Il verdetto Thyssen è una svolta
epocale nelle cause di lavoro
Lo scorso 15 aprile subito dopo il verdetto della Corte d’Assise di Torino nel processo alla Thyssen Krupp celebrato a tempo di record (ma non stupisce dal momento che la Procura di Torino è l’unica a rispettare i tempi di durata dati dall’Europa), il pm Raffaele Guariniello dichiarava: «È una svolta epocale, non era mai successo che per una vicenda del lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale».
E proseguiva: «Diciamo che una condanna non è mai una vittoria - ha proseguito Guariniello - né una festa, però questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza dei lavoratori». Il pm così concludeva: «Credo che da oggi in poi i lavoratori possano contare molto di più sulla sicurezza».
Il verdetto è di quelli che aprono un’epoca. La Corte d’Assise di Torino ha accolto in pieno (e anche oltre) tutte le richieste dell’accusa. Harald Espenhahan, amministratore delegato della ThyssenKrupp Italia, è stato condannato a sedici anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale. È la prima volta che un Tribunale riconosce un reato così grave per “incidente” sul lavoro. Tredici anni e sei mesi ai dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci, al direttore dello stabilimento torinese Raffaele Salerno e al responsabile sicurezza Cosimo Cafueri, imputati di omicidio colposo con colpa cosciente; 10 anni e dieci mesi (l’unica pena superiore alle richieste della pubblica accusa) al dirigente Daniele Moroni. Era iniziato tutto il 6 dicembre 2007: da poco passata l’una di notte, quando, sulla linea 5 dell’acciaieria di corso Regina Margherita, si sviluppa un principio d’incendio. Antonio Schiavone, 36 anni e tre figli, si china per tentare di spegnerlo; improvvisamente cede un tubo, fuoriesce una gran quantità d’olio che provoca un’esplosione. Schiavone muore sul colpo. Dietro di lui sei compagni di lavoro vengono travolti dalle fiamme. L’ottavo componente della squadra, Antonio Boccuzzi, oggi parlamentare del Pd, riesce miracolosamente a scampare. Sei ore dopo l’esplosione muore Roberto Scola, 32 anni e due figli, giunto al reparto grandi ustionati del Cto di Torino pienamente cosciente. Il cuore di Angelo Laurino, 43 anni e due figli, si ferma all’Ospedale San Giovanni Bosco il pomeriggio del 6 dicembre. Bruno Santino muore di sera; aveva 26 anni e della fabbrica non ne poteva più e di lì a poco si sarebbe licenziato per aprire un bar con la fidanzata ventunenne.
Il 16 dicembre 2007 la città accompagna in duomo i funerali delle prime quattro vittime, poche ore prima che, in una stanza delle Molinette, finisca la lotta di Rocco Marzo, 54 anni e due figli, il più anziano (sarebbe andato in pensione dopo poche settimane) del gruppo. Tre giorni dopo, il 19 dicembre, muore anche Rosario Rodinò, 26 anni, stessa età di Giuseppe Demasi, che resiste fino al 30 dicembre. Sette morti, una strage mai vista.
Il processo dura tre anni e cinque mesi. Le indagini sono chiuse il 23 febbraio 2008, con un primo risarcimento record di 12 milioni e 970 mila euro da parte della ThyssenKrupp alle famiglie delle vittime (giugno) poi l’udienza preliminare e il rinvio a giudizio (novembre), quindi il dibattimento iniziato a gennaio 2009 e conclusosi ad aprile di quest’anno. Ottanta udienze spesso concitate in cui non sono mancati colpi di scena, su tutti l’indagine parallela a carico di una decina di persone che, “avvicinate” dall’azienda, avrebbero dichiarato il falso in dibattimento.
Secondo l’accusa il rogo della ThyssenKrupp fu una “tragedia annunciata”, causata dalla colpevole omissione di adeguate misure di sicurezza all’interno di uno stabilimento in via di dismissione: sistemi di rilevazione incendi assenti, estintori vuoti o malfunzionanti, carenza di manutenzione, sporcizia e, soprattutto, quell’email firmata Harald Espenhahan in cui l’amministratore delegato dichiarava il dirottamento di un investimento di 800 mila euro (sollecitato dalle assicurazioni nel 2006 dopo un analogo incendio nello stabilimento tedesco di Krefeld) “from Turin”, cioè non a Torino, ma a Terni, dove la linea 5 avrebbe dovuto essere smontata e trasferita (nonostante il picco di produzione raggiunto appena due mesi prima della strage).
Terni va verso la chiusura. Qualcuno ha ventilato l’ipotesi di una ritorsione dell’azienda tedesca. Il commento di un operaio del posto che rischia di perdere il lavoro è stato: “Prima di essere operai, siamo uomini. Se questo è vero, non importa. Meglio essere vivi”.
FOTO: Antonio Michele Boccuzzi (34 anni), l'unico operaio sopravvissuto all'incendio nell'acciaieria ThyssenKrupp di Torino. (foto del 6/12/2007)
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