Somalia, Gibuti, Kenya, Etiopia
e Uganda sono vittime di guerre civili
e assenza degli elementari diritti umani
che stanno mettendo a rischio la vita di 13 milioni
di persone, tra cui moltissimi bambini
Secondo i dati in possesso del Wfp (Programma Alimentare Mondiale) oltre 13 milioni di persone della regione del Corno d’Africa(1) stanno soffrendo la fame(2).
La più aspra siccità degli ultimi 60 anni, unita all’incertezza politica(3), sta causando la fine di migliaia di vite. In particolare le maggiori criticità si registrano in Somalia. A fine luglio le Nazioni Unite hanno dichiarato lo stato di carestia in due regioni della Somalia meridionale: Bakool e Shabeellaha Hoose. In seguito le stesse condizioni sono state denunciate anche in due distretti rurali del Middle Sahbelle (Balcad e Cadale), nel Afgooye Corridor e tra Mogadiscio e dintorni.
Il vicepremier del governo di transizione somalo, Mohammed Ibrahim, asserisce: «la popolazione è disperata, siamo testimoni di enormi sofferenze e speriamo che la comunità internazionale sia in grado di aumentare gli aiuti». Ibrahim non ha mancato di accusare anche gli Al-Shabaab, le milizie fondamentaliste islamiche che controllano gran parte del paese, specialmente il centro e il sud, proprio le zone più duramente colpite dalla carestia.
L’allarme siccità nella regione è salito a partire da giugno, quando il Famine Early Warning Systems Network, un’agenzia statunitense specializzata nell`analisi della sicurezza alimentare(4), ha indicato quest’anno come il più secco in quei territori dal 1950.
La causa primaria di questo disastro, è che da due anni non piove nelle aride regioni dell’Africa orientale. Questi sono luoghi dove l’acqua è talmente scarsa che la produzione agricola riesce a stento a soddisfare le esigenze di un esiguo numero di abitanti. Migliaia di famiglie sono costrette a spostarsi con animali a seguito, capre, cammelli, pecore e altro bestiame, percorrendo estese distanze prima di raggiungere campi irrigati da acqua piovana. Quando non piove così a lungo, la terra arida si sfalda, l’erba marcisce, il bestiame muore e le comunità soffrono la fame(5).
La crisi somala è ovviamente aggravata dalla guerra civile che perdura da 20 anni. Negli ultimi mesi la situazione è peggiorata a causa delle azioni delle milizie fondamentaliste islamiche degli Al-Shaabab, da tempo in lotta per rovesciare il governo somalo. Nel tempo i miliziani sono riusciti a prendere il controllo di diversi territori della Somalia, arrivando nel 2009 ad imporre un blocco agli aiuti umanitari provenienti dall’estero. Solo negli ultimi mesi i capi delle milizie integraliste, hanno concesso di far arrivare gli aiuti internazionali nelle zone più colpite dalla fame.
Dai vertici straordinari della Fao convocati a Roma, uno il 25 luglio, l’altro il 18 agosto, emerge la forte possibilità che la siccità continui per tutto l’autunno, e che i raccolti siano danneggiati fino al 70 per cento. Inoltre la quantità delle piogge future, ammesso che ci siano, potrebbe non essere sufficiente a normalizzare la situazione dell’irrigazione dei campi. I prezzi dei beni di prima necessità poi, non fanno che aumentare(6).
Oltre alla Somalia, anche negli altri paesi colpiti dalla siccità: Kenya, Etiopia, Gibuti e Uganda, la situazione è gravissima.
In particolare il Kenya e l`Etiopia, sono i paesi che accolgono il maggior numero di sfollati somali. Per sfuggire alla fame i somali si dirigono in tre direzioni. Molti cercano di raggiungere Mogadiscio, dove arrivano gran parte degli aiuti delle organizzazioni internazionali. Molti altri si dirigono oltre confine, cercando di raggiungere il campo rifugiati di Dolo Odo, in Etiopia, che conta ormai oltre 90mila profughi. La maggior parte, (si stima più di 1.300 al giorno), cerca di superare il confine somalo a sud, e riversarsi nello sterminato agglomerato di Daadab, in Kenya, considerato oggi il campo più grande del mondo. Solo negli ultimi due mesi, Daadab ha ricevuto circa 71mila nuovi rifugiati.
