A Milano a Palazzo Pirelli un’originale
esposizione fa conoscere al pubblico
il lato meno noto del grande architetto che fu anche design
Visitabile fino al 31 luglio, Palazzo Pirelli a Milano ospita una mostra del suo ideatore e creatore per il suo cinquantenario, “Gio Ponti. Il fascino della ceramica” a cura di Dario Mattoni. La mostra non riguarda il Gio Ponti (1891 – 1979) architetto ma il Gio Ponti designer, ed in particolar modo il suo lavoro fatto per le ceramiche Richard Ginori di cui assume la direzione artistica tra il 1923 e il 1930. Solo due anni dopo Ponti presenta le sue ceramiche per la Richard Ginori alla “Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes” a Parigi nel 1925, vincendo il “Gran Prix” dell’esposizione. Repertori e forme delle opere esposte traggono la loro ispirazione dall’antichità classica, ma il percorso culturale di Ponti lo porta a incrociare nella sua ricerca di classicismo anche riferimenti oltre l’antico: la prospettiva rinascimentale, la teatralità e il gusto antiquario di derivazione palladiana, l’eleganza neoclassica. Le serie ceramiche pontiane per Richard Ginori elaborano uno scatto in avanti del substrato classico della cultura figurativa italiana verso una nuova modernità. Da una parte c’è una classicità lontana che copre l’aspetto tipologico dell’oggetto, dall’altra c’è una classicità che riguarda invece l’aspetto materico e decorativo dell’oggetto. Nella produzione di Ponti ai pezzi di grande raffinatezza, come le ciste di ispirazione archeologica - opere uniche - si affiancano anche oggetti per il mercato corrente, nell’intento di immettere sul mercato modelli nuovi per oggetti d’uso comune, segnati pur sempre da un’alta qualità artistica. Alla Biennale di Monza del 1927 Ponti presenta, a fianco dei prodotti usciti dalla Richard Ginori, due nuove iniziative: la realizzazione di mobili e di oggetti del gruppo Il Labirinto e la linea di arredi Domus Nova, commercializzata attraverso i Grandi Magazzini La Rinascente. La prima, nel lusso del disegno e dei materiali, ha una destinazione ancora elitaria, la seconda è una produzione rivolta alla famiglia media.Questa diversa produzione di mobili e oggetti è accomunata da una figurazione semplificata elegante e equilibrata: si tratta di un classicismo che possiamo ricondurre ad una scelta etica prima ancora che estetica. Nella mostra, un primo filo conduttore individuato dal curatore è quello della iconografia declinata da Ponti nei suoi decori. Attraverso alcune delle serie più note come La conversazione classica, Le mie donne, La venatoria, presentate con i pezzi più significativi, si ripercorre un repertorio figurativo unico nella sua carica innovativa, seppure costruito in un sapiente confronto e dialogo con l’antico e la classicità, repertorio che ha concorso alla definizione di un sofisticato gusto rivolto ad una borghesia intellettuale e moderna. Il rapporto di Gio Ponti con la manifattura Richard Ginori sgombra il campo da tutti i luoghi comuni sulle priorità nella formazione di un architetto, secondo le quali l’architettura si configurerebbe come arte maggiore e il design come arte minore, di risulta. Non di minore interesse è la presenza di alcuni decori che fanno riferimento all’architettura, tratti da un vasto repertorio di ispirazione palladiana, ma anche connessi alle coeve esperienze che Ponti avviava nella sua prima attività professionale, in primo luogo con la casa di via Randaccio.
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