultorio quello di promuovere tutte «le condizioni per il pieno sviluppo di ogni persona umana», nell’articolo 13 si delinea un nuovo percorso di accoglienza per le donne che si rivolgono a tali strutture, percorso che nella fase iniziale consiste nella «proposta di soluzioni concrete per prevenire l’interruzione di gravidanza». Questo primo approccio vanta anche una fase propositiva, «nella quale si colloca la previsione di aiuti economici», ovvero un assegno mensile per la donna e il figlio rinnovabile fino al quinto anno di età del bambino (questo senza certezza della copertura finanziaria). Ricordiamo che il fondo era stato già istituito, senza alcuna copertura, dalla giunta Marrazzo. Viene da chiedersi, inoltre, perché lo stesso assegno non dovrebbe essere corrisposto a tutte le madri in difficoltà economiche, anche quelle che non hanno mai avuto la minima intenzione di abortire.
Articolo dopo articolo, si ha l’impressione che per le donne l’interruzione di gravidanza diventi un vero e proprio percorso a ostacoli. La norma prevede addirittura l’istituzione di comitati di bioetica, di un “esperto di bioetica” e di altre figure professionali. Altrettanto discutibile l’idea di attuare un controllo professionale e dei valori etici degli operatori dei consultori nel processo di selezione del personale, in contrasto con l’autonomia professionale che contraddistingue tali figure.
La centralità della famiglia e della sua funzione riproduttiva, la grande attenzione sul tema dell’interruzione di gravidanza finiscono per far passare il consultorio come un centro anti abortivo, oscurando tutto il resto. Una donna può rivolgersi ai consultori per effettuare visite ginecologiche, pap test, preparazione al parto, tutto ciò insomma che riguarda la salute e la procreazione. Malgrado le risorse limitate, i consultori hanno un’utenza vastissima: il 51% delle donne del Lazio che partoriscono passano per i consultori, almeno per un servizio. Da una recente ricerca di Lazio Sanità, inoltre, è emerso che il 40% delle donne che si rivolgono al consultorio per la Ivg (interruzione volontaria di gravidanza) scelgono alla fine di portare avanti la gravidanza, svolgendo già questa funzione di empowerment che la proposta di legge vorrebbe istituire. Infine, mi sembra fondamentale non sottovalutare che, nella proposta di legge, l’unica legittimazione possibile per un nucleo familiare è il matrimonio, escludendo di fatto tutte le altre situazioni che costituiscono la realtà sociale di oggi.
La proposta di Olimpia Tarzia ha un elemento di “innovazione” ulteriore: la presenza di associazioni e di gruppi pro-family e di volontariato che dovrebbero entrare nel meccanismo di gestione e controllo dei consultori pubblici e quindi della vita familiare. La proposta di legge del Lazio in questo senso è un banco di prova, un test per il territorio nazionale, in cui si misura la possibilità di un nuovo welfare comunitario e societario, basato sulla sussidiarietà in un mix privato-pubblico: il pubblico non è completamente dismesso, ma palesemente subalterno e funzionale da una parte all’imposizione di supposte norme “etiche” e dall’altra all’avanzata aggressiva degli interessi privati (vedi gli sgravi fiscali agli Enti che collaborano volontariamente nella struttura e l’equiparazione e il finanziamento dei consultori privati).
La legge è attualmente allo studio della Commissione regionale politiche Sociali. Numerose associazioni di donne riunite in un’Assemblea permanente stanno raccogliendo firme per impedire l’approvazione della norma, rivendicando il carattere di struttura pubblica, laica e gratuita dei consultori. Strutture che, nonostante negli anni non siano state adeguatamente valorizzate né sostenute sul piano economico e strutturale, ogni giorno accolgono i bisogni essenziali delle donne, soprattutto di quelle socialmente più fragili.

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Dalla legge del 1975 a quella del 2004

Il Consultorio familiare, istituito con la legge 405 del 29 luglio 1975, ha lo scopo di intervenire in sostegno alla famiglia o al singolo che vi faccia ricorso ed è un servizio fornito istituzionalmente dalle Asl, rientrando quindi nella organizzazione della regione, alla quale compete l'organizzazione finanziaria e gestionale. Assieme alle Asl appartiene quindi al Servizio sanitario nazionale pubblico.
La legge del 29 luglio 1975, n. 405 che istituisce i consultori familiari, stabilisce che il "servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità" ha come scopo:
• l'assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla problematica minorile;
• la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e da singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti;
• la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento;
• la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza consigliando i metodi ed i farmaci adatti a ciascun caso.
Inoltre la Legge del 19 febbraio 2004, n. 40 in materia di procreazione medicalmente assistita, ha aggiunto come scopi:
• l'informazione e l'assistenza riguardo ai problemi della sterilità e della infertilità umana, nonché alle tecniche di procreazione medicalmente assistita;
• l'informazione sulle procedure per l'adozione e l'affidamento familiare.
Il consultorio familiare assume inoltre un ruolo centrale nell'ambito della tutela sociale della maternità e dell'interruzione volontaria della gravidanza, infatti la legge del 22 maggio 1978, n. 194 stabilisce che essi, oltre ai predetti compiti istituzionali, assistono la donna in stato di gravidanza:
• informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;
• informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;
• attuando direttamente o proponendo all'Ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi consultivi
• contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza.
I Consultori familiari possono avere ulteriori scopi, individuati sulla base dei bisogni sanitari e sociosanitari del territorio, per realizzare i quali possono collaborare con Enti pubblici e organizzazioni private nonché con associazioni di volontariato o singoli operatori volontari.

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Un po’ di numeri

• La legge 34/1996 ne prevede 1 ogni 20.000 abitanti ma in Italia ce ne sono 2.168 pubblici e 114 privati - pari allo 0,7 - che tende ulteriormente a scendere in seguito al continuo accorpamento dovuto alla mancanza di finanziamenti e personale.
• Nel Lazio ci sono 163 consultori pari allo 0,6 per 20.000 abitanti, ne mancano almeno 118.
• Nel 2008, secondo il Ministro della Salute, si registra un ulteriore aumento generale dell’obiezione di coscienza già presente negli ultimi anni
• Dalla relazione annuale sulle Ivg del Ministro della Salute presentata al Parlamento ad agosto 2010 risulta che i ginecologi obiettori passano dal 58,7% del 2006 al 71,5% del 2008; gli anestesisti obiettori dal 45,7% del 2005 al 52,6% del 2008.
• Nel Lazio su 100 ginecologi 86 non effettuano l’Ivg perché obiettori.

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