Ai campi strutturati, come quelli di Dolo Odo e Daadab, se ne affiancano altri, informali, costruiti con tende di fortuna e privi di condizioni di vivibilità accettabili. «La situazione è estremamente grave, ogni giorno arrivano quasi 1.500 profughi dalla Somalia, Tra loro ci sono famiglie che hanno camminato per un mese. Chi come noi lavora nel campo da anni, vive oggi la difficoltà di non riuscire a far fronte a questa tragedia umana». Queste le parole di Leonida Capobianco, rappresentate di Avsi in Kenya.
Gli sfollati che arrivano non trovano più posto, e si accampano come possono, con ripari improvvisati. «In questi agglomerati la percentuale di bimbi denutriti è tre volte superiore a quella registrata nei campi veri e propri», afferma Caroline Adu Sada, coordinatrice di Medici Senza Frontiere in Kenya.
Da quando il 20 luglio scorso è stato dichiarato lo stato di carestia, l’Unhcr (l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati) ha assistito oltre 90.000 persone a Mogadiscio e migliaia di rifugiati nei vari campi.
Secondo Save the Children, oltre la metà della popolazione nelle zone più colpite della Somalia, è costituita da bambini. Ben Fot, direttore di Save the Children in Somalia, afferma che l’organizzazione umanitaria sta sfamando e curando migliaia di bambini malnutriti, ma non ci sono risorse sufficienti per far fronte alle necessità di tutti.
Come se non bastasse un altro allarme giunge da Amnesty International, che denuncia crimini di guerra di cui sono vittime soprattutto bambini, come l`arruolamento nelle milizie islamiche di soldati di età inferiore ai 15 anni. Per far comprendere l’entità del problema alla comunità internazionale, Amnesty ha prodotto un rapporto, dal titolo ‘Sulla linea del fuoco. Bambine e bambini sotto attacco in Somalia’. Nel rapporto si denunciano, oltre agli arruolamenti forzati, anche l`impossibilità di ricevere un’istruzione, uccisioni e ferimenti nel corso degli attacchi contro aree densamente popolate.
«Quella della Somalia non è solo una crisi umanitaria. È una crisi dei diritti umani e una crisi dei bambini» ha dichiarato Michelle Kagari, vicedirettrice per l’Africa di Amnesty International. «Se sei un bambino in Somalia, rischi la vita ogni momento: puoi essere ucciso, reclutato, punito da Al-Shabaab perché ti hanno trovato mentre ascoltavi musica o indossavi ‘vestiti sbagliati’, costretto ad arrangiarti da solo perché hai perso i genitori, o morire perché non hai accesso a cure mediche adeguate». Secondo Kagari inoltre, la crisi umanitaria che ha colpito i bambini in Somalia, è anche il risultato del fatto che negli ultimi due anni gli Al-Shabaab abbiano impedito l`arrivo di aiuti umanitari.
Anche lo stesso governo federale di transizione della Somalia è accusato dalle Nazioni Unite di aver impiegato bambini nel conflitto armato. Nonostante l’impegno formale a rispettare i diritti dei minori, utilizza ancora bambini nelle forze che combattono dalla sua parte.
Anthony Lake, direttore Unicef, al meeting Fao di Roma del 25 luglio ha dichiarato: «I bambini non muoiono solo perché non hanno cibo a sufficienza. In vari stadi di malnutrizione, sono più vulnerabili a malattie e infezioni. La sfida aumenta con il peggiorare dello stadio di malnutrizione, e il pericolo per i bambini sale sempre di più».
Nel corso del mese di settembre, purtroppo, secondo il Food Security and Nutrition Analysis Unit's Famine Early Warning System Network (Fews - Net) - quasi tutte le regioni della Somalia meridionale sono state colpite dalla carestia.
Ma come si stabiliscono i piani di intervento in situazioni come questa, e più in generale, in tutte le zone del mondo che soffrono la fame? La risposta deve essere strutturata in maniera tale da raggiungere prima di tutto chi ha maggiore bisogno e chi è più a rischio. Organizzare operazioni di assistenza preventiva, a favore delle persone che vivono nelle aree colpite da siccità e carestia, con interventi di breve e di medio termine che aiutino gli agricoltori e le loro famiglie a proteggere le loro attività e a continuare a produrre cibo. In più la risposta deve essere flessibile, applicando eterogenee modalità d`intervento in base alle diverse circostanze e adattandosi alle esigenze locali.
Per realizzare programmi efficaci e differenti, è necessario comprendere i problemi che si devono affrontare, capire i contesti in cui si andrà ad operare, adeguandovi le tecniche di intervento. In sintesi prima di muoversi con qualsiasi programma di aiuto, bisogna effettuare delle vere e proprie indagini sul posto.
