Dopo Genova ritorna a Roma il ‘blocco nero’, ragazzi
spesso descritti come alieni, come altro rispetto
al movimento che si è formato nell’ultimo anno
contro il capitalismo e gli effetti nefasti
delle sue distorsioni. Ma cosa pensano?
Chi c’è dietro il casco nero?
Io ero tra loro, ho assistito alle loro azioni mirate, alle loro devastazioni, alla loro battaglia con le Forze dell’Ordine. Li ho seguiti, li ho visti prepararsi e ho visto le loro strategie. Ora provo a raccontarveli.
Innanzitutto sfatiamo dei miti. «Avete già provato il desiderio di bruciare una organizzazione commerciale di distribuzione (supermercato, magazzino di vaste dimensioni)?». «Siete stufi delle apparenze, della noia e dell’essere spettatori: siete stufi di un mondo in cui ciò che si vede impedisce di vivere e in cui ciò che impedisce di vivere si fa vedere come caricatura astratta della vita». Se la risposta è sì allora siete dei potenziali Black bloc. Almeno secondo ‘Io sono un Black bloc, poesia pratica della sovversione’ uscito per le edizioni Derive Approdi. Quindi le loro motivazioni sono le stesse di chi sfila in corteo con i colori della pace, la differenza sta nelle azioni.
Il nome Black bloc non è un’autodefinizione, anche se negli anni è piaciuto. Sarà il ritmo del nome, il rimando al colore o il rinvio al concetto di una massa compatta, «a un grumo profondo, a una superficie uniforme e nel contempo infinita di colore». Sta di fatto che ormai è arrivato all’orecchio dei media tradizionali. Ma fissarsi sul nome è sbagliato, come al colore nero, il fatto è che non esiste un’organizzazione chiamata Black bloc, esiste invece «una modalità di comportamento, uno stile della politica». «È una modalità di comportamento che non è sancita da nessun manifesto politico, ma dalla prassi internazionale consolidata. Questa prassi si sostanzia nell’uso, discutibile quanto si vuole e deprecato più di quanto sarebbe necessario, della violenza. Non sempre e non a tutti i costi».
La loro comunque è una violenza mirata, preferiscono rompere le cose, banche e i simboli del capitalismo più spregiudicato, che aggredire le persone. Questa è la regola, prima del 15 ottobre si erano visti raramente scontri tra il blocco nero e le Forze dell’Ordine. Per confermare questo basta rivedere le immagini di Genova 2001. Lì, la Polizia e i Carabinieri (almeno il primo giorno di scontri) ha inseguito per ore questi gruppi organizzati, e si è infine scontrata con il grosso del corteo in cui erano presenti i movimenti pacifici e non. A Roma è successo qualcosa di diverso.
Ma torniamo alla descrizione dei ragazzi che si definiscono «pulci nere». In Italia è sicuro che molti di loro provengono dal movimento anarchico, ma questo purtroppo è riduttivo. Esistono frange che si rifanno ad altre idee politiche e ad altre strategie a lungo termine. Una cosa è certa, a volte questi gruppi, diversi tra loro, si uniscono per raggiungere un obiettivo comune, creare un evento a forte impatto emotivo. La scintilla è stata accesa a via Cavour, nella speranza che anche altri si accendessero, e la speranza era ingaggiare una battaglia su via dei Fori Imperiali (angolo con via Cavour) per deviare il corteo verso i ‘palazzi del potere’. Le Forze dell’Ordine (facendo un salto di qualità rispetto a Genova) non sono cadute nel tranello e sono intervenute solo su viale Manzoni. Il fatto è che su via dei Fori Imperiali (all’altezza del Colosseo) i gruppi si sono ricompattati e come spiega un fantomatico Black bloc a Repubblica: «Noi non ci siamo nascosti. Il Movimento finge di non conoscerci. Ma sa benissimo chi siamo. E sapeva quello che intendevamo fare. Come lo sapevano gli sbirri. Lo abbiamo annunciato pubblicamente cosa sarebbe stato il nostro 15 ottobre. Ora i "capetti" del Movimento fanno le anime belle. Ma è una favola. Mettiamola così: forse ora saranno costretti finalmente a dire da che parte stanno. Ripeto: tutti sapevano cosa volevamo fare. E sapevano che lo sappiamo fare. Perché ci prepariamo da un anno».
«Chi sono? Chi sono le pulci nere? Domanda che rivela l’ossessione identitaria della società occidentale, sempre pronta ad accusare le altre di colpe in realtà solo sue. Chi sono? Sbirri travestiti (infiltrati diciamo noi oggi ndr), fascisti in libera uscita, o semplici autonomi abbagliati da stilisti di lusso? Brutte canaglie guastafeste, in realtà molto telegeniche. Ringraziatele hanno fatto audience.
Noi siamo il nome di un mondo di senza nome. Siamo la forma di ciò che forma non ha. Siamo la plebe. Siamo il residuo preindividuale che sta dentro ciascuno di voi. Siamo la rabbia, siamo anche la vostra rabbia. Siamo ciò che distrugge la merce. Siamo quello che volete che siamo. Siamo ciò che identità non ha». Sembra pura filosofia, ma in realtà in queste parole c’è molta verità. La frase che amano scrivere, si è letta anche a Roma, è “Oggi abbiamo vissuto!”. Per loro, quindi, l’uso della violenza è strumentale alla vita, scelgono di vivere la passione politica con ferocia.
Una sorta di metafora del ‘lato oscuro’ che tutti possediamo e che vogliamo controllare, ma quando la osserviamo in azione ne siamo ipnotizzati, ammaliati.
Il fatto che questo ‘lato oscuro’ del rinato movimento (in Italia ci ha messo 10 anni a riprendere forza) contro il capitalismo non si struttura affidandosi al caso. Sono divisi in gruppi snelli e ben organizzati, hanno strategie di guerriglia e conoscono le potenzialità del ‘nemico’. Sanno, come tutti quelli che intraprendono la guerriglia, che la loro forza è l’agilità e la velocità. Sanno che i Poliziotti sono sempre più anziani (e visto le paghe sempre meno motivati) e sempre di meno, sanno che le camionette usate per sostituirli sono lente e goffe e quindi sono facili bersagli. Ma a Roma il 15 ottobre è successo, questo è un mio parere, qualcosa di strano. A piazza San Giovanni i Black bloc sono stati costretti a tenere una piazza di notevoli dimensioni. E le cose si sono complicate.
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