Ha ancora senso parlare di potere deterrente
delle armi nucleari, o il mondo di oggi rischia
seriamente di vederne il loro utilizzo?
Nel periodo bipolare, le armi nucleari più che all'impiego effettivo erano destinate essenzialmente alla dissuasione (basata sulla minaccia di rappresaglie contro la popolazione nemica); entrambi i blocchi, tuttavia, si preparavano a una guerra nucleare, come se essa fosse un'opzione possibile.
Nel decennio successivo alla fine della guerra fredda le armi nucleari si sono miniaturizzate, specializzate e hanno ridotto drasticamente i loro effetti collaterali indesiderati, in particolare le ricadute radioattive di fatto incontrollabili.
Nella guerra del Golfo del 1991 il presidente degli Stati Uniti George Bush senior aveva previsto una risposta nucleare a un attacco chimico o biologico iracheno contro Israele e contro le forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Nella Nuclear posture review trasmessa dal Pentagono al Congresso all'inizio del 2002, così come in numerose dichiarazioni di responsabili politici e militari statunitensi risulta evidente che l'opzione nucleare non è più un tabù.
Gli Stati Uniti pensano, in particolare, di sviluppare nuovi tipi di armi nucleari miniaturizzate, specializzate nella penetrazione in posti di comando interrati e in depositi sotterranei di armi di distruzione di massa.
Indipendentemente da qualsiasi progresso tecnologico, tale 'banalizzazione' del nucleare incontra un limite di natura psicologica ed etico-politica: l'idea, sedimentata per decenni nella cultura strategica occidentale, secondo cui uno dei compiti primari della strategia moderna è proprio quello di evitare il ricorso a tale tipo di armi.
Se le remore all'impiego effettivo delle armi nucleari rimangono, perde invece progressivamente attualità il concetto di dissuasione nucleare elaborato nel corso della guerra fredda e fondato sulla certezza di distruzione reciproca (con la capacità di 'secondo colpo'). Nel periodo di transizione politico-strategica degli anni novanta questo concetto conservava ancora un'importanza centrale, tanto da consentire alla Russia di non temere per la propria sicurezza, nonostante la sua crescente inferiorità sul piano delle armi convenzionali rispetto alla NATO e all'allargamento di quest'ultima all'Europa centro-orientale.
Nell'attuale dibattito strategico, invece, uno degli argomenti principali riguarda proprio l'obsolescenza del concetto di dissuasione. Occorre tuttavia operare una distinzione di ambiti: se ci si riferisce al regime di dissuasione esistente nel corso della guerra fredda, è indubbio che la minaccia del 'secondo colpo' e delle rappresaglie nel nuovo contesto geopolitico è ormai superata; se invece si discute della dissuasione tradizionale, basata sull'impiego virtuale della forza, nucleare o convenzionale, il concetto rimane perfettamente valido.
L'impiego della forza, infatti, non ha come scopo la distruzione del nemico, bensì il raggiungimento di una pace corrispondente ai propri interessi e valori.
Se la pace può essere conseguita solo con le minacce (la dissuasione è difensiva, la coercizione offensiva), il ricorso alla forza rimane potenziale anziché diventare effettivo, se non altro perché in questo modo si evitano i costi e i rischi - anche politici - di un confronto armato.
Gli anni novanta hanno infine visto un processo di riduzione degli arsenali offensivi strategici russi e statunitensi. Tale riduzione ha subito una notevole accelerazione all'inizio del XXI secolo con gli accordi tra Russia e Stati Uniti. Alla 'certezza di distruzione reciproca' si è sostituito il cosiddetto 'deterrente nucleare minimo'.
Dal canto loro, i programmi di difesa antimissili strategici hanno avuto un notevole sviluppo e si sono trasformati da mezzo di protezione contro un attacco nucleare massiccio in elemento decisivo nella gamma degli strumenti d'intervento contro la proliferazione nucleare, che sono sia preventivi (misure antiproliferazione e controllo delle tecnologie critiche), sia offensivi (attacchi 'dal forte al folle'), sia difensivi (protezione del territorio degli Stati Uniti, dei loro alleati e delle forze d'intervento).
L'esistenza delle armi nucleari è un dato di fatto e le maggiori potenze tendono a conservarne un certo numero per evitare che l'acquisizione da parte di potenziali nemici di un arsenale nucleare anche ridotto conferisca loro un vantaggio decisivo. I meccanismi di dissuasione elaborati nel corso della guerra fredda non sono più validi (eccetto per le grandi potenze) e si cerca - non senza difficoltà e contraddizioni - di elaborarne di nuovi che prevedano in misura assai maggiore che in passato l'impiego reale del proprio arsenale nucleare.
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