La comunità internazionale, in primo luogo tramite le preposte agenzie dell’Onu(7), ed in secondo luogo tramite centinaia di Ong(8), è presente nelle zone del pianeta dove la sicurezza alimentare(9) è costantemente minacciata da problemi climatici, guerre e problemi economici. Precedentemente agli aiuti umanitari, laddove le circostanze lo rendano necessario, tutte queste agenzie (sia quelle delle Nazioni Unite, che le Ong internazionali) operano come un’unica grande rete di raccolta dati. Questi dati costituiscono quella serie di informazioni fondamentali per pianificare gli interventi e/o migliorare quelli già in corso. Non solo, questa vasta mole di notizie, una volta giunta agli uffici centrali dei vari organismi internazionali, la ritroviamo sotto forma di relazioni, nei rapporti che vengono discussi in assemblee e meetings (ad esempio durante i vertici della Fao).
Vengono inoltre presentati nelle conferenze stampa ai media di tutto il mondo, affinché si diffondano i fatti acclarati, e si sensibilizzino le coscienze di quella parte della popolazione mondiale che ha la forza di intervenire o finanziare i progetti.
A questo punto è evidente quanto il lavoro di raccolta delle informazioni, che avviene direttamente nelle zone di crisi, richieda un’elevata professionalità e competenza. Innanzitutto si va nei villaggi più a rischio alimentare o direttamente colpiti da fame. Lì, tramite lo studio degli esperti analisti e nutrizionisti, si cerca di comprendere la situazione delle famiglie, le cause del loro malessere (mancanza di cibo, malattia, insicurezza sociale dei villaggi), e quali sono i mezzi di sostentamento, il grado di istruzione, il funzionamento dei mercati locali, la composizione delle famiglie, il livello di produzione agricola, la disponibilità locale di cibo. Ma non solo, ci si avvale anche di sistemi informativi geografici e satellitari, per comprendere la morfologia dei territori, il volume delle precipitazioni, la copertura vegetale. Altri dati sono quelli medici, per stabilire quantità e tipologie di malattie e condizioni generali di salute.
Nei territori a loro assegnati, gli analisti cercano di rispondere a domande come: chi è in insicurezza alimentare? Quanti sono in insicurezza alimentare? Perché? Dove vivono? Cosa si può fare per salvare loro la vita? Sono presenti infrastrutture e mezzi di produzione? E in che condizioni?
Si identifica di conseguenza il tipo di intervento migliore, garantendo l’uso più efficiente possibile delle risorse disponibili, orientando anche l’assegnazione dei finanziamenti. Si sostengono e rafforzano le capacità dei governi di preparare in anticipo i mezzi per rispondere alla fame. Infine, si aiutano le comunità locali a comprendere come produrre i beni di prima necessità, anche adattandosi ai cambiamenti climatici.
Un altro aspetto delle valutazioni, è l’analisi dell’impatto dei prezzi dei prodotti alimentari sulle economie domestiche dei paesi poveri o in via di sviluppo, ovvero come l’aumento dei prezzi renda difficoltoso l`accesso al cibo delle famiglie e riduca il commercio interno. Il Wfp, ad esempio, produce un bollettino trimestrale dell’andamento dei prezzi dei prodotti alimentari di base, in oltre 30 paesi considerati vulnerabili.
Il lavoro degli analisti porta ad individuare territori e popolazioni vulnerabili, ovvero suscettibili di soffrire la fame, e a tracciarne delle vere e proprie mappe. Ad esempio il programma di analisi della sicurezza alimentare e vulnerabilità del Wfp è appunto denominato Vam - Vulnerability Analysis and Mapping.
Il Wfp unitamente alla Fao, la Care International, la Fews-Net, il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea, la Oxfam Gb, e Save The Children, ha sviluppato una classificazione standard della sicurezza alimentare, tale da facilitare il confronto tra paesi e tra organizzazioni. Questa classificazione comprende cinque fasi: 1) generale sicurezza alimentare; 2) moderata insicurezza alimentare; 3) grave crisi alimentare; 4) emergenza umanitaria; 5) catastrofe umanitaria.
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NOTE
1) Il Corno d’Africa comprende l’Eritrea, il Gibuti, la Somalia e l’Etiopia. Convenzionalmente anche il Kenia ne e`considerato una parte integrante. E’ una delle regioni del mondo considerata a maggiore insicurezza alimentare, caratterizzata da siccità cicliche frequenti, instabilita`politica, malattie ed alto tasso di analfabetismo. In questa zona dell’Africa, come in altre parti del mondo valutate a rischio alimentare, sono sempre presenti le agenzie delle nazioni unite, in primo luogo il WFP (Programma Alimentare Mondiale) e centinaia di ONG. Queste svolgono programmi di analisi, raccolta dati e monitoraggio ed eventualmente forniscono aiuti umanitari.
