La Nato nel prossimo decennio, se non a più lungo termine, dovrà dotarsi di strumenti contro uno spettro di rischi e di minacce molto ampio, che ovviamente comprende un attacco di tipo tradizionale al territorio ma che si allarga ad includere terrorismo, proliferazione delle armi di distruzione di massa, cibernetica e attentati alla libertà di navigazione. Per l’Alleanza si apre quindi una fase di rinnovamento tra compiti nuovi e risorse sempre più esigue. Quali sono oggi i possibili fattori determinanti nel futuro della NATO?
Il futuro della Nato dipenderà da molti fattori sia interni all’Alleanza (coesione, condivisione di una visione strategica comune) sia esterni (evoluzione delle minacce alla sicurezza, evoluzione degli equilibri internazionali). Tuttavia, due fattori in particolare, potrebbero essere determinanti: il successo/insuccesso in Afghanistan e il ruolo che gli Usa giocheranno in futuro nell’Alleanza. Proviamo quindi a delineare alcuni scenari incrociando questi due fattori.
Scenario A – Successo in Afghanistan e rilancio del ruolo degli Usa nella Nato.
Se la strategia dell’amministrazione Obama in Afghanistan, cominciasse a dare i suoi frutti, nell’arco dei prossimi 2-3 anni migliorerebbero le condizioni di sicurezza e il regime di Kabul potrebbe trovare forme di stabilità. Anche un parziale successo in questo campo potrebbe favorire l’Alleanza. L’intervento della Nato – presente in Afghanistan con la missione Isaf – verrebbe infatti percepito come un successo e un importante segno di vitalità e rilevanza dell’Alleanza.
A sua volta questa percezione potrebbe convincere gli Usa a “investire” sempre di più nella Nato, abbandonando definitivamente l’idea delle coalitions of the willing (ossia di coalizioni ad hoc non istituzionalizzate che marginalizzerebbero la Nato). Questo scenario diverrebbe maggiormente probabile con il superamento delle recenti difficoltà economiche che hanno portato a una riduzione e a tagli al budget dell’Alleanza.
Scenario B – Successo in Afghanistan e disinvestimento americano dalla Nato.
Un secondo scenario potrebbe vedere, nonostante il successo dell’amministrazione Obama in Afghanistan, un indebolimento della Nato. Infatti, se il successo venisse essenzialmente ascritto all’impegno americano in Isaf più che alla Nato nel suo insieme, l’apporto degli alleati europei ai compiti di gestione della sicurezza internazionale sarebbe fortemente ridotto. Attualmente gli Usa partecipano in Isaf con 90.000 uomini sui 130.000 totali. Nonostante il successo, dunque, gli Usa potrebbero scegliere una politica di basso profilo e di basso impegno nella Nato tenendosi le mani libere – stabilendo di volta in volta quale sia la coalizione di stati più appropriata ai loro interessi. Questa visione si concilierebbe bene con le recenti difficoltà degli alleati europei a contribuire in maniera rilevante in termini di uomini, mezzi e finanziamenti.
Scenario C - Insuccesso in Afghanistan e disinvestimento americano dalla Nato.
Se le violenze in Afghanistan continuassero ad aumentare e le truppe internazionali subissero progressivamente sempre più vittime, sostanzialmente continuando il trend già registrato dal 2005 ad oggi, il Governo Karzai, nonostante l’appoggio internazionale, perderebbe progressivamente legittimità. Il conseguente fallimento del tentativo di dialogo con i Talebani e l’irrecuperabile instabilità politica costringerebbe le truppe internazionali a cominciare il ritiro lasciando il paese nel caos.
L’insuccesso di Isaf si tradurrebbe in una profonda crisi della Nato, sia in termini di credibilità sia di efficacia dello strumento militare. Questa difficile situazione farebbe riemergere l’interrogativo dei primi anni ’90 sull’utilità della Nato. Gli Usa potrebbero trovare più conveniente investire sempre più sulle proprie capabilities militari, abbassando il loro impegno collettivo e multilaterale nell’Alleanza. In questo caso, sul piano formale la Nato potrebbe continuare ad esistere ma sarebbe privata di un ruolo sostanziale degli Usa.
Scenario D – Insuccesso in Afghanistan e rilancio del ruolo degli Usa nella Nato.
Vi è però anche la possibilità che, nonostante l’insuccesso in Afghanistan, la Nato possa sopravvivere alla crisi. Se gli alleati europei e americani considerassero comunque l’Alleanza il miglior strumento multilaterale cui affidare la sicurezza dell’area euro-atlantica e se la sconfitta fosse addebitata più al difficile obiettivo da conseguire che allo strumento utilizzato, l’insuccesso in Afghanistan innescherebbe un ripensamento profondo dell’Alleanza verso obiettivi meno ambiziosi e un raggio d’azione più limitato ma con impegni più realistici.
In questo scenario gli Usa individuerebbero le cause dell’insuccesso nel tipo di strategia adottata e nelle difficoltà politiche dell’Afghanistan, ma non nella Nato in quanto tale, continuando dunque a mantenere alto il loro impegno nell’Alleanza. L’insuccesso e i conseguenti rischi geo-politici per l’Europa potrebbero d’altro canto contribuire a una maggior consapevolezza degli alleati europei al proprio contributo all’interno dell’Alleanza.
Inoltre le attuali crisi nel Mediterraneo, da quella egiziana a quella albanese, minacciano la sicurezza dell’Unione europea. Circondata da un arco di instabilità, l’Europa non sembra tuttavia essere in grado di giocare un ruolo all’altezza dei rischi che corre. La risposta tardiva di Bruxelles alla crisi in Egitto, le difficoltà nel contribuire ad una soluzione della crisi politica in Albania e, più in generale, la mancata comprensione delle complesse trasformazioni delle società arabe si sono sommate alle tradizionali carenze di proiezione esterna della Ue.
Il 2011 avrebbe dovuto essere un anno decisivo per la politica europea nei Balcani, quello dell’avvio dei negoziati di adesione di quattro Paesi: Macedonia, Montenegro, Serbia e Albania. L’attuale crisi albanese potrebbe rimettere in discussione le tappe dell’allargamento nell’area. L’iniziativa dell’Unione per il Mediterraneo lanciata solamente tre anni fa, di cui Mubarak è co-presidente, aveva perso slancio già prima delle rivolte in corso. Le politiche europee per portare stabilità e democrazia in queste aree sembrano quindi destinate a un profondo ripensamento, sempre che non sia già troppo tardi.
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