2) Le persone che nel mondo soffrono la fame sono oltre un miliardo. La situazione potrebbe anche peggiorare nel prossimo futuro: entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungera` i 9 miliardi di persone, con conseguente maggiore sfruttamento delle risorse disponibili. Nel settembre del 2000, 191 capi di stato e di governo hanno sottoscritto un patto globale di impegno congiunto tra paesi ricchi e paesi poveri, approvando unanimemente la Dichiarazione del Millennio. Da questa dichiarazione sono scaturiti otto obiettivi (detti appunto gli obiettivi del millennio), da realizzare entro il 2015, e che costituiscono l’impegno a fare cio` che e` necessario per costruire un mondo piu` sicuro ed equo per tutti. Il primo di questi obiettivi e` SRADICARE LA POVERTA` ESTREMA E LA FAME. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (Art 25, par 1) afferma che: “ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.
3) Per avere un quadro della situazione politica della regione, si consiglia l’interessante articolo del dott. Matteo Guglielmo, reperibile al seguente link: http://www.ong.agimondo.it/la-polveriera-corno-dafrica. Il Governo Federale di Transizione, e` sostenuto dai suoi alleati: il contingente di pace dell’Unione Africana (l’Amisom, Africa Mission in Somalia, formato da 9.000 soldati ugandesi e burundesi) e il migliaio di miliziani dell’ Ahlu-Sunnah Wal-Jama ah, un gruppo islamico moderato.
4) L’agenzia fa parte dell’organizzazione USAID, ente statunitense per lo sviluppo internazionale, che fornisce assistenza economica e umanitaria in oltre 100 paesi.
5) Portare gli aiuti non è semplice perché i gruppi armati che controllano il territorio non danno sufficienti garanzie di sicurezza, né per le istituzioni internazionali né per le associazioni non governative. Stati Uniti e Nazioni Unite chiedono maggiori garanzie per poter operare in Somalia e portare aiuto alle popolazioni colpite dalla carestia. La distribuzione degli aiuti internazionali non puo` essere quindi abbastanza capillare perché i ribelli islamisti di Al- Shabaab, che controllano alcune delle zone più colpite dalla carestia, hanno un atteggiamento ambiguo nei confronti delle agenzie umanitarie. Nonostante l’iniziale apertura alle organizzazioni internazionali, i militanti integralisti negano la gravità della situazione e sostengono che le dichiarazioni dell’ONU abbiano una motivazione politica.
6) Il forte aumento dei prezzi degli ultimi due anni è stato causato anche dal riversare, sulle speculazioni in campo alimentare, il denaro che dopo la crisi del 2008 cercava altre opportunità. Inoltre l’innalzamento dei prezzi e` in parte innescato e sostenuto dalla scelta dei biocarburanti che “sottraggono pane per farne benzina”. L’utilizzo del mais per produrre biocarburanti ad oggi e` costato circa 20 miliardi di dollari l’anno, e ha portato il 40% del mais statunitense nei serbatoi delle auto e non nelle pance della gente.
7) Come: l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD), Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), Il Programma Alimentare Mondiale (WFP), l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati (UNCHR), l’Organizzazione Mondiale della Sanita` (OMS), ecc.
8) Organizzazioni Non Governative, come ad esempio: Save the Children, Action Aid, AVSI, AMREF, Amnesty International, Europe Aid e molte altre.
9)Tutti i lavori di analisi alimentare svolti dagli specialisti di ogni organizzazione, si basano su tre concetti principali: 1) SICUREZZA ALIMENTARE: che si ha quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico al cibo, il quale deve essere sufficiente, sicuro e nutriente, e soddisfare le loro esigenze dietetiche e preferenze alimentari per una vita sana e attiva. 2)ACCESSO AL CIBO: che e` determinato dalla capacita` dei nuclei familiari di ottenere prodotti alimentari, di produzione propria, o tramite acquisto, raccolta, donazioni o scambi. 3)VULNERABILITA`: che e` rappresentata dalla probabilita` di un declino dell’accesso e del consumo di cibo, spesso in riferimento a un valore critico che definisce i livelli minimi per il benessere umano. Oppure si puo` considerare la vulnerabilità come la somma di due fattori: l`esposizione al rischio alimentare piu` la capacita` di sopravvivere. (fonte: http://www.wfp.org/odan/senac)
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